Capitolo 5

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Da quando sono ritornata in Italia, ho ripreso a frequentare la gente del posto, o meglio del mio quartiere

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Da quando sono ritornata in Italia, ho ripreso a frequentare la gente del posto, o meglio del mio quartiere. Una sera una ragazza mi è venuta addosso, era palesemente ubriaca e l'ho riaccompagnata a casa, nel tragitto ho iniziato a sentire dei singhiozzi, mi sono voltata verso di lei e ha iniziato a raccontarmi tutta la storia della relazione con il suo ex ragazzo tossico, che ha rivisto proprio quella sera dentro il locale. Mi ha spiegato che ha provato a non farsi vedere, che si è nascosta tra i corpi sudati di chi ballava senza accorgersi di nulla; ma non ha funzionato, lui l'ha vista e è andato subito da lei. La strattonava e la intimidiva, con lo scopo che lei andasse a casa con lui; lei è scappata e mentre scappava mi è caduta addosso. Solo dopo che mi ha raccontato l'accaduto ho capito che non era ubriaca, anzi, era fin troppo lucida, era solo spaventata.

Ora io e Alyssa siamo diventate molto amiche, ci vediamo spesso e ammazziamo il tempo insieme. Non sono mai stata una tipa socievole, forse quando sono ubriaca sì, in Alaska è stato più semplice, perché tutti si conoscevano e le voci di una nuova arrivata, circolavano in fretta.

Lei non sa niente della mia vita, non sa della mia famiglia, e non sa del mio lavoro. Non l'ho mai invitata in casa mia. Ho mentito ad un'altra persona, ma non voglio perdere anche lei. Ora che finalmente ho trovato un'amica, non voglio perderla. Sono disposta a mentire tutto il tempo.

Percorro le strade asfaltate, delle viette interne di Milano, dove non possono passare le macchine, mi metto al centro della strada e cammino ad una velocità media, guardo in basso verso le mie Nike Air Force bianche, che stanno usando tutti in questi anni, e guardo i punti in cui sono rovinate: i lacci sono diventati giallognoli, la scarpa ha delle piega sulla punta, ma mi piacciono così. Qualcosa di duro mi viene addosso, alzo immediatamente la testa e vedo solo un cappuccio grigio. La strada è deserta, ci siamo solo io e questo estraneo, che in questo momento sta alzando la testa, scorgo degli occhi scuri e un accenno di barba. Mi passa accanto senza pronunciare una parole, neanche una scusa.  Ritorno sui miei passi, senza guardarmi indietro, non capisco perché la gente è così antipatica e maleducata.

Giro l'angolo e trovo la mia amica, la riesco a riconoscere dal suo caschetto nero. Ha indosso un semplice paio di jeans scuri e una giacca di pelle nera, un semplice outfit efficace per il tempo di Ottobre.

Lei agita il braccio in aria per farsi vedere, come se la sua testa nera che fa oscillare i capelli da destra a sinistra non bastasse. «Ciao », pronuncio euforica, lei mi mette sempre il buon umore, è solare e allegra. «Cosa facciamo?» dico, lei mi sorride, come se dovessi immaginarlo. Faremo shopping.

Entriamo nel primo negozio, lei passa in rassegna ogni vestitino da discoteca, mi ricorda molto Marilin, in questi mesi ci siamo tenute in contatto, ogni giorno ci scambiamo messaggi, ma neanche uno riferito a lui. E' diventato un argomento intoccabile per tutte due, lei soffre perché non vede suo fratello da mesi, io beh... io perché lo amavo.

«Ti piace questo?». Ha tra le mani un vestitino bianco panna, tempestato di brillantini, con la schiena scoperta. «E' bellissimo.» Le dico sinceramente, lei batte le mani euforica e si dirige alla cassa, per pagare.

Porto anche i miei capi, due jeans cargo, uno verde militare, l'altro nero e una felpa grigia.  Paghiamo tutto e ci dirigiamo in centro a bere qualcosa, ci sediamo ad un tavolo di fronte al Duomo e sorseggiamo i nostri drink. «Quello è identico a Theo James», mi indica un signore alle mie spalle, mi giro e lo osservo bene, ci assomiglia, ma non credo sia lui. «Non penso Aly.» Lei si alza dalla sedia e lo raggiunge, non sapendo cosa fare raggiungo la mia amica, che sta importunando il signore. «Hi.» Sventola una mano davanti il signore, che la guarda starno. «Are you... come si dice Kylie?» Mi chiede, Alyssa non sa molto bene l'inglese, diciamo che a scuola superava i test perché copiava dai suoi compagni. «Are you Theo  James?». Chiedo imbarazzata, il signore ci guarda male, ma non capiamo il perché poi una signora si avvicina a lui e gli dice qualcosa, in una lingua che non ho mai sentito.

«No, non è lui.» Dice la mia amica, che subito dopo, mi afferra per il braccio e mi trascina via dal signore. «Però ci assomigliava» , parlotta mentre cerca qualcosa nella sua borsetta in denim. «Da lontano con gli occhi chiusi,» dico io, lei scoppia in una risata che contagia anche me.

Ci salutiamo e dopo un pomeriggio passato a ridere e scherzare, mi ritrovo nella stradina deserta che ho percorso all'andata. Ripenso al bambino che ho ucciso anni fa, il rimorso mi mangia viva ogni giorno, da allora sono diventata apatica, senza emozioni;  solo lui me le aveva ridate. Solo lui aveva accaso qualcosa in me.

Imbocco il vialetto della mia casa, afferro le chiavi e le giro nella toppa. «Sono a casa,» urlo, papà mi fa un cenno di assenso. Mi stendo sul letto in camera mia, fisso il soffitto bianco e poi porto lo sguardo sulla giacca nera, che ancora indosso. Dalla tasca fuoriesce un pezzo di carta, lo estraggo e noto che è un bigliettino.

Quella notte le stelle erano magiche.

Sto arrivando.

Rileggo queste due frasi ancora e ancora, non capendo chi me le possa aver scritte, e poi ripenso al ragazzo misterioso che mi è venuto addosso, probabilmente mi ha infilato il biglietto mentre se ne stava andando.

Ma cosa vuol dire " Quella notte"?

Quale notte?

Un'altra volta mia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora