59. La fine e l'inizio

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[Papà] [Mercoledì mattina 12/06/2019]

Ultimo giorno di scuola. Sembrano passati... non so, due anni, in uno. Come se la mia vita fosse stata scritta da uno sceneggiatore irragionevolmente lento. Ah, ironia post-moderna.

C'è aria di spensieratezza, ma soprattutto di liberazione. Gli studenti che hanno fatto assenza in massa, ieri, oggi son tornati, e mostrano con senso di sfida adolescenziale il costume sporgere dai vestiti, le bretelline del bikini sotto le magliette delle ragazze, l'orlo del pantaloncino da bagno da ragazzo che fa capolino tra le magliette ariose e i pantaloni a vita molto bassa, a lasciar intravedere addominali più o meno scolpiti, sicuramente già abbronzati, i più grandi già adorni di una striscia scura di peli sotto l'ombelico.

Praticamente nessuno riesce a stare confinato in aula. L'appello della prima ora, qualche chiacchiera, i ritardatari cronici pure l'ultimo giorno, e quelli giustificati, che si son attardati perché portano con sé vassoi di pizzette, buste di patatine, torte fatte in casa, bibite gassate. Si scarta, si mangia, si ride, si scattano selfie, foto di classe, si spostano i banchi e infine si balla. E appena la prima classe, in genere la più scalmanata, parte col trenino, accompagnato da musica festosa, ecco che dalle aule si riversano tutti nel corridoio.

A nulla valgono i richiami dei bidelli, le proteste dei colleghi più bacchettoni, e pure la gracchiante voce della vicepreside che dagli altoparlanti ricorda che a norma di legge è vietato introdurre cibi e bevande nei locali della scuola resta inascoltata. Come nell'antica festa del Carnevale, si dichiara sospeso il tempo ordinario e la normativa vigente.

Acconsento a qualche scatto rubato, a qualche selfie sguaiato, mi lascio ingozzare di brownies, ciambelloni e ciambelline, attraverso indenne il serpentone di studenti che ha pure catturato e inglobato al suo interno la collega di educazione fisica, e mi dirigo verso l'aula docenti, cercando un po' di calma, un po' di caffè e di respiro. Ancora venti minuti e sarà finita... e sarà anche il caos. I ragazzi si riverseranno nello spiazzale antistante la scuola, inondando i passanti ignari o temerari di schiuma di spumante o da bomboletta spray, di palloncini d'acqua e chissà che altro ancora. Un'esplosione di gioia, dimentichi, forse, che mentre gridano al mondo l'esuberanza della loro adolescenza, inaugurando una nuova stagione estiva, i loro professori si riuniranno a porte chiuse e ventilatori accesi per decretare il loro destino. Sommersi e salvati di questa grande avventura che è la scuola.

Mi rintano in un angolino fresco, penso a Ricky. L'unico dei miei ragazzi che ho dovuto destare questa mattina, e accompagnare a scuola, mentre i più piccoli, che avrebbero continuato a dormire beati, sono stati prelevati da mia moglie e lasciati a casi dei miei genitori. Un compromesso che ha risolto esigenze disparate: lasciar che i nonni coccolassero il piccolo, la cui punizione, ieri pomeriggio, non è passata inosservata, mantenere un'aura di rimprovero e di distacco nei suoi confronti, ricordandogli che è ancora in punizione, altro che vacanza, ed evitare soprattutto di lasciarli soli in casa, lui e i suoi fratelli maggiori, aspettando il mio rientro e, poi, quello di Riccardo.

I gemelli e il piccolo hanno concluso ieri la scuola: Luca e Marco con la festicciola in classe, con la partecipazione di mia moglie e della sua torta, e il piccolo... be', alla fine il saggio è stato un successo. Ma come al solito ha dovuto pagare il prezzo della propria sfrontatezza. Solo che la sculacciata l'ha presa da mia moglie.

Un anno fa sarebbe stato impossibile, immaginare che in risposta a una monelleria simile il piccolo si sarebbe ritrovato col sedere in fiamme. E fino a qualche settimana fa, sarebbe stato altrettanto impensabile che a scaldargli il culetto monello sarebbe stata sua madre. Strana davvero la vita.

Ieri pomeriggio non ho potuto batter il ferro ancora caldo, perché, conclusiva la tempestiva e improvvisa sculacciata che Giulietto s'è beccato da sua madre, sono dovuto schizzare via verso casa. In auto mi sono concentrato sul tragitto, il traffico, accorciare i tempi, con l'ansia di fare tardi, magari di non trovare il flauto al suo posto – un'altra bugia del piccolo non sarebbe stata una sorpresa del resto – e l'angoscia al pensiero di dover cercare di nuovo parcheggio, una volta tornato alla scuola. E così, l'evento mi è scivolato tra le mani, senza però venir metabolizzato. Poi il saggio, la merenda, il gelato con i miei genitori, la cena presto, prestissimo, tra le lamentele dei ragazzi, troppo pieni di frappé per pensare di mangiare la pizza, ma è stato il compromesso decisivo per convincere i miei genitori a restare a cena da noi, un'insistenza che non ho mai mostrato prima, forse solo per coprire il silenzio, per tenermi distratto ed evitare di dover affrontare l'accaduto con mia moglie.

Le nuove regole di papà (vol. 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora