Prologo

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Eccomi: spalanco gli occhi, e sono qui

Sono qui, di nuovo. Ma, fino a un attimo fa, ero... 

Dove?

Cerco di catturare la sensazione prima che svanisca. Scivola rapida come l'ultimo rimasuglio di sabbia della clessidra: se solo riuscissi a trovare il sistema di bloccarlo, di non farlo scorrere giù... allora, forse, potrei analizzarlo. Scandagliarlo, grano per grano, e trovarci dentro tutte le risposte alle mie domande.

Come ci sono finito qui? Che posto è mai questo? E come si torna indietro?

Ogni volta che riapro gli occhi, so di possederla per un istante. Un solo istante, nell'arco di tutto il tempo che passo da sveglio, durante il quale c'è, da qualche parte nel mio cervello, l'informazione.

Quella che spiegherebbe ogni cosa.

Ma, ecco: è già tardi. È evaporata, come ogni volta, come accade coi sogni. Appena torno vigile, l'unica cosa di cui sono certo è che mi trovo di nuovo qui, in questa specie di eterno presente, come se il mio passato non fosse che... un miscuglio di ricordi di qualcun altro, di aneddoti sentiti in giro o... O letti da un appunto bidimensionale su un pezzo di carta, senza... Senza nessuna profondità. 

Uhm.

Non so se questa sia davvero solo una similitudine... 

Il dubbio verrebbe a chiunque, al posto mio. Insomma, che altro dovrebbe pensare una persona, nel trovarsi come me, adesso, con gli occhi pieni soltanto di questa sorta di... Di sfondo bianco... e a righe?

Sospiro.

Le righe. Già.

Be', dal momento che ormai sono sveglio, tanto vale che mi dia un'occhiata intorno. Magari, stavolta, riesco a notare qualche dettaglio che mi è sfuggito le altre... otto, se non sbaglio, volte precedenti. 

Mi stiracchio la schiena; lo sfondo crepita insieme a me.

Dunque. Le righe.

Le righe sono sottili, orizzontali, parallele, equidistanti tra loro... e blu.

Bene. 

O male, non solo so. Dipende dal punto di vista. Comunque, sono come al solito.

Le scorro una per una con lo sguardo, da sinistra a destra, dall'alto al basso... ed eccolo lì, l'unico particolare che interrompe la monotonia. 

La scritta a inchiostro nero.

Will Donovan 

### Heatley Ave, Downtown Eastside 

Vancouver

Sì. Anche questa è sempre la stessa. Disposta su tre righe, sta più o meno all'altezza del mio ginocchio, ma cinque piedi più avanti. 

Va be', si fa per dire, cinque piedi. Le distanze, qui, sono un po' fumose.

Calligrafia incerta, frettolosa. So che non è la mia. La riconoscerei, altrimenti. Suppongo.

Credo che ci fosse anche il numero civico, davanti all'indirizzo, e che sia stato cancellato col bianchetto. Non per nulla, si vede solo un alone grigiastro attorno a quella parte. Tuttavia, si capisce lo stesso che le cifre erano tre. 

O meglio, non è che si capisca. È che... io lo so. So che erano tre, punto. Voglio dire... Quello non è un luogo a caso. Quello è... o era... l'indirizzo di casa mia.

"Will Donovan", invece... 

«Will... Donovan. Sono io» sussurro.

La prima volta che mi sono materializzato qui, mi sono ritrovato di fronte quella scritta, e... sono andato nel panico. Non avevo proprio la più pallida idea di che cosa volesse dire. Non ricordavo che quello fosse il mio nome, e quell'altro l'indirizzo di dove vivevo. Non sapevo chi fossi, e questo mi ha messo... paura.

Dopo quella volta, non è più successo che mi svegliassi senza saperlo. Però, anche solo l'eventualità di dimenticarlo di nuovo... Okay, basta. Non voglio pensarci. Passo oltre.

Muovo le dita della mano destra, al termine del braccio disteso lungo il busto, e saggio col tatto ciò che sta sotto ai polpastrelli...

Ah, sì. Eccola qui. La superficie ruvida del griptape, il bordo in legno... A quanto pare, ogni volta che mi materializzo, sto reggendo la tavola del mio skate.

E io...? 

Io, be'... È un po' come se fossi in piedi, ma, al contempo, disteso sulla schiena. 

In piedi, ma disteso. 

Anche questa ambiguità, la prima volta, mi ha confuso di brutto. Mi sembrava di essere sospeso in una bolla priva di gravità, senza peso... Intrappolato e, allo stesso tempo, sul punto di precipitare nel vuoto.

Se ci ripenso, mi sale di nuovo la nausea. 

Nella confusione mi misi a cercare un appiglio, a destra, a sinistra, in alto, in basso... In tutte le direzioni, insomma. Ma, a prescindere da dove rivolgevo lo sguardo, c'era sempre e solo questo sfondo, bianco e a righe.

Non fu per niente bello. Ebbi un attacco di panico, cominciai a gridare, a tirare pugni alla cieca, bum, bum, bum... E così, senza nemmeno sapere quello che stavo facendo, riuscii a sollevare la copertina.

La copertina. Già.

Non che a quel punto le cose siano andate poi tanto meglio. Anzi, si sono aperti altri centinaia di interrogativi, per cui, forse forse, era quasi meglio rimanere chiuso dentro al taccuino. 

Ma va be'. Quantomeno ho scoperto il mondo fuori, e ho trovato l'appiglio che mi serviva per far passare la nausea. 

Il terzo asse. Quello con la "z". Sì, insomma, la profondità.

Il mondo, fuori del taccuino, è a tre dimensioni. 

Per fortuna. 

Inspiro piano, e l'odore della carta mi penetra le narici. 

«Will... Donovan.»

Be'... mi sembra che non ci sia altro da vedere. 

Posso anche uscire.

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