35. Tutto o niente

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Con innaturale cautela appoggio il ginocchio sull'erba, e incurvo la schiena in avanti, verso la sabbia. Avvicino il viso a quegli pseudo-soldatini di plastica senza armi, senza elmetto, e tengo il fiato sospeso nell'aspettativa di distinguerne i tratti facciali, l'espressione, la capigliatura, e di riconoscere loro... Lui. Cerco in essi un appiglio per sedare l'angoscia che mi è montata nel petto all'improvviso, invano.

Di colpo, non mi sembra più solo un gioco.

«Leyton» riesco a sussurrare. «Ma cosa...?» Non so come terminar la domanda.

Lui cambia posizione e si mette seduto a gambe incrociate di fronte al suo piccolo deserto. «Dai,» mi incita, «scegline uno. Così possiamo giocare.»

A questo punto, non m'importa più se compare sua madre e mi vede qui. Mi siedo a fianco del ragazzino e, confuso, allungo la mano al più vicino dei tre. Lo sollevo uno e inizio a rigirarmelo tra le mani. Al centro della schiena, sopra la camicia, c'è un piccolo disegno. Un serpente, tutto attorcigliato su se stesso.

«Hai scelto il più forte» mi fa Leyton, in tono pratico. «Lui è l'uomo-vipera. Si può nascondere sotto la sabbia. E ha anche la visione termica come i serpenti.»

«L'uomo-vipera?»

In bambino annuisce. «Allora, siccome tu hai preso il più forte, io muovo la donna-rana e l'uomo-cimice.»

Non mi è ancora chiaro cosa dovremmo fare. Lo guardo mentre, con un sorriso stampato in faccia, avvicina a sé gli altri due soldatini, per metterti entrambi sulla stessa duna.

«Perché loro sono meno forti?» gli chiedo. «Che cosa sanno fare?»

«Allora, la donna-rana sa respirare anche sott'acqua, solo che qui non ce n'è. Mentre l'uomo-cimice...» Alza le spalle. «Eh, lui spruzza una puzza repellente che tiene lontani i cattivi.»

«Ah.»

«Sì, lo so, non è molto utile. Però ha la pelle super-resistente. Cioè, è quasi impossibile ferirlo.» Si avvicina ancora di più al bordo. «Allora, facciamo che siamo nemici, va bene?»

Lo guardo. Non so cosa dire.

«Cioè, in realtà loro non sono nemici» continua, in tono quasi professorale. «Di solito stanno dalla stessa parte, quando ci gioco io. Però per stavolta facciamo finta che non si sono ancora incontrati, e nessuno si fida di nessuno, okay? E quindi adesso vogliamo ucciderci a vicenda... Poi però succede qualcosa che ci fa diventare alleati. Dobbiamo inventarlo sul momento. Capito? Ci stai?»

Deglutisco. «Aspetta, Leyton.»

«Cosa c'è?»

«Io... non voglio giocare, adesso.»

«Ah...» Abbassa lo sguardo a terra, deluso.

«Magari dopo, okay? Però, prima ho bisogno di parlarti di una cosa.»

«Va bene. Che cosa?»

Prendo un bel respiro. «Leyton, io non sono qui per caso. Sono venuto apposta per parlarti. Dentro al tuo sogno, intendo...» Mi fermo. Cerco di capire, dalla sua espressione, se almeno questa consapevolezza gli è ancora chiara, o se si sia persa nel corso della trasformazione nel se stesso infantile. Ma Leyton non fa altro che guardarmi fisso, con la bocca socchiusa. Mi mordo il labbro e distolgo lo sguardo da lui, per rivolgerlo alle dune di sabbia. «Non so se tu ne abbia ancora memoria, ma non sei un bambino. Siamo in una sorta di ricordo del tuo passato, o almeno credo. Nella vita vera, dovresti avere più o meno della mia stessa età.»

Un breve accenno di turbamento gli attraversa lo sguardo. La sua bocca si contorce, le palpebre sbattono assieme frenetiche e il bambino pare quasi trattenere il fiato per qualche istante. Poi, la sua espressione si rilassa e diventa seria. «Lo so» sussurra.

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