10. Caramel Frappuccino

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Assurdo. Ogni volta che sbircio nella sua direzione, Florent ha per le mani qualche altra chincaglieria strana, che sembra essere sbucata fuori dal nulla. Ma dove le tiene? Ora, per esempio, sta tenendo tra le dita un pennello basso e largo e dall'impugnatura in legno. Ne intinge le setole in una ciotola che tiene appoggiata sulla coscia, ricolma di una sottile polverina argentea. Giuro, non ce l'aveva fino a un attimo fa. 

Tac-tac. Sbatte il pennello due volte sul bordo del contenitore, poi se lo passa sulla parrucca. Se ne sta seduto a gambe incrociate, anche lui sul bordo del nostro scaffale, ma sul lato opposto rispetto a me. Mi volge le spalle. 

Con l'altra mano, tiene uno specchio sollevato di fronte a sé. È uno di quegli specchi antichi, dotati di manico. Esamina con minuzia ogni centimetro del suo viso.

«Will... Ti ho mai raccontato del mio caro amico François-Marie?» mi chiede senza voltarsi.

Non vedo come avrebbe potuto. Ci conosciamo da ieri.

«No.» Alzo le spalle. «Chi è? È uno che sta qui?»

«Oh, oh!» Ridacchia. Che cosa ci sia di divertente, lo sa Dio. «No, no. Lui... credo soggiorni a Fernex.»

«Fernex...» ripeto, con voce atona. Spero capisca al volo. È inutile che mi tiri fuori nomi di posti che non conosco.

«È in Francia, proprio sul confine svizzero. A quanto mi risulta, vive lì già da qualche anno. O, almeno, questo è ciò che mi è giunto all'orecchio per bocca di alcuni nobiluomini che si sono recati in visita nella sua residenza... Non ho potuto verificare di persona.» 

A un tratto, abbassa la sguardo. Poggia il pennello di lato, nello spazio vuoto tra il ginocchio e le costine dei libri. Ruota il busto all'indietro. «Mi sarebbe davvero piaciuto rivederlo, prima di finire qui. Tanti dei miei migliori ricordi da vivente sono legati a lui e agli altri della Societé du Temple. Ma come potevo presentarmi così? Non sono invecchiato di un giorno, da quell'epoca! Per quanto ne sa lui, io sono morto più di vent'anni fa»

«Capisco... Succede.» Getto uno sguardo alla stanza, avvolta nel silenzio. È già la seconda mattina di seguito che ci faccio caso: prima di una certa ora, non c'è versi di beccare qualcuno in giro. Non credo che siano ancora tutti chiusi nel quaderni. Credo sia più una questione di... Di non avere buoni motivi per scendere dai ripiani. Ma magari mi sbaglio.

«Ah, povero François-Marie!» Florent torna a guardarsi allo specchio. Ruota un poco la testa da un lato, poi dall'altro, e rimira nel dettaglio ogni singola minuzia del suo viso. 

Ma... Aspetta. Non c'è niente, nel riflesso! Non c'è la sua faccia, ci sono solo io, a figura intera! Ma che diamine...!

«Ma... Che cosa...»

«È stato pure in esilio, sai?» continua lui, come se niente fosse. «Per via dei suoi scritti... mordaci. Lo sapevi?» 

«Uh?!»

Si volta di nuovo verso di me. Mi scruta con irritazione. «Parlo del mio amico di gioventù! Di François-Marie Arouet! Will, ma mi stavi ascoltando?»

«Ah... Ah, s-sì, scusa.»

Florent sorride soddisfatto. Torna a guardarsi nel vacuo riflesso. Che lui riesca a vedersi? O, magari, si tratta di una posa, di una specie di rituale senza senso, mantenuto da prima di diventare un vampiro...? 

Ed ecco che tira fuori qualcos'altro. Che diamine è, stavolta? Pare un... cofanetto rotondo, d'avorio decorato, più piccolo del suo palmo. L'ha preso dallo stesso punto in cui, poco fa, ha appoggiato il pennello e la ciotolina con la polvere argentata. Non credo che fosse già lì. O sì?

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