6. Becky Brown

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È incredibile tutto questo. È così... magico! È come vivere un sogno! Ma non lo è affatto. No, io sono sveglio... e lei è qui, accanto a me, ed è reale, com'è reale il cielo al di là della tenda, e l'enorme libreria accanto alla quale camminiamo, e il legno sotto ai nostri passi, e il battito rapido che mi rimbomba nel petto. È tutto vero.

Becky Brown.

Mio Dio, Becky Brown! I ricordi sono riemersi tutti insieme non appena l'ho vista. Lei si è affacciata dallo scaffale, timida, esitante, ed è stato come... Come essere investiti da un'onda, o... sentire un profumo di biscotti, inzuppati nel tè. Credo che la signora Decroly ci abbia raccontato una storia del genere durante l'ora di letteratura, su dei biscotti che venivano inzuppati nel tè, e che facevano tornare la memoria al protagonista... Non ricordo il contesto. Però è stato qualcosa del genere, anche se a me è sembrato più... l'odore dell'oceano, trasportato dal vento. Mi è entrato nelle narici, nelle vene, e ha fatto sbocciare le corolle richiuse, dentro la mia testa. 

Becky... 

E pensare che, fino a un attimo fa, non ricordavo niente di lei. Mannaggia, stupidi angoli della bocca che non vogliono andare giù! Sembrerò uno stupido, a sorridere così...! O forse...

Becky solleva lo sguardo dal pavimento e mi guarda negli occhi, solo per un istante. Anche lei sorride. Dio, è così carina... Si sforza, proprio come me, di far ritornare dritti gli angoli della bocca, che non ne vogliono sapere. Le sue gote vellutate si colorano di porpora e d'improvviso, anche io sento del calore sulla faccia. In teoria, era compito di Nevan farmi fare un tour di questo posto. Non ho idea di che fine abbia fatto. Mi pare che abbia detto qualcosa prima di dileguarsi. Ma che importanza ha? C'è solo Becky, adesso.

«Ehm...» D'istinto, sfilo una mano dalla tasca della felpa, e la passo tra i capelli, dietro la nuca. «Devi... Devi perdonarmi, Becky, sono un po' scombussolato.»

Lei trattiene una risatina nervosa. «Non preoccuparti, sei perdonato» sussurra. «Lo sono anch'io...» 

A passi lenti, avanziamo alle spalle della sedia girevole, in direzione della finestra. Tanti piccoli occhi curiosi ci scrutano dall'alto, si affacciano e si ritirano come uccellini tra le chiome degli alberi. Ormai è da un po' ho smesso di badarci, nonostante i loro cinguettii non si siano mai interrotti da quando abbiamo iniziato la passeggiata. Penso... Penso che parlano proprio di noi. E fanno bene. È un momento così straordinario, che sarebbe un peccato non assistere. Credo che la mia gioia si sia trasmessa fino a loro.

«È che tutto mi aspettavo, venendo qui, tranne che avrei incontrato una persona che conosco,» le dico. «Ma quindi, tu mi confermi che noi... Noi proveniamo dalla stessa città. Giusto?»

«Esatto, sì.» Becky si arrotola con cura una manica del maglioncino a righe, scopre la pelle chiara dell'avambraccio. Al polso ha dei sottili braccialetti di corda, a uno è attaccato un ciondolo a forma di delfino. «Mio padre era di Richmond, ma io sono nata e cresciuta a Vancouver. Come te.» Si scosta una ciocca di capelli dal viso e mi sorride.

«Bene, bene...» Faccio sì-sì con la testa, controllo il mio respiro... Ma perché mi sto impegnando così tanto a rimanere impassibile? A cosa serve? Lasciati andare, Will. «Oh, Dio, Becky. Non sai quanto... Quanto mi renda felice sentirlo, e, e...» E averti ritrovata. Mi mordo il labbro inferiore. «E, e... anche tu sei di Downtown Eastside?»

«Oh, no. Non proprio. Casa mia è in Salsbury Drive, sai? Nel quartiere di Grandview Woodlands...»

«Ah-ah, capisco...» Non ho capito. «E, uhm... Dove si trova?»

Le sue pupille guizzano su di me, incredule. Si porta li pugno vicino alla bocca, cerca di nascondere la risatina. 

Già... Diamine, deve essere buffo, in effetti, sentire un nativo fare una domanda del genere, manco fosse un turista. Ma io... che cosa ci posso fare? 

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