20. Una dimostrazione

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«Bonjour, monsieur Donovàn.» La voce, ben riconoscibile nonostante il tono più dimesso del solito, rimbomba nella fenditura tra il fondo della libreria e i libri allineati con la costina rivolta all'esterno.

Bene, neanche il tempo di far svaporare l'odore della carta dalle narici... Non so se riuscirò a sostenere una conversazione, adesso. Sospiro, e claudico impacciato fuori dalle pagine. Il vampiro è seduto, come al solito, sul taglio superiore dei libri del nostro scaffale, con le gambe che dondolano, una caviglia sull'altra, verso il mio angolo semibuio.

«Ciao» gli rispondo cupo. Allungo il braccio dentro il taccuino e trascino fuori lo skate.

«Ti sei svegliato tardi, ragazzo.»

Alzo le spalle, indifferente. Non è la verità, perché sono sveglio già da un bel pezzo, ma Florent può credere quello che vuole. Non mi va di spiegargli che non avevo voglia di affrontare anche questa giornata, e che ho preferito nascosto tra le pagine. Non capirebbe. Non lui, che non sembra mai avere una preoccupazione per la testa. 

Forse però sarebbe orgoglioso di me, se gli dicessi che ne ho approfittato per condurre un esperimento sul funzionamento dei quaderni. Era da un po' che mi chiedevo: "Chissà se, aprendo soltanto un piccolo spiraglio dall'interno senza però uscire, il tempo riprenderebbe a scorrere, oppure se rimarrebbe congelato come accade a pagine chiuse.

A quanto pare, riprende a scorrere. Peccato si provi anche una noia incommensurabile, a far così. Altrimenti, avrei potuto prenderla in considerazione come opzione definitiva.

«Ma... c'è qualcosa che non va?» Il vampiro si china un poco in avanti per squadrarmi dalla sua posizione sopraelevata.

Mi ero quasi dimenticato della sua presenza. Ma perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? Oh... già. Perché mi sono "svegliato tardi". Certo.

«Non preoccuparti, va tutto bene.» Un'altra bugia. Mi fermo, con lo skate sotto l'ascella. Devo ancora decidere cosa fare, adesso. Forse, è il caso che... mi informi. «Ehm... Florent? Come... Com'è la situazione, lì fuori?»

Lui tiene lo sguardo proiettato verso sinistra, oltre la linea delle spalle. Non reagisce in alcun modo alle mie parole, come se non mi avesse sentito. In compenso, sembra concentrato su... qualcosa, nella direzione degli scaffali vicini. Eppure, c'è un silenzio di tomba nello studio. Non si sente volare una mosca; non un brusio, non uno scalpiccio di passi dai piani superiori.

«Florent...?»

Si riscuote all'improvviso. «Uh?»

Diamine, non l'ho mai visto tanto assorto. È strano... Forse ho sbagliato a pensare che non abbia mai preoccupazioni per la testa. «Ti ho chiesto...» Scuoto la testa. Conviene che io sia più specifico nel formulare la domanda. «Per caso qualcuno dei nostri è fuori per un sopralluogo?»

«Oh, oui. Ho visto alcune persone uscire, più o meno... venti minuti fa. Il piccolo mezz'elfo, monsieur Iskandiar... e poi, non so. Ero impegnato in una conversazione, quindi non molto attento.»

Dannazione. Avrei voluto uscire io, da solo... come ieri. Ma non posso farlo, se ci sono già gli altri per il corridoio. Verrebbe meno lo scopo ultimo della cosa, cioè non incontrare nessuno.

Florent si rimette a guardare nella medesima direzione, come se nulla fosse.

«Okay, grazie» borbotto con noncuranza. Spero non traspaia troppo il mio fastidio. Già è tanto che non mi abbia chiesto perché volevo saperlo, e che io non mi sia dovuto inventare qualche scusa. Non vorrei rompere l'idillio.

Bene. L'unica alternativa è dunque rimanere all'interno di questa stanza... Che scocciatura. Mi incammino verso il passaggio. La luce che serpeggia ai miei piedi, proveniente dall'altro lato, è più chiara del solito. Segno inequivocabile che, mentre eravamo ibernati, qualcuno ha lasciato le tapparelle aperte, forse per lavorare alla scrivania col favore della luce diurna. 

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