Il tetto.
Non ci posso credere! Kurt ha trovato una via per l'esterno! Il tetto... l'aria aperta! Mio Dio, non ci ho mai pensato per tutto questo tempo, e adesso anelo quel piccolo sprazzo di cielo come una fontana nel deserto, come un morto di sete, e i miei piedi accelerano nell'ultimo tratto. Voglio uscire, ora...! Poi, un dubbio:
«Ma... Ma è sicuro?!» chiedo. Il tono della mia voce trasuda di concitazione. «Non, non è... troppo lontano dallo studio...? Quando... Quando Nevan ha cercato di raggiungere il piano di sotto... E, e, e il tetto è come un altro piano!»
«Tranquillo, me la sono studiata bene!» Kurt si sporge col busto verso sinistra. Alza il braccio sopra la testa, e infila le dita in una fessura. Una graticola rettangolare, piena di ammaccature e con le viti allentate, scorre di lato e libera il passaggio. La sento tintinnare, un attimo dopo. Dev'essere rimbalzata sulle tegole.
«Cioè?» gli chiedo.
«In linea d'aria, questo posto è più vicino rispetto alle scale.» Spicca un balzo. Le corde della scala, sotto di lui, ondeggiano appena. Si aggrappa al bordo del tubo e solleva. Sopra di lui, c'è una sorta di cupola di alluminio aperta sui quattro lati. La sua testa... supera la linea d'ombra. «E poi, ho tracciato delle righe a terra» dice. I suoi capelli dorati, la pelle del suo viso, sono avvolti dai raggi del sole. «Vieni, ti faccio vedere. Basta non superare quelle.» Si affaccia di nuovo, e mi porge il braccio. Come sempre.
Il vento. L'odore dell'ardesia bruciata dal sole. La luce accecante sul viso. Tutto mi arriva con un'intensità da far star male, sono... senza fiato.
Di fronte a me, il tetto della casa di fronte. E poi, un altro. E un altro ancora. E ancora, ancora, ancora. Un copia-incolla mostruoso, senza fine.
«Vieni.» Una leggera pressione sul braccio. «Da quest'altro lato la vista è migliore.»
Mi volto. Kurt sta già digradando di qualche tegola. Siamo un po' in pendenza, come potevo immaginare. Di fronte a lui, una sterminata distesa di prato, con l'erba corta e verde accesa, riempie lo sguardo. Un colle, in lontananza, occlude lo sguardo dell'orizzonte.
«Incredibile» sussurro. Se non fosse per il rumore delle auto che sfrecciano lungo Hillend Road, sembrerebbe quasi di trovarsi in aperta campagna. E invece... siamo a Glasgow. Okay, non in centro città, questo mi pare ovvio. Ma è pur sempre una metropoli enorme.
«Attento a dove metti i piedi! Ci sono... punti un po' instabili.» mi dice. Poi, si ferma. Ha trovato posto proprio sul bordo di una tegola, e si siede, col viso rivolto verso il colle. Si volta all'indietro, sorride, e mi fa cenno di sedersi vicino a lui.
Mi avvicino, con cautela. Il cuore mi batte così forte che riesco a sentirlo martellare dentro le orecchia. A dire il vero, non credo ci sia alcuna possibilità di cadere, qui. La pendenza non è tanto profonda; e anche nel malaugurato caso in cui dovessi iniziare a rotolare come una palla, prima di sfracellarmi al suolo verrei frenato dalla grondaia sulla destra. Non c'è alcun motivo di essere nervosi, dunque. Tranne... l'incognita.
Kurt.
Il movimento lento delle sue spalle asseconda il ritmo del suo respiro. Su, giù... Su, giù... I raggi del Sole gli accarezzano la pelle dietro al collo, e donano riflessi iridescenti alle squame sottili. Non l'avevo mai osservato così da vicino... O forse, non avevo mai fatto attenzione. La pelle da rettile inizia ad ammorbidirsi in prossimità dell'orecchio, fino a fondersi del tutto alla parte umana.
«Bello quassù, eh?» mi fa, senza voltarsi. «Dai, di' la verità. Ne è valsa la pena di seguirmi alla cieca, no? Una volta tanto.»
E la consapevolezza mi raggiunge come uno schiaffo: per quanto sia davvero bello, quassù; per quanto avessi nostalgia, senza saperlo, del mondo fuori... c'è solo lui. Lui, e basta, sopra tutto il resto.
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Incompleti
FantasíaWill Donovan ha 17 anni. Sa di vivere a Vancouver, nel quartiere di Downtown Eastside. A parte questo, non ricorda nient'altro della sua vita. Da quando è finito 𝘲𝘶𝘪, la sua memoria è incompleta. E tutto ciò di cui gli importa è tornare a casa.