9. Contro Kurt

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«Ops!» A un tratto, il piede destro perde l'aderenza contro il gradino e scivola all'indietro. Cerco di rimetterlo subito a posto, senza guardare, ma urto contro la corda e anche l'altro piede se ne va. «Cavolo, cavolo!» Stringo la barra con ancora più forza. Per un attimo, sono sospeso nel vuoto, con le braccia in tensione, e ondeggio avanti e indietro, come attaccato a una liana mossa dal vento. Sgambetto frenetico, alla ricerca del piano d'appoggio. Rieccolo...! Tiro un sospiro di sollievo.

Guardo giù, verso il pavimento. Be', per fortuna sono arrivato quasi alla fine della scala. Anche se fossi scivolato non sarebbe stata una tragedia. 

Discendo gli ultimi tre scalini. Un balzo all'indietro, e atterro a piè pari sul suolo legnoso. 

Mi fermo un secondo per riprendere fiato. 

Non credo di potermi abituare a queste altezze. Al solo pensiero di dovermi arrampicare di nuovo per tornare lassù, sulla cima della cassettiera, mi si contorce tutto lo stomaco, e questa scala... Sì, sì, bella, ingegnosa, ma non mi fa smaniare dalla voglia di andare a trovare spesso il signor Pierce. Accidenti a lui e a chi ha messo i quaderni così in alto! 

Sospiro. Va be', dovrò farmene una ragione. È chiaro che passerò altro tempo con lui, a prescindere dal resto. È l'unica persona di cui mi fidi e che non mi consideri una nullità, qui!

Ora, però, il problema è un altro. Mentre ero lassù a parlare con lui, pochi minuti fa, c'era un gruppetto di persone che parlava nei pressi della porta. Sono partito più o meno subito, dopo aver sentito le loro voci, ma... quanto tempo ci ho messo a scendere? Eh, bella domanda. Sono ancora in tempo per beccarli o sono già usciti per l'ennesimo sopralluogo? Sarebbe il colmo, se ora arrivassi là e scoprissi che non c'è più nessuno. Avrei mollato il mio professore per niente.

Le voci, non mi pare di sentirle più. Porto un piede in avanti. Aspetta: ho lasciato lo skate infilato nell'intercapedine. Che faccio, lo riprendo o...? No, no. Meglio che mi dia una mossa. Posso sempre tornare qui più tardi. 

Inizio a correre lungo il fianco del mobile. O forse è meglio che non corra, per non far sembrare che ci tengo troppo? Non... Mio Dio, ma che ne so?!

E così, dal primo quarto della cassettiera in avanti, procedo con un'ignobile ibridazione tra camminata e corsa, con un'andatura indecisa e priva di senso. Non vedo l'ora di essere arrivato. Spero che nessuno stia facendo caso a me.

Oh, c'è qualcuno! Laggiù, oltre lo spigolo, sbucano i ciuffi disordinati di Nevan. Porta un gilet senza maniche e le sue braccia scure sono ficcate dentro una sacca aperta, appoggiata sul pavimento. Tiene un ginocchio poggiato a terra. Rallento il passo, cerco di sbirciare il più possibile. Di fronte a lui c'è Rahel, la ragazza con il cranio mezza rasata; è in piedi, ma china su di lui, e sembra intenta a scrutare all'interno della stessa borsa con grande attenzione. Una treccina le ricade sulla fronte. 

Alzo il braccio in aria. «Ehm, ragazzi...? Nevan?» 

Il mezz'elfo solleva la testa di scatto. Le iridi rossastre sbaluginano sotto le ciocche scomposte.

«Will!» Sorriso incerto, sopracciglio inarcato. Sembra sorpreso, e non in senso del tutto positivo. Si scambia una rapida occhiata con la ragazza, poi torna su di me. «Ti... Ti unisci a noi?» 

Ed è gentile a chiederlo, sì, ma... il suo tono mi suona... un po' strano: impostato, un po' finto, come se trovasse la mia presenza inopportuna. "E tu cosa ci fai qui? Che c'entri?" È questo che mi aspetterei di sentire da uno che mi guarda con quella faccia.

O almeno... credo.

Alzo le spalle. «Ehm, no. Passavo solo di qui.» Mi sento un po' in soggezione, adesso. Non credo, però, di aver fatto qualcosa di male a venire fin qui. Non ha senso. Perché dovrei essere accolto con tutta questa freddezza? Dev'essere una mia suggestione, e nient'altro. M'infilo le mani in tasca, faccio un passo in avanti. «P-perché, cosa state...?» 

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