25. L'alba del drone

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Non... 

Non voglio.

Dio. Mi reggo la testa con entrambe le mani, la sento... pesante, come un macigno. Il collo è così debole e molle che sembra incapace di tenerla dritta. Eppure, non dovrebbe essere così. Il sonno, o qualunque cosa sia quello stato in cui cadiamo dopo aver ricevuto il richiamo, dovrebbe renderci immuni da qualsiasi malore o malattia. Ma, forse, è un trucco che funziona solo coi male del corpo, e io...

Mi tolgo la mano dal viso e sollevo lo sguardo di fronte a me.

Il bianco, le righe, l'inchiostro blu e la scritta:

Will Donovan

 E poi:

### Heatley Ave, Downtown Eastside

Vancouver

«Heatley Ave, Downtown Eastside.» Sussurro l'indirizzo tra me e me. Lo rimescolo, tra la lingua e i denti, e lo risputo fuori, per fissarlo al di sopra nella nebbia che mi avvolge la testa e mi impedisce di pensare.

«Downtown Eastside. Vancouver.»

Il mio passato e il mio futuro al contempo. La destinazione e l'origine. Il luogo in cui provengo e a cui tornerò.

Casa mia.

Mi massaggio la fronte, a capo chino. Io... non ce la faccio. Mi sento in trappola, come su un treno lanciato nel nulla, che non prevede fermate intermedie.

Sospiro.

Se non fosse per come si sono evolute le cose negli ultimi tempi io, ora, dovrei essere concentrato su tutt'altro. Sul seguire il piano, analizzare tutte le sfumature, discuterne con gli altri. E invece...

E invece, cosa sto facendo? Sto uscendo di testa. Dio mio... E mi torna in mente quando, sul tetto, è stato Kurt a tirare fuori il discorso. Mi è sembrato... così eccessivo, in quel momento. O come minimo, prematuro. Non avere alcun motivo per tornare a casa... Credere di aver trovato quello che di cui si ha bisogno, qui... Ma in che stato emotivo alterato bisogna trovarsi, per arrivare a pensare una cosa del genere? Per non voler tornare a casa...

Cosa diavolo stavo pensando, mentre me lo diceva? Sono stato stupido, non l'ho preso affatto sul serio. Non fino in fondo. Per quanto vedessi, dal suo sguardo, che era sincero, ho comunque creduto che le sue parole potessero essere archiviate come il frutto di un momento di crisi, di un'infelicità tale da distorcere la percezione dei fatti per come sono in realtà. Kurt doveva averli per forza dei motivi per tornare a casa, come... Come ce li avevo...

### Heatley Ave, Downtown Eastside

Vancouver

«Basta» sussurro tra me e me. Non la voglio più vedere, questa stupida scritta. 

Con un gesto di debole stizza che pare dar fondo alle poche energie che ho nel corpo, mi spingo fuori da questo taccuino. Non ho nemmeno le forze per tendere le braccia in avanti, e tenere aperte le pagine per facilitarmi i movimenti. Mi limito a strisciare a ridosso della carta, e a sbucare fuori come un verme da un buco nel terreno... e quando poggio il piede a terra, sul fondo della libreria, il mio passo è così pesante che l'urto si riverbera lungo il mio corpo fino a rimbombare nel cranio. Dietro di me, lo skateboard si stacca dalla pagina come un adesivo incollato male. Sbatacchia per terra, rimbalza sul legno e mi colpisce dietro agli stinchi. Lo lascio lì, al suolo, a mo' di fermaporta. Lo recupererò, forse, dopo.

Mi fermo poco oltre il taglio della carta, a occhi chiusi. La testa mi pulsa ancora... Mi massaggio le tempie, con piccoli movimenti circolari, e inspiro piano. Spero solo di riprendere un po' di lucidità, e di sentirmi meglio, col passare dei minuti. 

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