Tutto inizia con un brusio.
È sottile, basso, uniforme. All'inizio non ci si fa neanche caso. È confuso col resto dei rumori di fondo, la cui origine è posta a una certa distanza. Potrebbe essere scambiato per il ronzio di un vecchio frigorifero acceso, appoggiato contro la parete di una cucina, alla fine del corridoio... La rapida rotazione della ventola fa vibrare l'elettrodomestico intero, e quella vibrazione si trasferisce al muro, al pavimento... e si riverbera come un'onda, stanza dopo stanza, e coinvolge ogni cosa, tutto attorno a te. È un qualcosa... che fa da sottofondo alla vita, e che a un certo punto si smette di sentire. Diventa solo un altro tipo di silenzio.
Finché, magari, non resti da solo in casa, con le finestre chiuse, il televisore spento... e resti immobile, regolando il respiro; quando anche i tuoi pensieri, di colpo, smettono di fare rumore, ecco che puoi tornare a sentirlo. E ti stupisce, come stupisce sempre notare dopo tanto tempo qualcosa che è sempre stato lì, e non se n'è mai andato. Ma non ti dà fastidio.
Tuttavia, questo è il modo in cui inizia.
«Sono sveglio...» sussurro tra me e me, con la schiena appoggiata al muro. «Sono sveglio.»
Poi, però, quel brusio aumenta. Lo fa poco a poco, come se qualcuno alzasse il volume dello stereo di una tacca al minuto. Quasi non te ne accorgi, non ti sembra nemmeno di percepire il cambiamento, finché il suono non è così intenso che non è più questione mettere da parte i pensieri per concentrarsi su ciò che c'è al di fuori. Non sei più tu che vuoi percepirlo. È lui, e lui soltanto, che ti possiede; e ti riempie la testa, come un vaso, e non ti puoi più sottrarre.
E quello è il principio dell'intorpidimento. Agisce su di te come un'ipnosi. Bzzz... Bzzz... Bzzz... Il brusio, sempre più nitido, più ingombrante. E a un tratto, non è più solo un rumore.
Sono... parole. Parole dotate di senso. O, almeno, così ti sembra.
Ritorna... ti dice. Ritorna...
Ritorna... Ritorna... Ritorna...
E non lo sai da dove viene davvero. Da fuori? Da dentro la tua testa...? La distinzione è diventata troppo sottile, e non riesci a pensare ad altro... che alla distanza che ti separa dal tuo taccuino. E al dolore... fisico... della lontananza.
«Sono sveglio» bisbiglio, a palpebre sbarrate. «Sono sveglio.»
La mia mano è stretta in modo convulso attorno a qualcosa di freddo. Lo è da così tanto tempo che non ricordo più di cosa si tratti.
Siamo già oltre. Siamo già oltre al momento in cui, in una qualsiasi altra circostanza, sarei già ritornato verso la fonte.
La mia gola è secca. La vista è appannata. Dove mi trovo...? Dovrei saperlo. Sono stato io a venire qui. O almeno, mi pare che sia così. I dettagli sono confusi... ma, ho questa sensazione... di aver avuto tempo per pensarci, e di aver vagliato tante opzioni prima di decidere. Perciò, potrei anche aver fatto una sciocchezza, sì... Una follia. Ma posso avere fede di trovarmi in un posto giusto. Un posto che, nel mio passato recente, un'altra versione di me, più lucida, più consapevole, ha considerato adeguata allo scopo e ha scelto per il mio bene, e per il bene degli altri, e per non farmene preoccupare ora. Il nascondiglio perfetto, anche se non so quale sia.
«Sono sveglio... sono sveglio...»
Ritorna... Ritorna... Ritorna
E, per un istante, sono colto da una nuova forma di consapevolezza. Per quanto continui a ripetermi questa frase: "Sono sveglio... Sono sveglio..." Che, certo, sono stato io a decidere in anticipo, anche se non ricordo quando... E per quando mi stia sforzando di rimanere presente a me stesso, di non perdermi, sono... diviso in due. E c'è una parte che resiste, e un'altra che spinge... E spinge, spinge... Spinge per liberarsi, e per obbedire all'imperativo.
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Incompleti
FantasyWill Donovan ha 17 anni. Sa di vivere a Vancouver, nel quartiere di Downtown Eastside. A parte questo, non ricorda nient'altro della sua vita. Da quando è finito 𝘲𝘶𝘪, la sua memoria è incompleta. E tutto ciò di cui gli importa è tornare a casa.