18. Fatal Flaw

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Con la testa bassa, inginocchiato a terra, cammino a gattoni lungo la parete interna dello scaffale. Voglio andare avanti, fino all'angolo più buio, per rannicchiarmi lì, in silenzio, con la schiena al muro e le braccia strette attorno alle ginocchia. Io... non sto bene.

In un altro scenario, qualunque altro, avrei almeno potuto "dormirci sopra". 

Sempre che sia possibile prendere sonno, dopo una cosa del genere. E non... passare la notte intera a fissare il soffitto, con le viscere annodate, le fitte nel petto, trascinato nel turbine ossessivo dei pensieri rimasticati e sputati fuori dalle tenebre. 

Perché, in questo caso, non avrei avuto nemmeno la consolazione di poter dire a me stesso: "Ma no, mi giudica così male perché non mi conosce". Oppure: "Lo dice col preciso intento di ferirmi. Non devo dargli peso, non c'è nulla di vero". 

Perché nessuno mi ha detto nulla, per ferirmi. Nessuno mi ha giudicato in alcun modo. 

Era tutto nella registrazione. La registrazione... mi ha sbattuto tutto in faccia, senza alcun filtro.

E poi, qui non si può dormire. Si rientra nel quaderno e se ne riesce, e questo è quanto. Non esiste alcuna percezione del tempo, una volta che si è lì. Perciò, è come se non fosse passato nemmeno un istante. Tutti i ricordi sono freschi, e non fanno sconti.

Dopo la... realizzazione, ieri, i fotogrammi del video hanno continuato a susseguirsi a lungo, in un'inutile alternanza di PLAY e FF, sullo sfondo di una discussione sempre più accesa, intervallata solo da cupi silenzi. 

Ma io non seguivo più. Non lo facevo, perché ero ben conscio che l'unica scena importante fosse già stata trasmessa, e che tutto il resto non avesse più rilevanza di una sequela di titoli di coda. Ma sono rimasto lì, in mezzo al resto del covo, senza muovere un muscolo per un sacco di tempo, in una sorta di catatonia che persino io percepivo come artefatta, come uno stratagemma messo in atto solo per fuggire, a un qualche livello, anche senza farlo con le mie gambe. E c'erano gli occhi di Rahel, di Nevan, di Kurt, che mi piombavamo addosso come mazzate... E del professor Pierce, che non ho avuto il coraggio di guardare in faccia.

Poi, me sono andato. L'ho fatto un passo all'indietro alla volta, finché non sono arrivato alle spalle di tutti. A quel punto, Morbus sovrastava più l'adunanza dal fondo della sala. Deve aver avuto la mia stessa impressione, che non ci fosse altro da vedere. 

E me ne sono tornato qui, ad attendere un richiamo che sembrava non arrivare mai. 

Ora, mi sembra che mi manchi l'aria. Quanto sarà passato dal risveglio...? Oggi, come mai prima, mi risulta difficile capire il tempo. Mi sembra di essere qui da ore, anche se non ho fatto altro che uscire dal taccuino, acquattarmi sul legno e gattonare sulla polvere fino a qui. Ho sentito dei passi sul bordo dello scaffale, al di là delle costine dei libri, prima di nascondermi; e penso che fosse Florent, che si guardava attorno prima di andarsene per la sua strada. È possibile che non sia accorto che ero sveglio, o che abbia preferito starmi alla larga, e non essere costretto a...

A guardarmi. E a riconoscermi per quello che sono, cioè... l'incarnazione di tutto ciò che ci ha reso prigionieri qui, su questo piano. 

I battiti del mio cuore non accennano a rallentare. Mi risuonano nei timpani come tamburi, ma... credo che, Dopo il rumore dei tacchetti del vampiro sul legno, ci sia stato solo il silenzio. 

Io... voglio solo uscire da questa stanza. 

Certo, non escludo che gli altri potrebbero pure lasciarmi in pace, pure se rimanessi qui. In fondo, nessuno sa davvero cosa accada, in casi come il mio. Non mi ricordo più dove né quando, ma mi è rimasta impressa la storia di Nevan che, dopo essersi spinto troppo lontano dai quaderni, per un bel po' non è stato incluso nel risveglio. E se fosse successo anche a me? Perché non potrei essere sospeso in una sorta di ibernazione, a causa dello shock? Tuttavia... il rischio che qualcuno – chiunque – mi venga a cercare, c'è. E io... non voglio, non...

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