Sollevo lo sguardo. Oltre l'arco di pietra, appena al di là del porticato che mi ripara dai raggi del Sole, si apre un ampio cortile interno, chiuso sui quattro lati da quattro palazzi in stile neogotico ma di estetica differente. Gli aceri, le cui chiome si stagliano contro le facciate e le superano in altezza, proiettano chiazze d'ombra sulle panchine di legno, poste a una certa distanza l'una dall'altra.
È davvero stupendo. Sembra quasi un giardino segreto, protetto da una cupola invisibile che lo tiene separato dai rumori della città esterna, e che ti attrae dentro di sé con una malia. Avrei voglia di sedersi qui, con un blocchetto e dei pennarelli a punta fine, e mandare al diavolo tutti gli impegni della mattinata.
Solo che sto girovagando a vuoto da almeno quaranta minuti; avrò imboccato per tre volte ciascuna traversa e ormai credo di aver varcato tutti i portoni, senza riuscire a capire dove dovessi andare. Temo di essermi perso di nuovo, perché dubito sia in uno di questo palazzi che troverò l'aula della mia prima lezione.
Per fortuna ho messo la sveglia prestissimo stamattina, e sono uscito con largo anticipo. La situazione non è ancora disperata al punto di ammettere di aver bisogno di chiedere indicazioni ai passanti. Ho ancora tempo prima di ammettere la sconfitta e chiedere indicazioni ai passanti.
Discendo i tre gradini di pietra che connettono il basamento al prato, m'incammino a passi lenti, in direzione di una delle panchine. Non c'è quasi nessuno, nei dintorni. Solo una ragazza con un libro di mano, di spalle, seduta all'altro capo del cortile. Faccio scivolare lo spallino dello zaino lungo l'avambraccio, poi afferro con due dita l'angolino del depliant che sbuca dalla tasca laterale. Sulla prima pagina, sotto lo stemma bianco su sfondo blu, capeggia la scritta:
University of Toronto
Faculty of Arts and Science
La fotocopia del programma del primo semestre è ripiegata all'interno. L'ho messa qui, tra le pagine delle mappe dell'Ateneo, in modo da avere tutto sott'occhio alla bisogna. La sfilo, la dispiego, e inizio a scorrere l'indice sulla tabella mentre sono ancora in piedi.
FAH101H5 / Introduction to Art History – H 10:00 - 12:00
L'ultima volta che ho guardato l'ora sul telefono – e sarà stato dieci minuti fa, al massimo – non erano ancora le nove. Quindi, se riuscissi a trovare l'aula in tempi decenti, potrei addirittura pensare di cercare una caffetteria nelle vicinanze, per fare colazione con calma.
La mia attenzione, però, viene attratta dal riquadro successivo. E mi blocco.
Inizio delle lezioni: Martedì 17/09/17
Fine delle lezioni: Venerdì 22/12/17
«Oh...»
Sbatto le palpebre più volte, come se fossi vittima di una qualche forma di illusione sensoriale e così facendo i caratteri stampati potessero apparire diversi a una seconda rilettura. Ma niente di tutto ciò avviene. E, a questo punto, posso solo prendere atto di due verità fondamentali.
La prima è che io sono un cretino.
La seconda è che il mio corso inizia domani.
Mi lascio ricadere sulla panchina con tutto il mio peso.
Dannazione, ma com'è possibile? Ho creduto per tutto il weekend che avrei iniziato di lunedì. Ho riguardato l'orario ieri sera, prima di mettermi a letto; l'ho riguardato stamattina, prima di infilarlo nel depliant. L'ho riguardato sulla circolare, prima di scendere alla fermata. Come ho fatto a non accorgermi mai, neanche una volta, del fatto che c'era scritto "martedì"?!
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Incompleti
FantastikWill Donovan ha 17 anni. Sa di vivere a Vancouver, nel quartiere di Downtown Eastside. A parte questo, non ricorda nient'altro della sua vita. Da quando è finito 𝘲𝘶𝘪, la sua memoria è incompleta. E tutto ciò di cui gli importa è tornare a casa.