𝓡𝓮𝓫𝓸𝓻𝓷

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Il sole ormai sta tramontando, la sua forma rotonda si spezza tra le cime delle montagne. L'aria è asciutta e frizzante e il panorama montano primaverile ribolle di vita. Il colore acceso delle foglie degli alberi risplende sotto la luce del vicino tramonto e tutto attorno si sente il canto degli uccelli e il rumore di qualche scoiattolo che guizza sui rami degli abeti. Una leggera coltre di fumo taglia quel paesaggio quasi idilliaco. È il fumo espirato da Alice, ormai ha finito la sua Lucky Strike, le piace fumare da sola  sulla scala anti incendio contemplando quel paesaggio tanto rasserenante. Spegne la sigaretta nel posacenere e si volta per guardare dentro la sala comune l'orologio appeso sul fondo della stanza. Le 18:30. È ora del colloquio. Ogni venerdì alle 18:30 Alice deve sostenere il colloquio con la dottoressa Shelby, la psichiatra assegnatagli dall'equipe medica. Appena arrivata in struttura Alice era in uno "stato pietoso " a detta dei medici. Dopo diversi colloqui i dottori avevano concluso che il trauma subito dal rapimento e tutto ciò che ne conseguì l'aveva segnata nel profondo e ci sarebbe stato un enorme lavoro da fare, lavoro che, a detta dei professionisti, avrebbe migliorato notevolmente la sua condizione, ma che non garantiva la ripresa di una vita normale fuori dalla struttura psichiatrica. Ad Alice andava bene così, nonostante tutto era in pace con se stessa e con quello che aveva commesso, non desiderava tornare ad avere una vita normale, semplicemente considerava ciò che le era accaduto come una benedizione, un avvenimento che le aveva permesso di conoscere se stessa e la sua natura. Che fosse malata lo sapeva benissimo. Malata, pazza, deviata, contorta...lo sapeva e lo accettava. I medici avevano compreso la sua visione delle cose e impostato il lavoro di conseguenza. Alice era una paziente destinata a vivere isolata dalla società per sempre, era chiaro per tutti. Da quel momento la ragazza era diventata quasi un oggetto di studio per i dottori in particolare per la dottoressa Shelby, alla quale era stato affidato il caso. Una ragazza che soffre di una forte depressione rapita da un pericoloso serial killer, seviziata per mesi e trasformata in un'assassina a sangue freddo. Quanto di più interessante per un professionista del funzionamento della mente?
Alice rientra nella sala comune, in sottofondo lo stereo suona un brano dei Beatles, il volume è basso. All'improvviso appare sulla soglia la dottoressa Shelby, una donna di 32 anni di bassa statura, i capelli castani sempre sciolti e curati e un viso dolce coronato da due occhi da cerbiatto capaci di scrutare fin nel minimo particolare i comportamenti del paziente.
"Vieni con me Alice." Esclama la voce squillante e allegra della donna. La ragazza la segue nello studio, un ambiente asettico di uso comune tra i medici della struttura. Le due donne prendono posto nelle rispettive poltrone ai lati opposti della scrivania e si guardano negli occhi per qualche istante. La dottoressa non smette di sorridere ad Alice che ricambia con un'espressione piuttosto rilassata che da tempo aveva cominciato a risiedere spesso sul suo viso. "Come stai Alice ?" Domanda la dottoressa. "Direi piuttosto bene." Risponde la ragazza. Era sincera. La psichiatra annuisce per poi tirare fuori dal cassetto della scrivania un'agenda marrone dalla copertina rigida. "Ho letto tutto quello che mi hai consegnato la settimana scorsa. Ti avevo detto di mettere per iscritto la tua...esperienza sin nei mini dettagli e devo dire che sei stata piuttosto specifica, ma non pensare che ci sia malizia nelle mie parole, più dettagli aggiungi meglio riesco a comprendere." "Quindi ? Pensa ancora che il cinquanta per cento di ciò che mi è successo sia frutto della mia immaginazione?" Esclama sicura Alice. La psichiatria riflette per qualche secondo, i suoi occhi scuri si abbassano per poi tornare a guardare la paziente. "In realtà no Alice. Dopo aver letto tutto ciò che hai scritto sono praticamente sicura che ogni cosa che ti è accaduta sia totalmente reale." Un'espressione di stupore compare sul volto della ragazza. "Non mi prenda in giro dottoressa." Esclama Alice guardinga. "Le mie parole sono sincere!" Replica la donna aprendo l'agenda e sfogliandola. "Per tutto il tempo, anche negli stati di catatonia, in qualche modo sei riuscita a rimanere vigile, si evince benissimo, hai un ricordo preciso di ogni avvenimento, ogni minimo dettaglio lo descrivi in modo minuzioso." A questo punto Alice è ancora più stupita di prima. Per la prima volta da quando era ritornata nella società un medico stava credendo al suo racconto. La Shelby sorride, poi aggiunge. "Vedi Alice, è vero, la mente ci gioca brutti scherzi nelle situazioni di pericolo, ma ho abbastanza dati per affermare con certezza che questo non fosse il tuo caso." La ragazza è quasi sconcertata. "Quindi...mi crede?" Domanda Alice incredula. "Certo che ti credo!" Esclama la dottoressa.
Per qualche istante regna il silenzio tra le due, silenzio che serve ad Alice per processare quanto appena le è stato detto. "Sa dottoressa...mi sento finalmente compresa. Non ho mai pensato nemmeno per un secondo di essermi immaginata tutto, anche le situazioni più assurde erano tangibili. Ormai ho imparato a capire quando la mia mente mi gioca degli scherzi e quando ciò che sto vivendo è reale." Esordisce la ragazza. "Jeff era reale, quello che ho vissuto con lui anche, e sa dottoressa...io continuo ad amare il suo ricordo e penso che continuerò a farlo per tutta la vita. Quello che ho vissuto con lui mi ha cambiata profondamente, ha fatto sì che imparassi a conoscermi, a conoscere la vera Alice, che tenevo celata da troppo tempo...e gli sarò per sempre grata per questo. Badi, questo non significa che seguirò imperterrita le sue orme, per quanto mi piacerebbe non mi sarà più possibile, ma perché ciò che ho vissuto è stato relegato a quel momento. Non si ripeterà mai più purtroppo ma mi ha fatto capire cosa si nascondesse dentro di me, la mia natura più profonda che ho scelto di abbracciare nonostante le conseguenze che tutt'ora sto pagando. E sa una cosa ? Sono estremamente felice di averlo fatto perché ora so chi sono. So chi è Alice Kell. " Alice smise di parlare. Gli occhi penetranti della psichiatra non si erano mossi dal volto della paziente per tutta la durata del suo discorso, accompagnati da un'increspatura sulle sue labbra che denotava estrema attenzione per ciò che stava ascoltando. La Shelby sorride e poi esordisce:" Sai Alice, io non penso che tu sia malata, al contrario, penso che tu sia molto più sana mentalmente di molte persone la fuori. Semplicemente sei...diversa. Di casi come il tuo non me ne sono capitati molto fino ad adesso." La ragazza guarda la dottoressa confusa,alchè quest'ultima, avendo compreso la sua confusione, riformula la frase:" Mi spiego meglio, è chiaro che la tua mente soffra, questo è appurato, ma ciò che i miei colleghi chiamano "trauma" al contrario, io penso che sia stata un'occasione, per quanto brutale, che la tua mente ha sfruttato per riordinare ciò che la opprimeva.
Ciò accade quando il nostro cervello prende consapevolezza di quello che gli sta causando sofferenza e, di conseguenza, si attiva per superarlo. I mezzi che tu hai usato sono semplicemente diversi dagli ordinari." La psichiatra smette di parlare.
"Sa dottoressa,quello che mi ha appena detto mi suona come qualcosa che già sapevo ma che non avevo mai tirato fuori."
"Oh, ma tu lo sapevi da tempo Alice. Semplicemente non avevi i mezzi che ho io per giungere ad una conclusione così chiara. E poi, se così non fosse tu non avresti mai raggiunto un livello di pace con te stessa così alto."
Alice abbassa lo sguardo e sorride, una sensazione di piacevole calore la pervade. Per un attimo sembra quasi che stesse per scoppiare a ridere. Le parole della psichiatra hanno fatto chiarezza su ciò che lei provava da tempo. " Jeff lo sapeva." Sussurra Alice.
La Shelby assume un'espressione che fa evincere che non avesse sentito bene. "Ho detto che penso che Jeff sapesse...che ero diversa intendo." Ripete Alice.
"Ne sono convinta." Risponde la psichiatra.
Qualcuno bussa alla porta, "Avanti." Risponde la dottoressa. È l'infermiera che comunica alle due donne che l'orario della cena è giunto. Alice si alza e saluta la dottoressa che le dà appuntamento alla settimana successiva. Dopodiché la ragazza si reca alla mensa, una stanza al piano terra con disposti una serie di tavoli lunghi e candidi dove i pazienti appartenenti a quell'ala della struttura consumano i pasti. Viene servito del polpettone con purè di patate. Alice mangia tutto con gusto, da quando ha fatto il suo ingresso nella struttura l'appetito le è tornato e riesce a godersi ogni pasto con piacere. Finita la cena i pazienti si recano nelle rispettive stanze per prepararsi per la notte. Da circa un mese ad Alice è stata assegnata la stanza singola con il bagno integrato. Inizialmente i pazienti devono essere affiancati dagli infermieri 24 ore su 24, poi, gradualmente, gli viene data sempre più autonomia, fino ad arrivare ad auto gestirsi quasi completamente. Alice si spoglia e entra nella doccia. L'acqua calda e il sapone morbido le scorrono sulla pelle dandole una sensazione di piacevole rilassamento. Assicuratasi di essere completamente pulita abbassa il rubinetto e si avvolge in una asciugamano per poi andare a specchiarsi. Ormai è diventata un'abitudine dopo la doccia scrutarsi fin nei minimi dettagli, è un modo per monitorare i cambiamenti nel suo corpo. La superficie di vetro riflette solo la parte superiore del corpo della ragazza, ma è comunque sufficiente. I capelli ricci tendenti al rosso le arrivano appena dopo le spalle, appena arrivata in struttura li aveva sistemati tagliandoli un po'. Il suo viso aveva una forma molto più morbida di prima, affusolato ma pieno. Gli occhi verdi non erano più così sporgenti, troneggiavano sul  viso in modo armonioso. Aveva preso qualche chilo dal suo arrivo, lo si notava soprattutto sulle spalle, non più ossute e spigolose. La cosa che era cambiata più di tutte era la sua espressione. Lo sguardo sconvolto e assente ha lasciato spazio ad un'espressione dolce e pacifica che increspa il volto di Alice come piccole onde su un lago piatto mosso dolcemente dalla brezza estiva. Ad Alice piace la sua immagine riflessa, non solo per la sua fisicità ma soprattutto per la nuova forma che aveva assunto la sua mente. È finalmente in pace con se stessa. Il tormento interiore che la attanagliava da anni aveva lasciato spazio a una tranquillità pari a quella di un deserto. Certo, il prezzo da pagare era stato il sangue di innocenti, ma tutti sanno che la pace si raggiunge sempre con la guerra, e ad Alice questo non pesa, lo avrebbe rifatto mille volte se farlo avrebbe significato riconoscere la persona che vede riflessa nello specchio. Finalmente può darsi un nome, un volto, un'identità ultima. Lei è Alice Kell. Alice Kell stava per sparire definitivamente, stava per eclissarsi tra le spire della sua sofferenza, abbandonata tra i rovi della depressione. Ma proprio nel momento in cui l'ultimo barlume di quella debole identità si stava spegnendo un angelo era caduto di fianco a lei e le aveva teso una mano che, se avesse deciso di afferrare, l'avrebbe condotta verso una terra inesplorata, sconosciuta, offrendole la possibilità di rinascere nella sua vera forma. Alice aveva stretto forte quella mano e si era completamente affidata al suo angelo custode che l'aveva ricostruita da capo estraendo dalle  ceneri di un'anima perduta la vera essenza di una ragazza ridotta in un cumulo di macerie da troppi anni. Quell'angelo le aveva mostrato la via della salvezza a discapito delle sue ali, che si era strappato per completare la sua opera di rinascita nei confronti di Alice, e ora, il suo ricordo sarebbe rimasto dentro la ragazza per sempre, scorre nelle sue vene come linfa vitale che le da la forza di continuare a vivere in un mondo che la vedrà per sempre come profana.

ℭ𝔯𝔞𝔷𝔦𝔢𝔯 𝔱𝔥𝔞𝔫 𝔪𝔢 (Jeffxoc)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora