CAPITOLO CINQUE

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GIADA

"Se vuoi mantenere un segreto,
devi nasconderlo anche a te stesso."
~George Orwell

L'uomo applaudì la mia sola entrata, sempre con quel dannato sorriso consapevole in volto. Consapevole che i suoi insegnamenti erano stati utili.

Chiusi la porta alle mie spalle e incrociai le braccia al petto, aspettando fosse lui il primo a proferire parola.

«Complimenti, posso solamente dire che sono fiero di te.»

Io alzai un sopracciglio e non dissi niente, anche perché se l'avessi fatto probabilmente sarei riuscita a formulare solo insulti poco piacevoli.

"Sono fiero di te", quante volte avevo sognato che lui me lo dicesse?

«Ora è il momento delle prove scritte, prendi questo foglio», indicò un foglio sulla sua scrivania, «e rispondi come meglio puoi.»

Mi avvicinai verso di lui e mi sedetti su una poltrona di lusso che era posizionata davanti alla scrivania di mogano.

Presi il foglio sotto i suoi occhi attenti, che scrutavano e analizzavano ogni mia singola mossa.

Lessi le domande e presi un grande sospiro di sollievo, fortunatamente sapevo tutto.

«Non ho niente da dire, sei stata fantastica. Hai passato le prove in modo eccezionale, prendendo il massimo dei voti.»

Cercai di nascondere un sorriso orgoglioso ma non riuscii molto bene nell'intento.

«Quindi?»
«Sei appena stata assunta come agente, complimenti, figlia mia.» Tirò fuori un contratto dal solito cassetto della scrivania e me lo piazzò davanti.
«Firma questo contratto e sei ufficialmente dentro.»

Agente.
Spia.

Non potevo credere a tutto quello che stava succedendo, le lacrime di felicità bruciavano nei miei occhi, minacciando di sfuggire al mio controllo e mostrare le mie vere emozioni al mondo esterno, che le avrebbe giudicate.

«Dov'è la truffa?..» domandai, incredula, non concedendo la libertà alle mie lacrime.

«Non c'è nessuna truffa, hai fatto dei progressi incredibili.»

«Progressi? Di che stai parlando? È ovvio che io sia migliorata, non ci vedevamo da quattordici anni..»

«I miei uomini ti hanno sempre osservata, Giada. Non potevo perdermi il tuo cammino nel mondo delle spie.» affermò, facendo un tremendo errore.

Era uno stronzo incredibile.
Anche tanto.

«Hai detto che non sapevi della mia situazione e dei problemi con la mamma..e ora mi dici che mi hai sempre tenuta sott'occhio, senza mai darmi una fottuta mano..? Non hai dato una mano alla tua famiglia, quando aveva più bisogno di te, che invece pensavi a nuotare nei soldi!» urlai, incazzata nera.

Come cazzo si permetteva? Come cazzo pensava di potersi prendere ancora gioco di me?

«La tua determinazione. Era l'unica cosa che sapevo. Mi parlavano sempre della tua determinazione, ma nessuno mi ha mai parlato del problema con Céline.» Disse, la sua voce ormai un solo flebile sussurro.

«Sei falso, cazzo! Hai detto che pensavi fossimo morte. Fai schifo.» sibilai, il cuore a mille per la rabbia, «inoltre, la mia determinazione non è nata dal nulla.» affermai, placida.

«Ti ricordo che vi ho lasciate per la vostra sicurezza, non potevo far vedere che avevate un contatto diretto con delle spie. Perciò i miei uomini ti osservavano da lontano, ti vedevano lavorare, guadagnare, venire licenziata, ti osservavano quando ti rialzavi dopo un'altra delusione. Tutto per riuscire a seguire il tuo sogno.
O almeno, era quello che pensavamo, non sapevo che la mamma era in pericolo di vita e che tu stavi facendo del tuo meglio per salvarla.» deglutì, come se stesse assaporando tutte le sue colpe.

CHAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora