CAPITOLO TRE

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GIADA

"Bisogna sempre provarci,
meglio delusioni che rimpianti."
~Charles Bukowski

Fissai l'uomo in silenzio, continuando a sentirmi sempre più diffidente nei suoi confronti; sapevo che c'era qualcosa che non andava, non riuscivo a capire perché lui fosse qua a Londra e non riuscivo a comprendere come potesse essere ignaro della mia situazione.

Ma sapevo che in qualche modo stava mentendo e io avrei fatto di tutto per capire ciò che mi nascondeva.

Dopotutto la curiosità e l'avventatezza erano due miei grandi difetti.

«Quindi?»
«Ti ho fatta contattare perché ho saputo che vuoi seguire le mie orme come spia.»
«Non voglio seguire le tue orme, io voglio diventare migliore di te e sconfiggerti.»

Lui ridacchiò e io lo guardai male per la sua mancanza di rispetto, perché a quanto pare non credeva che io facessi sul serio, ma gliel'avrei fatto capire, in un modo o nell'altro.

«Mi piace il tuo carattere, sei cambiata.»
«Grazie a te.»

Lui mi osservò con attenzione e poi mi sorrise, tirando fuori un blocco intero di fogli da un cassetto della scrivania scura.

«Dunque, come ben sai, per entrare in un'agenzia di spie c'è bisogno di molteplici test per valutare se sei degna o meno. Ed è mio compito valutarti. Perciò domani mattina vieni qua alle dieci in punto per fare dei test scritti, a quelli fisici ci penserò io stesso. Tutto questo è per vedere se sei effettivamente abile come me.
Se dovessi esserlo avresti delle alte probabilità di entrare qui e poter fare delle missioni. Ben pagate, oserei dire.» spiegò, scrocchiandosi le dita lunghe e affusolate, passandomi i fogli che presi con sicurezza, «inoltre, spedirò dei soldi per aiutarti con Céline.»

«Mi spedirai dei soldi..?» chiesi, sbalordita, stringendo i fogli al petto.
«Sì, sei mia figlia e non posso vederti soffrire in questo modo.» mormorò.

Ignorai le sue parole e mi alzai, girando i tacchi.

Voleva solamente conquistarmi con del denaro, ma non avrebbe funzionato, era stato via troppo tempo e il dolore che avevo provato per la sua assenza non era ripagabile nemmeno con milioni di sterline.

«Sappi che non c'è bisogno dei test per scoprire se sono migliore di te. È un dato di fatto. Siamo nemici, papà.» detto questo me ne andai senza esitare, lasciando l'ufficio in completo silenzio, nonostante credetti di averlo sentito mormorare una frase del tipo "i nemici sono altri e sono molto più pericolosi di quel che credi" o qualcosa del genere, non che mi importasse, onestamente.

Presi l'ascensore che avevo utilizzato per salire e scesi al piano terra, decisa nel fare un'azione di cui probabilmente mi sarei pentita.

Iniziai a cercare nella sala principale una persona non impegnata in qualche attività e dopo qualche minuto a guardarmi intorno come un pesce fuor d'acqua finalmente trovai una donna che stava per uscire dalla struttura, che però fermai immediatamente, solo per porle una domanda innocente.

«Scusi il disturbo, mi saprebbe dire chi è l'agente Furter?» domandai, forse un po' troppo scortesemente, alla donna.

Sentendo il mio tono la ragazza castana rabbrividì come una foglia, indicando un uomo seduto su una sedia dietro ad una semplice scrivania, a scrivere su qualche foglio.

Mi avvicinai a lui e sbattei una mano sul tavolo.

«Perché cazzo non mi ha detto niente? Non dovevo fare il colloquio con lei? L'avessi saputo non sarei mai venuta!» esclamai, attirando l'attenzione di alcuni presenti e soprattutto la sua.

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