CAPITOLO TRENTATRE

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URIEL

"Sono sempre gli occhi quelli in grado di
dire ciò che veramente pensiamo.
Sono gli occhi quelli che esprimono
le cose più belle."
~Kiera

«Che stai facendo Céline?», domandai, guardando la donna addormentare Giada.

Quella storia non mi piaceva per niente, avevo le mie motivazioni per non fidarmi di quella donna ed erano decisamente parecchie.

«Vattene ragazzo, non devi per forza fingere di amare mia figlia, so che l'hai manipolata.» Disse lei, voltandosi verso di me e osservandomi con superiorità.

Detestavo a morte le persone che mi osservano così.
Pensava davvero che io avessi manipolato Giada?
Non ero così disperato da manipolare qualcuno per amarmi.

«Forse non hai ancora capito che io non ho fatto un cazzo a tua figlia e che i suoi sentimenti verso di me a quanto pare sono reali.» Sibilai, guardando male la donna castana dal fascino tremendamente pericoloso.

Non potevo fidarmi di lei.

«Oh andiamo..tutti noi Warui siamo così, manipoliamo la mente delle persone e ci divertiamo a modo nostro..», ridacchiò la donna, avvicinandosi a me con un ghigno che le deformava il bel viso.

«Quindi ovviamente era una stronzata la storia tra te e il padre di Giada.» Mi alzai e lei sussultò per la mia frase.

Tra di noi passarono degli istanti di silenzio e lei iniziò a scuotere la testa freneticamente.

«No, non è falso. Ci siamo innamorati a prima vista.» Dichiarò, fissando il vuoto, persa in chissà quali pensieri.

«Pensi che io non lo sappia?», mi trattenni a stento dal riderle in faccia.

«Che cosa?», chiese, incrociando le braccia al petto e inarcando un sopracciglio.

Io aprii la finestra della camera e tirai fuori una sigaretta dal pacchetto che tenevo sempre in tasca, accendendola sfacciatamente sotto il suo sguardo curioso.

Inspirai la nicotina e il fumo mi incendiò i polmoni, facendomi mugolare soddisfatto.
Fumare mi rilassava e in situazioni come quella non dovevo dare l'idea di essere sotto pressione.

Buttai fuori una grande nube di fumo, quasi in faccia a Céline.

«Sei stata tu ad uccidere mio padre.» Dissi, prendendo la sigaretta tra l'indice e il medio, osservandola.

Lei sgranò gli occhi per poi ridacchiare.

«No ragazzino, non è andata così, sei stato tu ad ucciderlo.» Ghignò, sistemandosi i lunghi capelli castani dietro la schiena.

«E ci sono delle cose che non devi sapere.» Mi osservò dall'alto verso al basso, costringendomi a fare un altro tiro per non urlarle contro.

Dovevo prendere quella conversazione in modo razionale, dovevo ragionare e trattenere la mia rabbia.
Dovevo sapere cos'altro mi nascondeva.

«Avanti, parla.» Sbottai, continuando a contemplare la mia sigaretta e il punto di combustione.

«Tu ne peux pas connaître les choses du passé..mon cher..» Sospirò, con la sua perfetta pronuncia francese.
«Tu penses que je vais avoir des problèmes avec le français?»
La donna mi fissò con un ghigno e io la guardai in tralice, consapevole di non averla sorpresa.

Noi eredi comandanti Warui sapevamo perfettamente tutte le lingue degli altri continenti.
Sapevo parlare perfettamente il francese per i comandanti europei, il giapponese per quelli asiatici e l'arabo, dato che i comandanti africani venivano dal Marocco.

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