CAPITOLO VENTICINQUE

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GIADA

"La mente non è un
vaso da riempire ma un
fuoco da accendere."
~Plutarco

Non pensavo di aver sentito bene.
Lui poteva salvare mia madre..?
Non era possibile.

«No..» sussurrai incredula, fissandolo con gli occhi sgranati.
Non poteva essere vero, mia madre non poteva essere salvata così facilmente.
Aveva una dannata malattia che si portava dietro da anni, non poteva essere così semplice, no?

«Hai scritto sul tuo diario che un Warui potente potrebbe salvarle la vita, no?» domandò, scrocchiandosi le dita con indifferenza, come se non fosse niente.

«Tu sei in grado di salvarla?» chiesi nuovamente, speranzosa.

Effettivamente era vero, me l'aveva confidato lei stessa che un altro Warui poteva salvarla, ma non pensavo Uriel ne fosse in grado.
Non ci avevo mai pensato..

L'avevo sottovalutato e avevo commesso un grave errore.

«Sì.»

Io trattenni il respiro, trattenendo anche le lacrime di felicità.

«Non posso crederci..»
Lui poteva salvarla..cazzo.

«Ma prima di andare dalla tua cara mammina devi imparare a gestire i tuoi poteri. Si sono attivati mentre dormivi e per poco non mi distruggevi la camera.» Sospirò, seccato.

«Cosa?!»
«Saresti pericolosa per lei..» sbuffò, «vuoi davvero ucciderla? I tuoi poteri sono decisamente fuori controllo.» Disse, alzandosi dal letto.

«Posso controllarmi, andiamo.»

«Non se ne parla, ora cambiati che vestita così risvegli una parte di me che non dovrebbe attivarsi.» ghignò, uscendo dalla porta lasciandomi senza parole.

«Vaffanculo.»
«Ti ho sentita.»

Mi alzai dal letto e barcollando andai verso una porta che speravo fosse il bagno di quella stanza e fortunatamente lo era.
Il bagno era davvero elegante, con elementi d'arredo dorati, una vasca da bagno gigantesca, pareti e pavimento di marmo e una grande finestra di vetro che dava una splendida vista su un giardino curato e circondato da un bosco.
Capii che Uriel era ricco sfondato.

Mi osservai allo specchio posto sopra al lavandino lussuoso e compresi perché il Warui mi avesse ritenuta..provocante.
I miei capelli erano spettinati, il mio viso era leggermente arrossato forse per la rabbia, forse per l'imbarazzo e le mie labbra erano gonfie dalla passione che avevamo condiviso.
I miei occhi azzurri erano lucidi, probabilmente per la lunga dormita e per il quasi pianto di felicità.
Mentre invece il mio abbigliamento non aveva nulla a che fare con ciò che indossavo prima di finire a casa sua.
Avevo una maglietta bianca gigantesca, probabilmente di Uriel e un pantaloncino corto che mi arrivava giusto sotto alla natica.
Non ero proprio al mio massimo.

Mi sciacquai la faccia e tornai nella stanza, notando la mia tuta piegata sul letto.
Avrei giurato che prima non c'era.

Afferrai il pezzo di stoffa metallizzata e mi cambiai.
Era impressionante come quella tuta mi calzasse a pennello nonostante la benda su tutta la pancia.

Mi feci una coda ed aprii la porta, trovando Uriel ad aspettarmi fuori da essa.
«Ce ne hai messo di tempo.»
«Mi hai spaventata.» sospirai, posandomi drammaticamente una mano sul cuore, «che vuoi fare ora?» chiesi, incrociando le braccia al petto.

Lui ghignò e osservò il mio corpo dall'alto al basso, fissando ogni mia singola curva con avidità, leccandosi le labbra e ghignando, senza farsi troppi problemi.
«Sicuramente questo.» sussurrò, prima di chinarsi e di posarmi un bacio sulle labbra, per poi leccarle, come se le avesse volute gustare ancora una volta.
Io lo fissai negli occhi e il nostro contatto astratto fece scoppiare dei fuochi d'artificio nel mio petto.
Mi allontanai prima che lui riuscisse ad approfondire il bacio.

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