CAPITOLO UNDICI

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GIADA

"Non siamo i personaggi di una favola
a lieto fine, siamo anime tormentate
condannate a vagare sulla terra
senza pace e senza motivo,
abbiamo fuoco che ci brucia
dentro e il vuoto attorno."
~Lucrezia Beha

Dopo il colloquio spiacevole con il Warui erano passati altri giorni che mi erano sembrati infiniti. Giorni in cui non ero riuscita ad ottenere abbastanza informazioni, come immaginavo.

Ero tornata da lui più volte, ma dopo avergli mostrato la boccetta di doku e dopo averlo interrogato in quel modo non si comportava più sfacciatamente, era diventato una persona seria.

Non riuscivo a capire quali fossero le sue intenzioni, ma mi spaventavano, cazzo se mi spaventavano.

L'ultima volta che andai da lui, quattro giorni prima, era stato in silenzio tutto il tempo, a fissarmi e ovviamente non aveva collaborato.

Quel giorno sarei dovuta nuovamente andare nella sua cella e avrei dovuto insistere a costo di dire qualcosa in più su di me. Magari era quello che voleva, magari voleva sapere dove avevo preso il veleno e il pugnale in grado di ucciderlo.

Avrei dovuto sacrificare qualcosa, ma ero pronta a tutto, dovevo andare avanti con la missione.

Inoltre in quei giorni avevo parlato molto con Jack; era un ragazzo simpatico e un bravo collega, che sapeva decisamente svolgere il suo lavoro.
In più capiva sempre quando volevo stare da sola.

Ero quasi certa che lui provasse una sorta di attrazione verso di me, ma io, come da sempre, non provavo nulla.

Mi massaggiai le tempie doloranti e posai sulla scrivania la penna che stavo usando per scrivere sul mio diario.
Non sarei arrivata da nessuna parte se non avessi affrontato Uriel. Non potevo assolutamente fermarmi e riflettere sui problemi che affliggevano il mio cuore.

Chiusi il mio diario e mi alzai, sistemandomi la coda e uscendo dal mio ufficio, dirigendomi verso la cella che detestavo.

Arrivai nel "Dungeon of Darkness" e notai che la zona era nuovamente immersa nel silenzio.

Non c'erano le solite urla, voci strazianti..non era un decisamente un buon segno.

Andai davanti alla sua cella e sentii la sua voce, che borbottava qualcosa.

«Caos..»
«Cosa?»

«Il caos..è la ragione per cui esisto.» Ridacchiò.

«Ma che stai dicendo..»
Cosa stava blaterando.?

«Causare caos, io esisto per causare caos

Riuscii a vedere i suoi occhi rossi dal piccolo rettangolino della porta. Sembrava un vero e proprio assassino pronto a commettere un altro misfatto.
Ed effettivamente lo era. Un assassino senza pietà.

Anche la sua cicatrice si stava illuminando per il suo potere, non era un dettaglio rassicurante.

Seppur diffidente, aprii la porta, deglutendo.
Non sapevo cosa mi stesse spingendo ad aprire la porta, sapevo solamente che non era la mia volontà.

Non riuscivo a capire perché avesse formulato quelle frasi senza senso. Sembrava ossessionato dal causare "caos", era impressionante.

Non feci in tempo ad entrare che una mano chiuse la porta e un'altra mi spinse con violenza e mi fece cadere sul pavimento freddo.

CHAOSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora