Capitolo 27

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Lucrezia

Dopo quarantotto ore di ricovero a causa del trauma cranico e un'ulteriore settimana di convalescenza a casa, sono tornata al lavoro. La mia pelle non è messa benissimo e ho ancora un cerotto sulla fronte che mi copre una brutta escoriazione.

La cosa che mi fa più male non è la mia pelle o i miei dolori che continuano a tormentarmi quando faccio qualche movimento brusco. No, la cosa che mi fa più male è Fabio.

Non si è fatto sentire nemmeno attraverso un messaggio, mi ha letteralmente ignorata, ha fatto finta che non esistessi. Sua sorella Valeria, a differenza sua, ha pensato di coccolarmi. Mi ha mandato un mazzo di fiori con un biglietto di auguri di pronta guarigione e mi ha telefonato ogni giorno.
Quei due sono diametralmente opposti. Una è gentile, l'altro è uno scorbutico arrogante.

Uno scorbutico arrogante che ti piace.

Comincio a pensare che a Fabio non importi nulla di me. Prima, ero in sala parto con il dottor Marco Fiaschini e, per evitare di incontrarmi, ha visitato il neonato nella stanza accanto, cosa che, prima d'ora, non aveva mai fatto.

Per non parlare dei giorni scorsi, quando si è rintanato in direzione sanitaria pur di non farsi trovare da me. Sono profondamente delusa dal suo comportamento.

<< Lucrezia, stai bene?>> mi chiede il dottor Corsi. Sebbene sia il primario, non è per niente altezzoso. Da quando sono rientrata al lavoro, mi chiede sempre come sto, mi aveva anche detto che se avessi voluto, sarei potuta rientrare qualche giorno dopo, ma ho rifiutato. Stare a casa è una tortura. Soprattutto se i tuoi genitori continuano a ripeterti che dovresti rottamare la moto, cosa che non farò.
<< Sì, sono solo un po' stanca>> lo rassicuro.
<< Se vuoi, puoi andare a casa>> mi propone
<< Tanto qui non c'è più nulla da fare>> continua, cercando di convincermi.
<< Qui c'è sempre da fare>> rido.
<< Sì, hai ragione, ma per oggi direi che basta così. Vai a casa e riposati, vedrai che domani sarai più energica>> afferma, prima di andare via.
Faccio un sospiro, indecisa sul da farsi, e alla fine vado a cambiarmi.

Mentre sono in macchina, mi viene un'idea: potrei approfittarne per andare da Fabio e chiarire una volta per tutte questa storia. Odio essere ignorata, se è una punizione, non ne capisco il motivo. Non credo di aver fatto nulla di sbagliato nei suoi riguardi.

Accosto la macchina a qualche metro dal cancello della sua villetta e proseguo a piedi per schiarirmi le idee e decidere cosa dirgli.

Di fronte al suo cancello, ho qualche attimo di esitazione. E se non mi dovesse aprire?
Ci rimarrei molto male, ma lo devo affrontare. Sono stanca dei suoi alti e bassi. Ci sono delle volte in cui mi fa sentire amata e altre volte in cui mi sento un nonnulla.

Suono e so già che mi sta guardando attraverso la telecamera. Sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro, agitata, in attesa che mi apra.

Alla fine il cancello viene aperto, dunque proseguo fino alla porta con il cuore che batte a mille.

Lo trovo davanti alla porta, con le braccia conserte e uno sguardo non proprio amichevole. I suoi occhi verdi sono cupi, mi mettono quasi timore.
<< Lucrezia>> mi saluta, inarcando un sopracciglio.
È come se gli stesse dando fastidio la mia presenza, lo avverto dalla postura rigida.
<< Vorrei parlarti>> gli dico decisa.
<< Prego>> mi lascia passare, scostandosi dalla porta.
Si appoggia al muro, ancora a braccia conserte e mi guarda dritta negli occhi.
<< Allora?>> mi esorta a parlare, dato il mio tentennamento.
<< Perché mi ignori?>> decido di chiedergli senza mezzi termini.
<< Non ti ignoro, altrimenti non ti avrei nemmeno aperto>> mi risponde piccato.
<< Ah no? E allora perché non mi hai cercata nell'ultimo periodo?>>
<< Ho avuto da fare>> alza le spalle.
<< Hai avuto da fare!>> faccio un sorriso amaro
<< Evidentemente questo da fare era più importante di me, della tua fidanzata che ha avuto un incidente >>
<< Esatto!>> esclama a muso duro.
Un pugno sarebbe stato meno doloroso della sua risposta.
<< Dato che il resto è più importante di me, credo che non abbiamo altro da dirci>> gli rispondo arrabbiata.
<< Sei una bambina, è ora che tu cresca!>> mi insulta.
<< Visto che sono una bambina, cercati qualcun'altra >> gli rispondo aprendo la porta di casa per andare via. Non starò qui a farmi umiliare ancora.

Fabio mi afferra attraverso il colletto del mio giubbotto in pelle e mi fa voltare. Mi prende il viso tra le mani e inizia a baciarmi in maniera rude. Se in un primo momento sono scioccata dal suo comportamento, dopo pochi istanti rispondo al suo assalto e lo assecondo. Il suo sapore di caffè mi spinge a continuare a baciarlo.

Mi sbottona il giubbotto e mi massaggia un seno da sopra la maglietta. Con una mossa da vero seduttore, lascia cadere il giubbotto a terra e mi toglie la maglietta, facendomi rimanere in reggiseno.

Mi afferra e mi porta in braccio fino alla camera da letto. Dopo avermi fatta stendere sul letto, prende a spogliarsi e io mi godo la vista dei suoi addominali scolpiti e delle sue gambe toniche.

In questo momento non servono parole, comunichiamo attraverso gli sguardi,
attraverso i gesti
attraverso la passione,
la stessa passione che ci conduce in un limbo fatto di piacere, di frasi non dette e di parole lasciate nei meandri della mente.
Parole che potrebbero distruggere tutto o potrebbero ricucire tutto.

Al momento ci godiamo il momento, il resto si vedrà.

Rimaniamo abbracciati per un tempo indefinito, lui mi accarezza i capelli e io mi rilasso sotto il suo tocco. All'improvviso, osserva l'escoriazione che ho sulla fronte e vi lascia un bacio sopra. Sono sorpresa da questo suo attimo di dolcezza.

<< Non farmi prendere mai più uno spavento del genere!>> mi rimprovera.
<< Non è stata colpa mia>>
<< In verità sì, sei stata incosciente a prendere la moto con quel tempaccio>>
<< Non avevo alternative >>
<< Avresti potuto chiamarmi. Di certo non ti avrei lasciata sotto la pioggia>>
<< Non voglio parlarne più. L'unica cosa che ho da recriminarti è che avresti dovuto starmi accanto, non ignorarmi >>
<< Hai idea di quanto abbia sofferto a vederti immobile su un letto d'ospedale quella sera?>>
<< Tu hai sofferto? E io cosa dovrei dire? Il mio corpo si porta dietro tutti i traumi di quella sera>> gli rispondo mettendomi seduta. Sto iniziando ad agitarmi, forse è meglio chiudere la discussione.
<< Mi hai anche mentito. Mi avevi detto che non usi la moto quando piove>>
<< Si è trattato di un caso isolato>>
<< Mi permetto di non crederti>>
<< Pensala come vuoi, Fabio. Sinceramente mi sono stancata di discutere sempre della stessa storia. La moto è un mezzo come tutti gli altri, gli incidenti accadono purtroppo e alle volte sono inevitabili>>
<< Non la penso esattamente così, ma anch'io mi sono stancato di litigare>>

Mi afferra dai fianchi e mi fa sdraiare nuovamente, ricominciando a baciare il mio corpo, là dove vi sono i lividi e le escoriazioni. Adesso lo riconosco: Fabio ha due facce della stessa medaglia; alle volte è rude, altre dolce. Inutile dire che io preferisca questa versione. Spero che abbiamo chiarito, non vorrei ritrovarmi domani ad essere nuovamente ignorata.

<< Ti amo, piccola Lucri>>
<< Anch'io Fabio>> gli rispondo prima di baciarlo.

Spazio autrice ✍️

Rieccomi!
Che ve ne pare del capitolo? Questi due sono un po' matti. Litigano e chiariscono continuamente perché sono entrambi testardi.
Commentate e stellinate, mi raccomando.

Baci baci, Ale 🥰

Più forte del doloreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora