27 TESSA

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AL risveglio, resto momentaneamente spiazzata dal soffitto di mattoni che vedo sopra di me. È strano svegliarsi qui dopo una settimana in albergo. Sul pavimento non ci sono più le coperte e i cuscini, sono impilati in ordine accanto all'armadio. Vado in bagno.
Sento la voce di Hardin dal salotto. «Oggi non può restare, mamma. Sua madre la aspetta.»
«Non possiamo far venire qui sua madre? Mi piacerebbe conoscerla», dice Trish.
Oh, no.
«No... Non le sto molto simpatico.»
«Perché no?»
«Perché non mi ritiene all'altezza di Tessa. E forse per il mio aspetto.»
«Il tuo aspetto? Hardin, non permettere a nessuno di farti sentire insicuro. Pensavo che ti piacesse il tuo... stile?»
«Sì, mi piace. Cioè, non me ne frega niente di quello che pensano gli altri. A parte Tessa.»
Resto allibita, e Trish ride. «Chi sei tu, e cosa ne hai fatto di mio figlio?» Poi, con una sincera allegria nella voce, prosegue: «Non ricordo neppure da quanto tempo non parlavamo senza che tu mi
insultassi, sono passati anni. È bello».
«Okay... okay...» borbotta lui. Mi viene da ridere quando immagino Trish che cerca di abbracciarlo.

Dopo la doccia decido di non uscire dal bagno finché non mi sono preparata di tutto punto. Sono una codarda, lo so, ma ho bisogno di un altro po' di tempo per stamparmi in faccia un sorriso falso da
mostrare alla madre di Hardin. Non è proprio un sorriso falso... e questa è una parte del problema, mi rammenta il subconscio. Ieri mi sono divertita molto, e da una settimana non dormivo così bene.
Mentre finisco di arricciarmi i capelli, sento bussare alla porta.
«Tess?» È la voce di Hardin.
«Ho finito», rispondo, e apro la porta.
Indossa degli shorts di cotone grigio e una maglietta bianca. «Non voglio metterti fretta, ma devo proprio pisciare.»
Mi fa un sorrisetto e io cerco di non fissare i tatuaggi che traspaiono dalla maglietta.
«Mi vesto e vado», gli dico.
Lui guarda il muro. «Okay.»
Mi sento molto in colpa per aver mentito a sua madre, e perché me ne vado così presto.
Scelgo il vestito bianco, ma metto una calzamaglia nera perché fa troppo freddo. Farei meglio a indossare jeans e felpa, ma quel vestito mi fa sentire sicura, e oggi ne ho bisogno. Rimetto le mie cose nei borsoni e le grucce nell'armadio.
«Hai bisogno di aiuto?» domanda Trish dietro di me.
Trasalisco, e l'abito blu che indossavo a Seattle mi cade di mano.
«Stavo solo...» balbetto.
Lei guarda l'armadio mezzo vuoto. «Quanto pensi di fermarti da tua madre?»
«Be', io...» Sono proprio una pessima bugiarda.
«A quanto pare starai via per un po'.»
«Sì... non ho molti vestiti», mormoro.
«Volevo chiederti se ti va di fare un po' di shopping con me. Magari possiamo andarci se torni prima che io parta.»
Non capisco se mi crede o se ha intuito che non ho intenzione di tornare. «Sì... certo», mento di nuovo.
«Mamma...» dice Hardin entrando nella stanza. Spero che Trish non abbia notato il modo in cui suo figlio guarda l'armadio vuoto.
«Stavo finendo di fare i bagagli», spiego, e lui annuisce. Chiudo l'ultima borsa e lo fisso, incerta su cosa dire.
«Ti porto giù le borse», fa poi, prendendo le mie chiavi sul comò.
Quando Hardin è uscito, Trish mi posa le mani sulle spalle. «Sono molto contenta di averti conosciuta, Tessa. Non sai quanto sia bello per me vedere il mio unico figlio così.»
«Così come?»
«Felice.»
Mi viene da piangere. Se questo ai suoi occhi è un Hardin felice, non voglio che veda l'Hardin normale.
La saluto e mi preparo a lasciare l'appartamento per l'ultima volta.
«Tessa?» mi chiama. Mi giro verso di lei.
«Tornerai da lui, vero?»
Mi si stringe il cuore. Non mi sta chiedendo soltanto se tornerò dopo le vacanze di Natale. Non penso di riuscire a parlare, quindi faccio cenno di sì e mi affretto a uscire.
Arrivata all'ascensore mi volto e vado in direzione delle scale per evitare di incrociare Hardin. Mi asciugo gli occhi e faccio un respiro profondo prima di uscire sotto la neve. Raggiungo la mia macchina: il parabrezza è stato pulito e il motore è acceso.

Decido di non chiamare mia madre per avvisarla che sto arrivando. Al momento non ho voglia di parlare con lei. Voglio usare queste due ore di viaggio per schiarirmi i pensieri. Devo fare un elenco dei pro e dei contro di rimettermi con Hardin. So che è stupido anche solo rifletterci: lui mi ha fatto cose terribili, mi ha mentito, mi ha umiliata e ha tradito la mia fiducia. Finora, sul versante dei contro abbiamo le bugie, la scommessa, le lenzuola e il preservativo usati come prova, gli scatti d'ira, i suoi amici, Molly, il suo ego, la sua prepotenza, il fatto che non posso più fidarmi di lui.
Nella lista dei pro c'è... be', il fatto che lo amo. Che mi rende felice, mi fa sentire più forte, più sicura di me. Il fatto che di solito vuole il meglio per me, a meno che naturalmente non sia lui a farmi soffrire... Il suo modo di ridere e sorridere, il modo in cui mi
abbraccia, mi bacia, e il fatto che stia cambiando per me.
So che la lista dei pro è composta da piccole cose, in confronto agli enormi contro, ma le cose piccole sono le più importanti, giusto?
Non so decidere se sono completamente pazza a pensare di poterlo perdonare, o se sto solo seguendo il cuore. Quale sarà la guida migliore, in amore: i sentimenti o la testa?
Per quanto mi sforzi, non riesco a stargli lontana. Non ci sono mai riuscita.
Vorrei avere un'amica con cui parlarne, qualcuno che si sia trovato in una situazione del genere. Vorrei poter chiamare Steph, ma anche lei mi ha mentito per tutto il tempo. Chiamerei Landon, ma mi ha già detto come la pensa, e a volte è più utile il punto di vista di una donna.
Nevica ancora e sulle strade deserte tira un forte vento. Sarei dovuta restare in albergo; non so proprio perché ho deciso di partire. Ma alla fine raggiungo la casa di mia madre prima del previsto e
senza intoppi.
Imbocco il vialetto, da cui la neve è stata spalata con cura, e alla terza volta che busso finalmente mia madre viene ad aprirmi, in accappatoio e con i capelli bagnati. Posso contare sulle dita di una mano le occasioni in cui l'ho vista struccata e spettinata.
«Che ci fai qui? Perché non hai avvisato?» sbotta, gelida come sempre.
Entro in casa. «Non lo so... stavo guidando nella neve e non volevo distrarmi.»
«Dovevi chiamarmi, mi sarei preparata.»
«Non c'è bisogno che ti prepari, sono solo io.»
Sbuffa. «Non ci sono mai scuse per la trasandatezza, Tessa», ribatte, come se stesse parlando a me del mio aspetto attuale. È un'osservazione così assurda che mi viene quasi da ridere, ma mi trattengo.
«Dove sono i tuoi bagagli?» mi chiede.
«In macchina, li tiro fuori dopo.»
«Cos'è quel... quel vestito che indossi?» Mi squadra da capo a piedi.
Sorrido. «È per il lavoro, mi piace molto.»
«È troppo scollato... ma il colore non è male.»
«Grazie. Allora, come stanno i Porter?» domando. So che parlare della famiglia di Noah servirà a distrarla.
«Stanno benissimo. Sentono la tua mancanza.» Si avvia in cucina e aggiunge distrattamente: «Forse dovremmo invitarli a pranzo».
Rabbrividisco e le corro dietro. «Ehm, non mi pare una buona idea.»
Mi guarda e si versa il caffè. «Perché no?»
«Non lo so... mi sentirei in imbarazzo.»
«Theresa, conosci i Porter da anni. Vorrei che ti vedessero ora che vai all'università e fai uno stage.»
«Cioè vuoi vantarti di me?» Vuole invitarli solo per pavoneggiarsi!
«No, voglio che vedano i successi che hai ottenuto. Non significa vantarsi.»
«Preferirei di no.»
«Be', Theresa, questa è casa mia, e se voglio invitarli li inviterò.
Finisco di rendermi presentabile e torno.» Si volta e mi lascia da sola in cucina.
Vado nella mia vecchia camera. Stanca, mi sdraio sul letto ad aspettare che mia madre finisca i suoi complessi rituali di bellezza.

«Theresa?» La voce di mia madre mi sveglia. Non ricordo neppure di essermi addormentata vestita.
Sollevo la testa da Buddha, il mio vecchissimo elefante di peluche, e grido, disorientata: «Arrivo!»
Mi rimetto faticosamente in piedi e barcollo in corridoio. Quando arrivo in salotto trovo Noah seduto sul divano. Non c'è l'intero clan dei Porter, come aveva minacciato mia madre, ma la sua presenza basta a svegliarmi del tutto.
«Guarda chi è passato stamattina!» esclama mia madre con il più falso dei sorrisi.
«Ciao», rispondo, ma in realtà sto pensando che ho sbagliato a venire, e lo sapevo.
Noah mi saluta con un cenno della mano. «Ciao Tessa, ti trovo benissimo.»
Non mi dispiace vederlo, gli voglio bene come a una persona di famiglia. Ma ho bisogno di una pausa di riflessione, e la sua presenza mi fa solo soffrire di più. So che non è colpa sua, e non ho il diritto di trattarlo male, soprattutto dal momento che è stato sempre così gentile anche dopo che ci siamo lasciati.
Mia madre esce dalla stanza. Mi tolgo le scarpe e mi siedo sul divano di fronte a Noah. «Come vanno le vacanze?» mi chiede.
«Bene, e le tue?»
«Bene. Tua madre mi ha raccontato che sei stata a Seattle.»
«Sì, è stato bellissimo. Ero lì con il mio capo e dei colleghi.»
«È splendido, Tessa. Sono felice per te, stai proprio facendo carriera nell'editoria!»
«Grazie», gli dico sorridendo. Non mi sento in imbarazzo quanto temevo.
Dopo un momento, Noah guarda verso il corridoio in cui è sparita mia madre e poi si sporge verso di me. «Ehi, tua madre è molto tesa da qualche giorno. Più del solito, intendo. Come la stai vivendo?»
Lo guardo perplessa. «In che senso?»
«La faccenda di tuo padre», spiega lentamente, come se io sapessi di cosa parla.
Cosa? «Mio padre?»
«Non te l'ha detto?» Torna con lo sguardo verso il corridoio.
«Oh... non dirle che ti ho detto...»
Non gli lascio il tempo di finire. Scatto in piedi e filo in camera di mia madre. «Mamma!»
Che accidenti è successo con mio padre? Non lo vedo e non ho sue notizie da otto anni. Il tono solenne con cui ne parla Noah... È morto? Non so come reagirei.
«Cosa succede con papà?» chiedo entrando nella stanza. Lei ha un sussulto ma si ricompone subito. «Allora?» strillo.
«Tessa, devi abbassare la voce. Non è niente, niente di cui tu debba preoccuparti.»
«Questo non sta a te deciderlo. Dimmi cosa succede! È morto?»
«Morto? Oh, no. Te lo direi, in quel caso», risponde con noncuranza.
«Allora cosa succede?»
Sospira e mi guarda per un secondo. «È tornato. Abita non lontano da te, ma non ti contatterà, quindi non preoccuparti. Ci ho pensato io.»
Ma cosa significa?» Non ho spazio a sufficienza nella testa per tutti i problemi con Hardin, e ora mio padre è tornato nello Stato di Washington. Pensandoci, non sono sicura che se ne fosse mai
andato. Sapevo solo che era lontano da me.
«Non significa niente. Te l'avrei detto giovedì sera al telefono, ma siccome non ti sei scomodata a rispondermi, me ne sono occupata da sola.»
Quella sera ero troppo ubriaca per rispondere, e meno male che non l'ho fatto. Non avrei potuto gestire una notizia del genere dopo aver bevuto. Non ci riesco neppure adesso.
«Non ti darà fastidio, quindi non fare quel muso lungo e preparati, andiamo a fare shopping», dice in tono indifferente.
«Non mi va di fare shopping, mamma. È una notizia importante per me, sai.»
«No che non lo è», ribatte con voce velenosa. «Non lo vedi da anni. E continuerai a non vederlo, non è cambiato niente.» Sparisce nella cabina armadio. Capisco che è inutile discutere con lei.
Torno in salotto, prendo il telefono e mi infilo le scarpe.
«Dove andate?» chiede Noah.
«Chi lo sa», rispondo, ed esco di casa.
Ho sprecato tutto questo tempo per venire fin qui, guidando nella neve, solo per farmi trattare in questo modo. Mia madre è una vera stronza. Tolgo la neve dal parabrezza con un braccio; pessima idea,
che serve solo a congelarmi di più. Salgo in macchina intirizzita, avvio il motore e aspetto che si scaldi.
Mentre guido inizio a gridare, a insultare mia madre con tutte le parolacce che mi vengono in mente. Quando resto senza voce cerco di decidere cosa fare, ma mi tornano in mente i ricordi di mio padre e
non riesco a concentrarmi su nient'altro. Con le guance rigate di lacrime, prendo il telefono dal sedile del passeggero.
Pochi secondi dopo la voce di Hardin mi rimbomba all'orecchio.
«Tess? Stai bene?»
«Sì...» rispondo, ma la voce mi tradisce e comincio a
singhiozzare.
«Cos'è successo? Cosa ti ha fatto?»
«Lei... Posso tornare?»
Lo sento sospirare. «Certo che puoi, piccola...Tessa», si corregge, ma vorrei che non l'avesse fatto.
«Quanto sei lontana?»
«Venti minuti.»
«Okay, vuoi che continuiamo a parlare?»
«No... Nevica», spiego, e riaggancio.
Non sarei dovuta partire. È paradossale che stia correndo da Hardin, nonostante tutto quello che mi ha fatto.
Quando entro nel parcheggio sto ancora piangendo. Mi asciugo il viso, ma il trucco mi cola e mi sporca le guance. Scendo dalla macchina e vedo Hardin davanti alla porta, la testa imbiancata di  neve. Senza riflettere corro da lui e lo abbraccio. Fa un passo indietro, sconcertato dal mio gesto, ma poi mi stringe tra le braccia e mi lascia piangere sulla sua felpa bagnata dalla neve.

After un cuore a mille pezziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora