89 TESSA

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MI fa male il petto mentre guardo Christian abbracciare Kimberly e sollevarla da terra. Sono felice per lei, davvero, solo che è difficile vedere un'altra persona che ottiene ciò che volevi tu. È dura vedere Christian che le infila al dito un bellissimo anello di diamanti.
Mi alzo, sperando che nessuno faccia caso alla mia assenza. Solo quando arrivo in salotto mi concedo di piangere. Sapevo che sarebbe successo: sapevo che sarei crollata. Se lui non fosse qui avrei resistito, ma così è troppo surreale, troppo doloroso.
È venuto a questa cena per tormentarmi. Altrimenti perché presentarsi e poi non rivolgermi la parola? Non ha senso: mi evita da dieci giorni e poi si fa vivo a una serata a cui sa che parteciperò anch'io. Non sarei dovuta venire. O perlomeno avrei dovuto prendere la mia macchina, così ora potrei andarmene. Zed non arriverà prima delle...
Zed.
Zed sarà qui alle otto. Sono già le sette e mezzo. Hardin lo ucciderà, se lo vede.
O forse no, forse non gliene importa più niente.
Vado a chiudermi in bagno. Hardin sembra così indifferente, incurante della mia presenza e dell'effetto che lui ha su di me. Ha sofferto? Ha passato anche lui giorni interi a letto, a piangere, come ho fatto io? Non ho modo di saperlo, ma a vederlo non mi sembra che abbia il cuore spezzato.
Respira, Tessa. Devi respirare. Non far caso al pugnale ficcato nel petto.
Mi asciugo le lacrime e mi guardo allo specchio. Il trucco non è colato, per fortuna, e i capelli sono ancora a posto. Ho le guance rosse, ma almeno mi danno un'aria più sana.
Uscendo dal bagno mi imbatto in Trevor: ha l'aria preoccupata.
«Stai bene? Sei scappata via...» Fa un passo verso di me.
«Sì, avevo bisogno di una boccata d'aria.» Che bugia stupida: se avevo bisogno d'aria perché sarei andata in bagno?
Per fortuna Trevor è un gentiluomo e non mi fa notare la contraddizione, come farebbe Hardin al posto suo. «Okay, stanno servendo il dolce, se hai ancora fame.»
«Non proprio, ma lo mangio lo stesso.» Lo seguo in corridoio e faccio lunghi respiri per calmarmi un po'. Sto ancora cercando di capire come evitare uno scontro diretto tra Zed e Hardin quando sento la vocetta di Smith uscire da una stanza davanti alla quale stiamo passando.
«Come fai a saperlo?» gli chiede con il suo solito tono piatto.
«Perché io so tutto», risponde Hardin.
Hardin sta parlando con Smith?
Mi fermo e faccio cenno a Trevor di proseguire. «Va' avanti, io...devo dire una cosa a Smith.»
Mi guarda perplesso. «Sei sicura? Posso aspettarti.»
«No, va' pure.» E se ne va, lasciandomi libera di origliare spudoratamente.
Smith dice qualcosa che non capisco, e Hardin risponde in tono calmo: «È vero, so tutto».
«Ma lei morirà?» domanda Smith.
«Ma no! Perché ti fissi sempre con l'idea che la gente debba morire?»
«Non lo so.»
«Be', non è così. Non tutti muoiono.»
«Chi muore?»
«Non tutti.»
«Ma chi, Hardin?»
«Le persone cattive, immagino. E le persone vecchie. E quelle malate... ah, e a volte le persone tristi.»
«Come la tua bella ragazza?»
Mi viene il batticuore.
«No! Lei non morirà. Non è triste.»
Mi copro la bocca con la mano.
«Già, certo.»
«No, non è triste. È felice, e non morirà. E neppure Kimberly.»
«Come fai a saperlo?»
«Te l'ho già detto, io so tutto.» Da quando mi hanno nominato, il suo tono di voce è cambiato.
Smith fa una risatina sarcastica. «Non è vero.»
«Ti sei calmato, adesso, o pensi di piangere un altro po'?»
«Non prendermi in giro.»
«Scusa. Ma hai finito di piangere?»
«Sì.»
«Bene.»
«Bene.»
«Non ripetere quello che dico. È maleducazione», continua Hardin.
«Sei tu il maleducato.»
«Ma sei sicuro di avere solo cinque anni?»
Esattamente quello che volevo chiedergli anch'io. Smith è molto maturo per la sua età. Ma è logico, considerato quante ne ha passate.
«Sicurissimo. Vuoi giocare?» chiede Smith a Hardin.
«No.»
«Perché no?»
«Perché fai tante domande? Mi ricordi...»
«Tessa?» Kimberly mi coglie di sorpresa e quasi strillo. Mi posa una mano sulla spalla. «Scusa! Hai visto Smith? È sparito, e Hardin è andato a cercarlo: pensa che strano!» Sembra sorpresa ma toccata da quel gesto.
«Ehm, no.» Mi affretto in corridoio per evitare l'umiliazione di essere colta in flagrante da Hardin. Scommetto che ha sentito Kimberly chiamarmi.
Rientro in sala da pranzo, mi avvicino a Christian e lo ringrazio per l'invito, poi mi congratulo per il suo fidanzamento. Abbraccio Kimberly, Karen e Ken.
Controllo l'orologio: le otto meno dieci. Hardin è occupato con Smith ed è chiaro che non ha intenzione di parlare con me, ma va bene così. Non ho bisogno che mi chieda scusa e mi dica che è
stato malissimo senza di me. Non ho bisogno che mi abbracci e mi assicuri che troveremo una soluzione. Non ne ho bisogno. Non lo farebbe comunque, perciò è inutile sentirne il bisogno.
Fa meno male, se non sento il bisogno.
Quando arrivo in fondo al vialetto sto morendo di freddo. Avrei dovuto mettermi una giacca: siamo a gennaio e comincia a nevicare.
Spero che Zed arrivi presto.
Il vento gelido mi sferza i capelli e mi fa rabbrividire. Avvolgo le braccia intorno al corpo per tentare di scaldarmi.
«Tess?» Alzo gli occhi e per un momento mi sembra di avere le allucinazioni. Un ragazzo vestito di nero viene verso di me sotto la neve.
«Cosa stai facendo?» mi chiede Hardin, avvicinandosi.
«Me ne vado.»
«Ah...» Si massaggia la nuca, un gesto abituale. «Come stai?»
Resto allibita. «Come sto?»
Mi guarda impassibile. «Sì, insomma... stai bene?»
Devo rispondere sinceramente? «E tu come stai?» domando battendo i denti.
«Te l'ho chiesto prima io.»
Non era così che immaginavo il nostro primo incontro. Non so bene come me lo figurassi, ma di certo non così. Pensavo che lui mi avrebbe insultata, che ci saremmo urlati in faccia a vicenda. Le
lanterne appese ai rami degli alberi lo circondano di una luminescenza diffusa... sembra un angelo. Evidentemente è un'illusione.
«Sto bene», mento.
Mi squadra dalla testa ai piedi, facendomi annodare lo stomaco e battere forte il cuore. «Si vede.»
«E tu come stai?»
Voglio che mi risponda che sta malissimo.
«Idem. Bene», fa invece.
«Perché non mi hai chiamata?» sbotto. Forse così susciterò in lui qualche emozione.
«Io...» Mi guarda e poi si guarda le mani. «Avevo da fare.»
A quelle parole mi crolla il mondo addosso. La rabbia, però, prende il sopravvento sul dolore, almeno per ora. «Avevi da fare, eh?»
«Sì, avevo da fare.»
«Wow.»
«Wow cosa?»
«Avevi da fare? Lo sai cos'ho passato negli ultimi undici giorni? L'inferno, ecco cosa. Un dolore che non pensavo fosse sopportabile, e che a volte mi è sembrato di non riuscire a sopportare. Ma ho continuato ad aspettare... aspettare... come un'idiota!» grido.
«Neanche tu sai cos'ho fatto io! Pensi sempre di sapere tutto, ma non sai un cazzo!»
Proseguo lungo il vialetto. Si infurierà quando vedrà chi è venuto a prendermi. Ma dov'è Zed? Sono le otto e cinque.
«Dimmelo, allora! Dimmi cos'avevi da fare di più importante che lottare per me, Hardin!» Mi asciugo le lacrime. Devo smettere di piangere.
Sono stufa di piangere.

After un cuore a mille pezziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora