117 TESSA

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«RESTI con me stanotte?» mi chiede Hardin.
Quando si toglie la maglietta, la afferro e la stringo al petto. Lui mi guarda mentre mi cambio ma rimane in silenzio. Sono ancora più confusa del solito riguardo alla nostra storia. Non so chi abbia il coltello dalla parte del manico. Prima ero arrabbiata con lui per avermi dato buca al suo compleanno, ma ora mi sono convinta che non sia stata colpa sua, quindi sono tornata a pensarla come qualche giorno fa, quando era dolce e mi portava a pattinare sul
ghiaccio.
Da parte sua, lui si è arrabbiato con me per Zed, ma ora sembra essergli passata. Forse gli mancavo così tanto che la nostalgia ha avuto il sopravvento sulla rabbia... Non lo so; meglio non indagare troppo. Vorrei però che mi lasciasse parlare di Seattle. Come
reagirà? Sarà contento per me? Penso di no: anzi, sono sicura che non lo sarà.
«Vieni qui.» Mi stringe a sé e ci sdraiamo sul letto.
«Com'è stato rivedere tua madre?» gli chiedo mentre facciamo zapping.
Non risponde: alzo lo sguardo su di lui e vedo che si è addormentato.

Mi sveglio accaldata. Hardin è sdraiato sopra di me con quasi tutto il peso, e ha la testa sul mio petto. Mi era mancata questa sensazione. Guardo l'orologio, sono le sette e venti: la mia sveglia suonerà tra dieci minuti. Non voglio svegliarlo, sembra così sereno.
Di solito ha i lineamenti contratti anche quando dorme.
Nel tentativo di spostarlo senza che si svegli, sollevo il suo braccio da sopra di me.
Lui mugola e mi stringe più forte. «Che ore sono?»
«Quasi le sette e mezzo.»
«Accidenti. Possiamo saltare le lezioni?»
«Io no, ma tu sì.» Gli accarezzo la testa.
«Potremmo andare a fare colazione da qualche parte?»
«Sei molto convincente, ma no.» Lo vorrei tanto, ma proprio non posso. «Hai dormito bene?»
«Benissimo. Non dormivo così da quando...» Lascia la frase in sospeso.
All'improvviso mi sento molto felice. «Mi fa piacere.»
«Posso dirti una cosa?» mugugna, con la voce ancor arrochita dal sonno.
«Certo», rispondo accarezzandogli i capelli.
«Quando ero in Inghilterra, da mia madre, ho fatto un sogno... be', un incubo.»
Oh, no. Sapevo che i suoi incubi erano tornati, ma fa male sentirglielo dire. «Mi dispiace che gli incubi siano ricominciati.»
«No, Tess, non sono solo ricominciati. Erano peggio di prima.» Il suo corpo è scosso da un brivido, ma il viso resta impassibile.
«Peggio?» domando incredula.
«Eri tu. Loro... lo facevano a te.»
«Oh», mormoro, e sono agghiacciata.
«Sì, era... tremendo. Peggio di prima, perché agli incubi su mia madre c'ero abituato. Ho praticamente smesso di dormire: restavo sveglio di proposito, per non vedere quelle cose. L'idea che qualcuno ti faccia del male mi fa andare fuori di testa.»
«Mi dispiace tanto.» Ho le lacrime agli occhi.
«Non compatirmi.»
«Non ti compatisco, è solo che non voglio che tu soffra.»
«Sai che non permetterei mai a nessuno di farti del male, vero?»
Mi guarda negli occhi.
«Sì, Hardin, lo so.»
«Anche adesso, anche se non torneremo quelli di prima, ammazzerei chiunque ci provasse.»
«Lo so.» Gli sorrido, perché non voglio sembrare allarmata dalle sue minacce: vuole solo proteggermi.
«È stato bello dormire in pace», prosegue lui, in tono più leggero.
Annuisco, e parlo d'altro: «Dove vuoi andare per colazione?»
«Hai detto di no, che...»
«Ho cambiato idea. Ho fame.»
Visto che è stato così sincero con me a proposito degli incubi, voglio passare la mattinata con lui: chissà che la linea di comunicazione rimanga aperta... Prima dovevo lottare per strappargli la più insignificante delle informazioni, ma stavolta mi ha
fatto una confessione di sua spontanea volontà, e questo vuol dire tantissimo per me.
«La mia triste storia ti ha persuasa tanto facilmente?»
«Non dire così.»
«Perché no?»
«Perché non è vero. Non ho cambiato idea per le cose che mi hai
confidato, ma perché hai deciso di aprirti con me. E in questo non c'è niente di triste.»
«Vabbe'. Resti con me tutto il giorno, o solo per colazione?»
«Solo per colazione. Non posso saltare tutte le lezioni.»
«Okay.»
«Devo legarmi i capelli e lavarmi i denti, poi sono pronta», dico mentre finisco di vestirmi.
Al piano di sotto troviamo Karen e Landon che chiacchierano e mangiano cereali in cucina.
Landon mi sorride; non sembra troppo sorpreso di vedermi con Hardin. E neanche Karen. Anzi, ha l'aria... contenta. Non riesco a capirlo, perché si è portata la tazza di caffè alle labbra per nascondere il sorriso.
«Oggi accompagno io Tessa all'università», dice Hardin a Landon.
«Okay.»
«Pronta?» mi chiede, e io annuisco.
«Ci vediamo a religione», riesco ad avvisare Landon prima che Hardin mi trascini via.
«Che fretta c'è?» gli chiedo quando siamo fuori casa.
«Nessuna, ma vi conosco, voi due: se cominciate a parlare non usciamo più, e se c'è di mezzo anche Karen rischio di morire di fame.» Mi apre la portiera della macchina, e io sorrido perché un po' ha ragione.
Arrivati al locale, scopriamo che c'è da aspettare quindici minuti per un tavolo. «Okay», faccio alla cameriera, e nello stesso istante
Hardin esclama: «Perché?»
«C'è molta gente e al momento non abbiamo tavoli liberi», spiega lei. Hardin la guarda male e io lo trascino a sedere su una panchina all'ingresso.
«È bello rivederti», commento.
«Cosa intendi?»
«Che non hai perso la vena polemica, dopotutto.»
«Quando ti è sembrato che l'avessi persa?»
«Non lo so, quando siamo usciti insieme, e un po' anche ieri sera.»
«Ho distrutto la stanza e ti ho insultata», mi ricorda.
«Lo so, era una battuta.»
«Be', la prossima volta fanne una migliore», replica, però accenna un sorriso.
Quando finalmente ci sediamo al tavolo, viene da noi un cameriere con la barba un po' troppo lunga. Dopo che se n'è andato con la nostra ordinazione, Hardin giura che se trova un pelo nel piatto farà una strage. «Dovevo solo dimostrarti che ho ancora la vena polemica», dice strappandomi una risata.
Sono contenta che stia tentando di essere un po' più gentile, ma mi piace anche la sua strafottenza, e il disinteresse per il giudizio degli altri. Vorrei che mi trasmettesse un po' di queste qualità.
«Perché non salti tutte le lezioni di oggi?» mi propone cominciando a mangiare.
«Perché...» inizio. Be', sai, perché devo trasferirmi in un'altra università nel bel mezzo del semestre e non voglio complicare le cose perdendo crediti formativi.
«Non voglio rovinarmi la media», butto lì.
«Siamo al college, nessuno va a lezione», mi ripete per la centesima volta da quando lo conosco.
«Non muori dalla voglia di andare a yoga?» lo canzono.
«No, niente affatto.»
Finiamo la colazione e ci avviamo al campus, ancora di buonumore. Il telefono di Hardin vibra sul cruscotto, ma lui lo ignora.
Vorrei rispondere al posto suo, ma sta filando tutto così liscio tra di noi... Al terzo squillo decido di farmi avanti. «Non rispondi?»
«No, entrerà la segreteria. Tanto sarà mia madre. Ecco, vedi, ha lasciato un messaggio vocale. Puoi ascoltarlo, per favore?»
Spinta dalla curiosità, prendo il telefono.
«Vivavoce», precisa lui.
«Hai sette nuovi messaggi», annuncia la voce metallica mentre
Hardin parcheggia.
Sbuffa. «Ecco perché non li ascolto mai.»
Premo il pulsante. «Hardin... Hardin, sono Tessa. Io...» Cerco di spegnere, ma lui mi strappa il telefono di mano.
Oddio...
«Be', devo parlarti. Sono in macchina, e mi sento così confusa...»
La mia voce è isterica.
Vorrei sotterrarmi. «Spegni, per favore», lo scongiuro, ma lui sposta il telefono nell'altra mano per sottrarlo alla mia portata.
«Perché non ci hai neppure provato? Mi hai lasciata andar via, ed eccomi qua, a piangere nella tua segreteria. Sono patetica. Devo sapere cosa ne è stato di noi. Perché stavolta è diverso, perché non abbiamo lottato? Perché non hai lottato per me? Merito la felicità, Hardin.»
Mi guardo le mani e sto zitta. È umiliante: mi ero quasi dimenticata di quel messaggio, e ora vorrei che lui non l'avesse sentito.
«Quando l'hai lasciato?»
«Mentre tu eri via.»
Sospira. «Perché ti sentivi confusa?»
«Non penso che tu ne voglia parlare», dico mordendomi il labbro.
«Sì, che voglio.» Si slaccia la cintura di sicurezza e si gira verso di me.
Cerco le parole giuste. «Quell'orribile messaggio risale alla sera...alla sera in cui l'ho baciato.»
«Ah.» Si gira di nuovo in avanti.
La colazione era andata così bene, e il mio stupido messaggio ha rovinato tutto. Ma non è colpa mia: in quel momento ero sconvolta.
«Prima o dopo che lo hai baciato?»
«Dopo.»
«Quante volte lo hai baciato?»
«Una.»
«Dove?»
«Nella mia macchina.»
«E poi? Cos'hai fatto dopo avermi lasciato questo messaggio?»
«Sono tornata a casa sua.» Hardin appoggia la fronte sul volante.
«Io...» continuo.
Alza un dito per zittirmi. «Cos'è successo a casa sua?»
«Niente. Ho pianto e abbiamo guardato la televisione.»
«È una bugia.»
«No. Ho dormito sul divano. L'unica volta che ho dormito in camera sua è stato quando sei arrivato tu. Non c'è stato altro che un bacio tra noi, e qualche giorno fa siamo andati a pranzo insieme, lui ha provato a baciarmi ma io l'ho respinto.»
«Ha provato a baciarti... di nuovo?»
Merda. «Sì, ma sa cosa provo per te. Mi dispiace tanto, anche solo di aver passato del tempo con lui. Non ho giustificazioni né scuse, però mi dispiace.»
«Ti ricordi cos'hai promesso, vero? Che starai lontana da lui...»
«Sì, mi ricordo.» Non mi piace sentirmi dire chi posso e non posso avere come amico, ma devo ammettere che a parti invertite mi aspetterei lo stesso da lui, e ultimamente ci siamo trovati spesso a parti invertite.
«Ora che conosco i dettagli, non parliamone più, va bene? Sul serio... non voglio più sentire il suo nome.» Mi accorgo che sta cercando di rimanere calmo.
«Okay», concedo, e gli prendo la mano. Neanch'io voglio parlarne più; abbiamo già detto tutto quello che c'era da dire sull'argomento.
È un sollievo essere io la causa del problema, per una volta, perché Hardin non ha certo bisogno di altri motivi per disprezzare se stesso.
«Sarà meglio che andiamo a lezione», conclude.
Sentendo il suo tono freddo mi si stringe il cuore, ma resto in silenzio. Hardin mi accompagna al dipartimento di filosofia. Mi guardo intorno ma non vedo Landon; dev'essere già entrato.
«Grazie per la colazione», dico mentre Hardin mi porge la borsa.
«Di niente.»
Accenno un sorriso e mi giro per andarmene, ma lui mi stringe il braccio e la sua bocca si posa sulla mia.
«Ci vediamo dopo la lezione. Ti amo.» E mi lascia lì, ansimante e felice.

After un cuore a mille pezziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora