109 TESSA

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MI sveglia uno strano trillo, e impiego qualche secondo a ricordare che ieri sera ho spento il telefono a causa di Hardin e ho puntato la sveglia analogica. Poi ricordo di essere rimasta seduta al bancone della cucina, con l'entusiasmo che sbiadiva di minuto in minuto, e lui non è mai arrivato.
Mi lavo il viso e mi preparo per il lungo tragitto in macchina verso la Vance; l'unica cosa che davvero mi manca dell'appartamento è il fatto che fosse vicino all'ufficio. E Hardin. E le pareti coperte di
librerie. E la cucina piccola ma perfetta. E quella lampada. E Hardin.
In cucina trovo solo Karen. Vedo la torta con le candeline che formano il numero tredici e la stupida glassa che componeva il nome HARDIN ma ora mezza sciolta e con le sole prime due lettere.
«Non è potuto venire», spiego a Karen senza guardarla negli occhi.
«Sì, l'avevo immaginato.» Mi sorride comprensiva e pulisce gli occhiali con il grembiule. È una perfetta padrona di casa, sempre intenta a cucinare o sistemare qualcosa, ma soprattutto è gentile e ama profondamente il marito e la sua famiglia, persino il suo rozzo figliastro.
«Tesoro, sai che non è facile», aggiunge Karen.
Mi viene quasi da ridere: sono le parole che Hardin usa sempre contro di me.
«Comunque...» continua, «stavamo pensando di andare al mare la prossima settimana. Ci farebbe molto piacere se venissi anche tu.»
«Al mare? In pieno inverno?»
«Abbiamo una barca, la usiamo per andare a vedere le balene.
Preferiamo andarci prima che faccia troppo caldo. Dovresti proprio venire con noi.»
«Davvero?» Non sono mai stata in barca, e l'idea mi terrorizza, ma le balene mi interessano. «D'accordo allora, verrò», acconsento.
«Splendido! Ci divertiremo, vedrai.»
Quando arrivo alla Vance riaccendo il telefono. Devo smetterla di spegnerlo quando sono arrabbiata. La prossima volta, se Hardin mi chiama, posso semplicemente non rispondere. Se succedesse qualcosa a mia madre e non potesse mettersi in contatto con me, mi sentirei tremendamente in colpa.
Corro in ufficio a telefonarle, ma lei non risponde. Il manoscritto che inizio a leggere è irritante già nelle prime cinque pagine. Lo sfoglio e vedo che all'ultima pagina c'è un: «Sì, lo voglio». Sospiro.
Sono stufa di leggere sempre la solita storia: ragazzo e ragazza si conoscono, si innamorano, sorge un problema, lo risolvono, si sposano, fanno figli, fine. Butto il manoscritto nel cestino.
Ho bisogno di una storia realistica, con problemi reali, litigi e rotture. Nella vita vera, le persone si fanno del male a vicenda, e permettono che venga fatto loro del male... me compresa, naturalmente. Solo ora me ne rendo conto.
Vedo Christian passare davanti al mio ufficio e mi alzo per raggiungerlo. Ripeto tra me il discorsetto che devo fargli a proposito di Seattle. Spero che Hardin non mi metta i bastoni tra le ruote.
«Mr Vance?» dico bussando alla sua porta.
«Tessa? Entra pure.»
«Scusa il disturbo... hai un minuto?» gli chiedo, e lui mi fa cenno di sedermi. «Mi domandavo se ci fosse una possibilità di trasferirmi a Seattle. Spero non sia troppo tardi. Ci terrei davvero, Trevor me ne ha parlato e penso che sia un'ottima occasione per me...»
Christian scoppia a ridere e alza le mani per fermarmi. «Davvero ci vuoi andare?» Sorride. «Seattle è molto diversa da qui», spiega, e dal tono che usa ho la sensazione che non sia convinto.
«Sì, sono sicurissima. Vorrei proprio andarci...» Vero?
«E Hardin? Verrebbe con te?» domanda allentandosi il nodo della cravatta.
Devo confidargli che Hardin non vuole venire a Seattle? Che il suo ruolo nel mio futuro è incerto, e che è testardo e paranoico?
Nell'incertezza, mi limito a rispondere: «Ne stiamo ancora parlando».
Vance mi guarda negli occhi. «Mi piacerebbe molto portarti a Seattle con noi.» Dopo un attimo di esitazione, aggiunge: «Anche Hardin. Può venire pure lui, magari gli offrirò il suo vecchio impiego.
Sempre che riesca a tenere la bocca chiusa», ride.
«Davvero?»
«Ma certo. Dovevi parlarmene prima.» Si toglie la cravatta e la posa sulla scrivania.
«Grazie mille!»
«Quando pensi che sarai pronta per trasferirti? Io, Kim e Trevor partiamo tra un paio di settimane, ma tu puoi raggiungerci quando vuoi. Dovrai cambiare università, e ti aiuterò per quanto posso.»
«Due settimane dovrebbero bastare», dico prima di poterci riflettere troppo.
«Fantastico. Kim sarà felicissima.» Sorride e sposta lo sguardo sulla foto di Kimberly e Smith che tiene sulla scrivania.
«Grazie ancora. Questo trasferimento significa molto per me», gli confesso prima di uscire dal suo ufficio. Seattle. Due settimane. Tra due settimane andrò a vivere a Seattle. Sono pronta.
Vero?
Certo che sì, erano anni che aspettavo questo momento. Solo che non immaginavo arrivasse tanto in fretta.

After un cuore a mille pezziDove le storie prendono vita. Scoprilo ora