Pov Wooyoung
Fissavo il soffitto nel buio, il silenzio della stanza mi rimbombava nelle orecchie. Quando lo schermo del cellulare si accese, sobbalzai, il cuore che accelerava in un istante.Speravo fosse San. Ma niente, solo un'altra notifica inutile, quasi una presa in giro. Da giorni provavo a chiamarlo, a scrivergli, a lasciare messaggi in segreteria, ma il telefono risultava staccato.
Ogni ora che passava, l'angoscia cresceva. Avrei voluto stargli vicino in quel momento delicato, ma il suo silenzio mi spingeva in un baratro di preoccupazione e incertezza.
Capivo il bisogno di lasciargli spazio, ma al tempo stesso odiavo l'idea che stesse affrontando tutto da solo.
San era sempre stato così: gli "up" erano fantastici ma i "down" erano un duro colpo da affrontare. Quando accadeva qualcosa si richiudeva in sé stesso, pensando erroneamente di essere un penso per gli altri, che esprimere il dolore volesse dire trasmetterlo.
Mi sembrava di vederlo, chiuso in una sala d'attesa asettica, perso tra sedie vuote e pareti spoglie. Il volto terreo, corrugato, teso nell'attesa di notizie che avrebbero potuto cambiare tutto. Mi faceva male immaginarlo così, con il cuore in sospeso per sua madre, il corpo rigido e lo sguardo fisso sulla porta di una stanza d'ospedale.
Mi voltai a osservare il suo letto desolatamente vuoto. Tutto sembrava distante. Erano da tre giorni che non avevo sue notizie: 72 ore in cui ogni minuto era sembrato più lungo del precedente, un'attesa snervante che mi consumava dall'interno.
Ogni volta che guardavo il telefono, sentivo un misto di speranza e paura, speranza che finalmente mi avesse scritto, paura che invece fosse ancora solo silenzio. Scorrevo i messaggi inviati, uno dietro l'altro, domande rimaste senza risposta. Mi chiedevo se li avesse letti, se avesse dormito o mangiato, se si stesse prendendo cura di sé.
Alla terza notte di fila senza chiudere occhio, il buio della stanza sembrava più denso, quasi opprimente. Non riuscivo ad abbandonare l'idea che San fosse là fuori, da qualche parte, solo, immerso in un dolore che non mi permetteva di condividere.
Poi, nel cuore della notte, il telefono vibrò. Un singolo tremolio che ruppe il silenzio come un'esplosione. Sobbalzai, con il cuore in gola, e per un attimo restai immobile, come se non osassi sperare. Con le mani tremanti, afferrai il cellulare e guardai il display.
San.
Quel nome sullo schermo fu quasi una benedizione.
Risposi quasi troppo in fretta, come temendo che quel momento potesse sfuggirmi.«Dove sei? Come stai? Come sta tua madre?» le parole mi uscirono a raffica, senza un attimo di pausa.
Dall'altra parte, avvertii il suo respiro appena percettibile. Era lui, ma il silenzio tra noi sembrava riempito di un peso che non sapevo come sciogliere.
«Non sapevo se fosse una buona idea chiamarti a quest'ora.» Fu la sola cosa che disse. La voce spenta, stanca. Fece una piccola pausa.
«Scusa se non ti ho risposto - disse infine - È solo che... è complicato.»
Sentire la sua voce fu un sollievo e una tortura al tempo stesso. Mi era mancato, ma al contempo odiavo sentire quel tono, quel vuoto che pareva risucchiarlo. Avrei voluto essere lì con lui, fargli sentire che non era solo, ma le distanze, fisiche ed emotive, erano come muri invalicabili che ci separavano.
«San, io... P-posso fare qualcosa per te?» chiesi, la voce appena un soffio, quasi temendo di spezzare la fragile linea che ci univa.
Un sospiro, leggero come il fruscìo di una foglia che cade.
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Roommates | Woosan
Fanfiction«Choi?» lo richiamai «Hai dimenticato una cosa.» Il ragazzo si voltò scocciato. «Cosa?» «Me.» La mia battuta smorzò il leggero disagio nella stanza e finalmente il ragazzo mi regalò un sorriso. «Ci vediamo dopo, principessa.» disse ammiccando. D...