sunflowers

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Pov San

Mi sentivo come se stessi camminando su un filo sottile, sospeso tra il mondo che mi stava facendo a pezzi e l'impossibilità di fermarmi. La luce fredda e artificiale del Namhae Joongang Medical Hospital mi accecava. La stanza di mia madre era sempre la stessa: bianca, sterile, piena di macchinari che facevano rumori incessanti. Le sue mani tremavano, e ogni volta che la guardavo, non riuscivo a fermare quel nodo alla gola che mi paralizzava.

Non avevo mai chiesto a nessuno di venire a parlarmi, ma oggi, come sempre, mio padre non aveva intenzione di lasciarmi scappare.

«San, ti accompagno in stazione o perderai il treno.» Mi sentii tirato fuori dalla mia bolla. Avrei voluto dirgli che non potevo, che non volevo andare, ma invece mi feci forza e lo seguì. Mi sentivo come un automa, un ragazzo senza desideri, senza sogni, senza niente. Solo vuoto.

Dopo oltre 5 ore di viaggio, arrivai alla SNU stanco e frustrato, con la testa che non riusciva a concentrarsi su niente. Il cuore mi martellava nel petto, come se volesse uscire. L'esame che dovevo affrontare mi sembrava ridicolo, tanto quanto essere lì. La cosa che mi preoccupava davvero era mia madre, la sua sofferenza che mi colpiva come una freccia affilata. Eppure, mi trovavo lì, tra studenti che andavano e venivano, come se nulla fosse cambiato.

Camminai senza vedere nulla, fino a quando, varcando la soglia della mia stanza, non lo incontrai. Il mio compagno di stanza. Si voltò con quel sorriso che mi faceva sempre sentire più piccolo, come se avessi voluto nascondermi. Non avevo voglia di vedere nessuno, tantomeno lui. Ma lui c'era, come sempre, ed incontrarlo era inevitabile. Non riuscivo a capire cosa volesse da me, perché continuava a mostrarsi, nonostante io fossi così distante, così distante da tutto.

«Speravo di vederti.» ammise, ma la sua voce mi raggiunse a malapena, come se provenisse da un altro mondo. Non avevo voglia di rispondere. Non avevo voglia di spiegare a nessuno quanto fosse difficile, quanto fosse doloroso stare lì, a fare finta di essere come tutti gli altri, quando dentro ero distrutto.

«Faccio l'esame e torno in ospedale.» dissi. Il ragazzo fece un passo verso di me, ma io mi scansai.

«Non adesso, Wooyoung.» La mia voce uscì più dura di quanto avessi voluto. Ma non riuscivo a fermarla. Sentivo quel peso schiacciarmi, il dovere di restare distante, di non lasciarmi sopraffare da emozioni che avrei voluto tenere nascoste.

Wooyoung non si mosse, quasi come se avesse paura di rompermi, ma il suo volto cambiò. Il sorriso che gli sfiorava le labbra si trasformò in un'espressione più seria. «S-scusami» disse, con un filo di voce. Quella parola mi colpì più di quanto avessi immaginato. Quella gentilezza, quel volerci essere nonostante tutto. Ma io non potevo. Non riuscivo. Non volevo fare del male a chi mi stava vicino. Non volevo che lui vedesse tutto quello che stavo vivendo, che entrasse in questo mondo grigio e caotico che stavo cercando di nascondere.

«Wooyoung, smettila, per favore.» cercai di non sembrare troppo brusco, ma la mia voce tradiva la fermezza che volevo mantenere. «Non sono il tipo da cui aspettarti cose facili e non ti ho chiesto di stare qui a commiserarmi. Non posso essere quello che ti aspetti. Semplicemente, lasciami solo.»

Il suo volto si fece confuso, carico di frustrazione. «Non ti capisco, San. Io non ti chiedo niente. Solo che tu mi tenga con te, anche solo un po'. Non importa quanto distrutta la tua vita possa essere. - Il suo sguardo mi perforò, come se stesse cercando qualcosa che io non ero disposto a dargli. - Dammi l'opportunità di leggerti.» sussurrò

Sentivo il mio cuore battere forte, ma non volevo cedere. Non volevo che vedesse la mia sofferenza, il mio bisogno di essere visto, ma anche il mio terrore di farlo.

Roommates | WoosanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora