Capitolo 10

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Dopo l'incontro con Alex e Davis, erano trascorsi alcuni giorni, ma l'aria tesa di quell'episodio sembrava non essersi mai dissolta. Claire si sentiva sempre più soffocata, come se il peso delle aspettative, delle sue decisioni, e quel costante bisogno di sfuggire, le stringessero un nodo intorno al collo.

Era nella sua stanza, una stanza perfetta e ordinata, una maschera di lusso che nascondeva il caos che le ribolliva dentro. Sul tavolino di vetro, le tracce della sua dipendenza erano sempre più evidenti: una bustina mezza vuota, residui bianchi, un portacipria aperto che serviva a tutt'altro scopo.

Claire aveva passato l'ultima ora fissando il vuoto, le luci soffuse che si riflettevano sui muri come se danzassero solo per lei. Ogni volta che la solitudine bussava alla porta, la cocaina sembrava l'unica compagnia capace di farle dimenticare. Inspirò di nuovo, un'altra striscia, un altro bruciore. Questa volta le mani non tremavano più: il gesto era diventato un'abitudine, un riflesso quasi meccanico .

Il cuore accelerò, pulsando come un tamburo nella sua testa. Claire si alzò dal divano, passeggiando nervosamente avanti e indietro, cercando un senso di controllo che sapeva di aver perso da tempo. Era euforica, certo, ma la verità le si infilava sotto pelle, più spaventosa di qualsiasi cosa: stava scivolando sempre più in basso.

Il telefono vibrò sul tavolo. Non si preoccupò neanche di guardare chi fosse. Forse Alex, forse Davis, o qualcun altro che cercava di avvicinarsi a lei. Non importava più nulla. Il suo mondo si restringeva ogni giorno, e lei lo lasciava accadere, come se non avesse più le forze per fermarlo.

L'euforia, come sempre, cominciò a svanire troppo presto. Claire si passò una mano sul viso, le dita fredde contro le guance calde. Le sembrava che la stanza si stringesse attorno a lei, lasciandola senza aria. Tentò di afferrare quella sensazione di onnipotenza, ma era già scivolata via. E la consapevolezza della sua vulnerabilità tornava a schiacciarla.

Fece per sedersi di nuovo, ma qualcosa la fermò. Lo specchio sul muro rifletteva la sua immagine: i capelli arruffati, il trucco sbavato, gli occhi cerchiati da un'ombra scura. Non era più la ragazza impeccabile e popolare che tutti ammiravano. Era qualcuno che neanche lei riusciva a riconoscere.

Un bussare improvviso alla porta la fece sobbalzare. La realtà le si schiantò addosso, cruda e ineludibile. Non era pronta a vedere nessuno, ma sapeva che non avrebbe potuto nascondersi per sempre.

"Claire, sei lì?" Era Alex. La sua voce sembrava più distante del solito, e questo la spaventava più di ogni altra cosa.

Claire non rispose subito, il cuore che martellava nelle orecchie. Guardò il disordine intorno a lei: la bustina ancora sul tavolino, il portacipria incriminante. Maledizione, pensò. Non adesso.

"Claire, apri." La voce di Alex si fece più dura.

Claire si alzò di scatto, inciampando nel tappeto cercando disperatamente di nascondere il disordine. Spazzò la bustina sotto il divano e chiuse il portacipria con mani tremanti. Ma l'effetto della cocaina stava svanendo, e con esso la sua lucidità.

La porta si aprì di colpo. Alex entrò senza chiedere permesso, e il suo sguardo scivolò su di lei, freddo e implacabile. Non parlò, ma sembrava notare ogni dettaglio, ogni crepa.

"Che cosa vuoi, Alex?" sbottò Claire, cercando di mantenere il controllo. Si incrociò le braccia, come per proteggersi. "Non è il momento."

Alex non si mosse. Rimase lì, fermo, imponente. "Da quant'è che non è mai il momento, Claire?"

La sua voce era bassa, ma aveva quella freddezza che Claire conosceva fin troppo bene. Fece un passo verso di lui, puntando lo sguardo su di lui con rabbia. "Non ho bisogno di te qui. Vattene."

Ossessione proibitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora