capitolo 104 - Tra libri e piatti

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La sveglia squilla come ogni mattina, invadendo il silenzio con quel suono odioso e ripetitivo. Socchiudo gli occhi, cercando il pulsante per spegnerla. Non ci riesco subito, le dita scivolano sui bordi lisci del telefono, ma alla fine il silenzio ritorna. Respiro a fondo e fisso il soffitto per un momento, cercando di convincermi ad alzarmi.

La luce del mattino filtra dalle tende, morbida e delicata, ma già fastidiosa per i miei occhi ancora pieni di sonno. Mi passo una mano tra i capelli, che sono un disastro. Ieri sera dovevo farmi una treccia prima di andare a dormire, ma come al solito mi sono addormentata con la testa sui libri.

Mi stiro, allungando le braccia sopra la testa, e finalmente mi alzo. I piedi nudi toccano il pavimento freddo della stanza, e rabbrividisco leggermente. Guardo l'orologio sulla scrivania: sono le sette e mezza. Ho tempo prima di andare a scuola, ma non abbastanza da poltrire.

Mi dirigo verso il bagno con i capelli raccolti in una coda disordinata e il viso ancora mezzo addormentato. Mi lavo i denti, fissando il mio riflesso nello specchio. La mia faccia è un po' pallida, gli occhi leggermente gonfi per la mancanza di sonno. Passo le dita sotto di essi, cercando di ridurre le borse. È inutile, ma almeno ci provo.

Torno in camera e apro l'armadio. Pescare i vestiti per la scuola è sempre un gioco di velocità: una maglietta semplice e dei jeans. Non ho tempo per pensare a cosa abbinare. Sistemo un po' i capelli con una spazzola, lasciandoli sciolti questa volta, prendo lo zaino e infilo le scarpe da ginnastica. Prima di uscire, controllo di avere tutto. "Telefono, chiavi, libri... Ok, ci siamo."


A scuola la mattinata iniziò con una lezione di fisica. Entrai in aula e mi sedetti al solito posto, vicino alla finestra. Il professor Moretti era già lì, intento a scrivere qualcosa alla lavagna. Gli altri studenti entrarono alla spicciolata, chiacchierando e ridendo tra loro. Io aprii il quaderno e mi preparai a prendere appunti.

"Ragazzi, oggi parleremo della legge di Coulomb," annunciò il professore, voltandosi verso di noi. "Chi di voi sa spiegarmi di cosa si tratta?"

Sollevai la mano senza esitazione. Il professore indicò me, e io iniziai a parlare:

"La legge di Coulomb descrive l'interazione elettrostatica tra due cariche. Dice che la forza tra due cariche puntiformi è direttamente proporzionale al prodotto delle loro cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa."

"Esatto," disse il professore, annuendo soddisfatto. "E quale costante utilizziamo per calcolare questa forza?"

"La costante di Coulomb, K," risposi con sicurezza.

"Molto bene, Emily. Hai spiegato tutto alla perfezione. Spero che tutti abbiate preso appunti, perché domani ci sarà un compito su questo argomento."

Un mormorio attraversò la classe, ma io rimasi impassibile. Ero pronta. La fisica era una delle poche materie che mi piacevano davvero, e volevo dare il massimo.


La mattinata proseguì lenta, e quando suonò la campanella dell'ultima ora, tirai un sospiro di sollievo. Tornai a casa e, come al solito, lasciai lo zaino accanto alla scrivania. Mi cambiai, indossando dei pantaloni della tuta e una felpa comoda, e poi mi sedetti per studiare.

Apro il manuale di fisica e inizio a ripassare la legge di Coulomb, ripetendo sottovoce. "La forza è inversamente proporzionale al quadrato della distanza..." Mi fermo, ripeto la frase, e poi passo agli esercizi. Scrivo e riscrivo formule, mordendomi il labbro ogni volta che faccio un errore. Dopo circa un'ora, mi alzo dalla sedia e mi stiracchio. Ho bisogno di una pausa.


Verso il pomeriggio mi preparo per andare al lavoro. Indosso una camicia bianca e dei jeans, raccogliendo i capelli in una coda alta. Prendo la borsa, le chiavi della macchina, e mi avvio.

Arrivo al locale pochi minuti dopo. Amber mi saluta con il suo solito sorriso ironico.

"Pronta per un'altra serata?"

"Più o meno," rispondo, infilando il grembiule.

Il lavoro è frenetico come sempre. I clienti entrano ed escono, e io non ho un attimo di respiro. Tra un ordine e l'altro, vedo entrare Nick, Ethan e Lucas. Si siedono al solito tavolo e iniziano a ridere tra di loro.

Mi avvicino con il blocco per gli ordini. "Che volete?" chiedo, cercando di mantenere un tono neutro.

"I soliti," risponde Nick con un sorriso.

Annoto l'ordine e torno al bancone. Amber mi lancia un'occhiata divertita.

"Non ti stancano mai, vero?"

"Non ne ho idea."


Verso sera, quando il locale inizia a svuotarsi, trovo finalmente un momento per respirare. Mi siedo su uno sgabello vicino al bancone, massaggiandomi le tempie. È stata una giornata lunga, e sono esausta.

Amber si avvicina con una tazza di caffè. "Tieni, te lo sei guadagnato."

"Grazie," mormoro, prendendo la tazza tra le mani.


Quando finalmente torno a casa, è già buio. Salgo in camera, mi tolgo le scarpe e mi lascio cadere sul letto. La stanchezza è così forte che non ho nemmeno voglia di cambiarmi. Chiudo gli occhi, sperando che il sonno arrivi in fretta.

Ma i pensieri non mi lasciano in pace. Domani c'è il compito di fisica, e anche se so di essere preparata, non riesco a smettere di pensarci. Ripeto mentalmente la formula della legge di Coulomb, come una ninna nanna che non funziona.

Alla fine, il sonno mi avvolge lentamente, trascinandomi in un mondo dove non esistono sveglie, né compiti, né lavoro. Solo un silenzio tranquillo. Per ora.

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