Capitolo 3 Un sogno sfumato

3K 309 51
                                    

Le ragazze ci erano sempre più vicine, e per qualche ragione che ignoro iniziai a contarle. Erano tante, troppe, e inesorabilmente persi subito il conto. Mi voltai fulmineamente verso Mirko, e gli lanciai un'occhiata di panico. Il mio corpo era un fascio di nervi in agitazione, senza alcun piano da seguire in quella situazione di emergenza. Quando anche lui agganciò il suo sguardo al mio e vi lessi la confusione, mi sentii lacerata dentro. I suoi occhi ora erano di rame solido, come se si fossero incupiti, e di quelle ombre chiare che gli coronavano prima le pupille non vi era più alcuna traccia.

« Perdonami, Mirko. Non era mia intenzione... » 

Mi scusai con voce mesta, senza sapere cos'altro dire o fare.

« Non fa nulla, Jessica. Se la mia vita è così, la colpa non è tua » 

Spiegò con voce rotta da una risata amara, mentre mi poggiava il palmo della mano sulla guancia. Il suo pollice lievemente irruvidito mi segnava la pelle di linee e forme geometriche immaginarie, mentre il suo viso si rabbuiava ancora di più. Per la seconda volta in quella serata, mi salì un inestricabile groppo alla gola, ma lasciai che mi torturasse. Mi sentivo terribilmente colpevole e avrei tanto voluto fare di più per migliorare la situazione. Da una parte, il mio subconscio sapeva perfettamente che non si trattava di una disgrazia per cui affliggersi, dall'altra, però, qualcosa nello sguardo di Mirko, nella sua espressione, quella punta leggera di accoramento nella sua voce, mi avevano messo addosso una tristezza infinita. Quello doveva essere il primo avvertimento che l'universo mi stava donando, affinché capissi che io Mirko non lo conoscevo affatto.
Gli sussurrai un flebile "vai", quando le sue fan oramai distavano solo pochi metri da noi, e lui andò.
Passarono minuti infinitamente lunghi, minuti che si trasformarono in un'ora. Io mi ero accoccolata sulla soglia del palazzo dove Mirko aveva appuntamento due ore prima, mentre guardavo tutte quelle ragazze incredibilmente felici scattarsi foto e farsi autografare sul braccio la firma di Mirko. Lui aveva stampato sul volto un sorriso a trecento watt e, se non avessi assistito ai tre minuti che avevano preceduto quell'incontro con le fan, avrei creduto che fosse puramente vero. Iniziai a rimuginare sulle parole che mi aveva detto, prima di raggiungere le romane: "non è tua la colpa, se la mia vita è così", avventurandomi in un labirinto senza uscita. Cosa aveva voluto dire? Arrivai alla conclusione che, probabilmente, era uno di quei personaggi pubblici che non amano particolarmente essere aggrediti all'improvviso da fan sfegatati, ma non ne ero sicura. Quello che gli avevo letto in viso non era noia, era ben altro, sebbene non riuscissi ancora a decifrarlo. Quando Mirko smaltì l'intera folla, si avviò verso di me e mi superò senza degnarmi di uno sguardo. Scattai in piedi istintivamente, ma lui aprì il portone ed entrò nell'androne, scomparendo.
Gli urlai ancora una volta delle scuse, ma lui non tornò indietro ed io non provai a raggiungerlo. Sarebbe stato inutile, gli avrei fatto perdere soltanto altro tempo, e lui non ne aveva più a disposizione. Ritornai terribilmente demolita a casa di mia cugina Arianna, strascinando il mio corpo a passo tardo e lento, crogiolandomi nei pensieri più assassini. Probabilmente, non l'avrei mai più incontrato.
Appena giunta a casa, ricominciò a piovere a dirotto. Le nuvole grigie e dense, che ricoprivano il cielo, piangevano al mio posto. Bussai alla porta con un suono malinconico e prolungato, sbattendo i piedi ancora fradici per terra. Quando sentì la voce allegra di Arianna, ringraziai il cielo, perché non ero decisamente dell'umore adatto per fingere con la nonna che tutto fosse andato bene.

« Jessica! Dio Santo, ma che fine avevi fatto? Sei stata tutto il pomeriggio fuori. Ti hanno rapita gli extraterrestri? » 

Apostrofò sarcastica, aprendo le labbra in un sorriso enorme. Io la adoravo. Era la mia cugina preferita e migliore amica a vita. Sebbene abitasse a Roma, ed io a Milano, ci sentivamo sempre una accanto all'altra. Non c'era bisogno di spiegarle quando stavo male, perché lei mi capiva meglio di chiunque altro al mondo e mi chiudeva in uno dei suoi abbracci miracolosi, affinché mi riprendessi.

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora