Capitolo 18 Ritorno in palestra

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Narra Jessica

Quando arrivai in palestra, Arianna era già lì e mi guardava con un'espressione severa, tanto da farmi rabbrividire. Aveva portato con sé la giacca del ragazzo, che avevamo adocchiato al cinema, oltre ad un borsone stranamente grosso sulle spalle. Il look sportivo che indossava non le si addiceva affatto. Né io, né tantomeno lei, amavamo lo sport. Perciò mi venne spontaneo, quasi naturale, pensare che quel completino da ginnastica l'avesse comprato appena per far colpo sul ragazzo misterioso.

« Alla buon'ora! Dove sei stata? Sei praticamente scomparsa dalla circolazione »

« Sarebbe troppo lungo da spiegare »

Farfugliai affannata dalla corsa, che avevo appena portato a termine. Quando le fui abbastanza vicina, mi piegai in avanti, appoggiando le mani sulle ginocchia come un debole giunco mosso dal vento, affinché respirassi meglio.
Le mie gambe erano doloranti e sentivo pulsare freneticamente le piante dei piedi. Ero colta da una tachicardia pazzesca, la quale mi costruì, pezzo dopo pezzo, nella mente l'immagine del mio povero cuore che saltava via dal petto. Non ero certo allenata a correre.

« Scommetto cento dollari che stavi con Mirko »

Sogghignò divertita, tirandomi un buffetto sulla spalla e strizzando un occhio marrone cioccolato. Respiravo ancora con difficoltà, così le feci gesto di aspettare due secondi, giusto il tempo di riprendere fiato. Quando il mio cuore quasi riprese a battere regolarmente, le risposi, accennando una faccia teatralmente nauseata.

« E con Elena. Bah, non parliamone, altrimenti mi verrà il voltastomaco »

Arianna rise di gusto alla mia eccellente interpretazione.

« Dopo mi spiegherai tutto. Ora pensiamo ad attuare il piano, su »

« Al piano? Da quando in qua abbiamo un piano? »

Chiesi sbigottita, sgranando gli occhi.

« Da adesso. Dobbiamo trovare il ragazzo, prima di tutto, poi, restituirgli la giacca e, infine,
presentarci. E il gioco è fatto »

Mi comunicò euforica, terminando con un gridolino di orgoglio e battendo le mani. Mia cugina trasudava eccitazione da tutti i pori.

« E tutto questo non potevamo farlo già al cinema, no?! Dobbiamo complicarci la vita, come sempre »

Incrociai le braccia, sbuffando irritata e parecchio su di giri. Non mi comportavo realmente così per il piano, quanto piuttosto per la situazione in cui avevo lasciato Mirko e quella tirapiedi. Ma ci pensate a lei che gli sbava dietro tutto il tempo? Che gli corre dietro? Misericordia! Ma come avevo potuto andarmene in quel modo? Avrei fatto meglio a rimanere con loro, o al massimo a venire qui con Mirko. Elena non mi piaceva per niente. Avrei covato pure tanti e fin troppi pregiudizi verso certe persone, soprattutto se si trattava di ammiratrici fanatiche di Mirko, ma il mio sesto senso non si sbagliava mai e, se mi consigliava di mettermi sull'attenti, allora sarebbe stato meglio seguire la sua dritta.

« Dai, non abbiamo tempo per piangere sul latte versato, entriamo »

Mi esortò, afferrandomi per un braccio senza troppe cerimonie e mi condusse dentro l'edificio, o meglio, mi trascinò. La palestra era identica a come la ricordavo. Ampia, luminosa, colma di attrezzi di qualsiasi genere e di gente sudatissima. Appena misi un piede dentro, il naso mi si arricciò di colpa a causa dell'odore forte, provocato dalla sudorazione. Strizzai gli occhi e mi feci forza. Passo dopo passo, mi ritrovavo di nuovo dentro a quella galera di marchingegni e pesi freddi, neri, pericolosi, faticosi. Mi chiedevo molto spesso cosa passasse per la testa di certe persone per spingerle a venire in palestra, luogo della tortura del nuovo millennio per antonomasia. Non capirò mai la loro logica, ma forse non sono loro ad essere strani. Forse sono io quella strana, sotto tutti i punti di visti, a partire da quello del concepimento dell'amore.

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora