Capitolo 36 Nottambuli

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Narra Jessica

Ci sono attimi nella vita che significano tutto, altri che, invece, non godono di alcun senso. Ci sono attimi che contano più di altri, che ti restano dentro per sempre, incisi nel cuore. Indelebili. Ci sono attimi passati che ricordi come se fossero appena trascorsi. Ci sono attimi che non passano mai, altri che vorresti solo trascorressero in fretta, ed altri ancora che desideri rivivere ancora una volta, ancora per sempre. Ci sono attimi che ti intrappolano l'anima e, sebbene le lancette dell'orologio continuino a scorrere, ticchettando fastidiosamente, e il tuo corpo continui ad esistere, tu non vivi più. O, almeno, non stai vivendo il presente, tu stai ancora vivendo in quel bellissimo attimo, prigioniero di un passato perfetto, che è stato negato al presente.
Parliamo tanto di attimi, siamo umani. O, forse, dovrei dire "uomini", perché, qui, di Umanità non ho più il piacere di incontrarne da tanto tempo. L'abbiamo smarrita chissà dove e, chissà se la ritroveremo mai. Spesso, gli attimi ricorrono nei nostri discorsi, probabilmente, anche troppo spesso.
Dovremmo imparare a vivere i giorni e, non gli attimi. Dovremmo imparare a ricordare i giorni e non gli attimi. Dovremmo imparare a viverle queste cazzo di giornate, perché, tanto, prima o poi, un giorno moriremo tutti e solo in punto di morte capiremo di aver sprecato inutilmente il nostro tempo.
Il tempo...
Abbiamo attribuito un significato specifico ad ogni più piccola unità temporanea. Sappiamo quanto vale un secondo, sappiamo quanto vale un minuto, un'ora, un giorno, una settimana, un mese, un anno. Ma più che adoperare il verbo "valere", avrei dovuto utilizzare il verbo "misurare". Perché, in fondo, nessuno, su questa Terra, ha ancora capito quanto valga veramente il nostro tempo. Il tempo è dannatamente prezioso. Solo agli attimi non abbiamo mai regalato una misura precisa.
Qual è, in fondo, il valore di un attimo?
Proviamo a chiederlo ad uno studente, che il giorno seguente dovrà sostenere un esame importante. Un attimo vale tanto: un attimo in più per studiare, un attimo in più per copiare, per imparare, un attimo in più d'ansia.
Proviamo a chiederlo ad una madre, la quale sta assistendo il figlio in ospedale, dopo essere stato vittima di un incidente stradale. Un attimo vale la vita. Sarebbe bastato un attimo in ritardo, o in anticipo, per non morire.
Proviamolo a chiedere a due innamorati che aspettano impazientemente di rivedersi dopo tanto tempo. Un attimo vale oro: un attimo in più per stare insieme, un attimo in più da attendere prima di riunirsi, un attimo in più per baciarsi e un altro per amarsi. E, infine, proviamolo anche a chiedere al fondatore della parola stessa: "attimo". Se solo sapessimo chi sia. Forse, nemmeno lui lo sapeva con certezza.
E, perché no, adesso prova a chiederlo tu a me, ma io ti consiglierei un'altra cosa: prova a chiederlo a te stesso quanto vale un attimo per te.
È sempre la risposta giusta.
Quella notte, per me, ogni attimo valeva un attimo in più di dolore e mai, come quella volta, un attimo mi aveva trafitto il cuore così tanto e così profondamente.
Fuori, il temporale sfuriava da un tempo che mi sembrava indefinibile, ed io avevo gli occhi puntati fuori dalla finestra da un tempo altrettanto lungo. Eppure, in fin dei conti, il tempo trascorreva sempre più lento da quando lui non c'era più, ed io nemmeno ci facevo caso.
Mi sembravano giorni vuoti, bui, grigi, senza di lui. Ma io ce l'avrei fatta ugualmente, dovevo farcela. Non avevo alternativa.
Lo schianto improvviso di un sassolino sul vetro della finestra mi destò dalle riflessioni, in cui, inesorabilmente, mi stavo lasciando affogare.
Quel sassolino mi fece tornare a galla.
Pensai che si trattasse solo di uno scherzo della mia mente, ormai tutto era possibile, invece non lo era, perché, dopo quella piccola pietra, ne seguirono altre tre o quattro. Spostai con un gesto repentino il piumone e appoggiai i piedi sul pavimento freddo. Il contatto della cute con le mattonelle gelide fu brusco e mi fece trasalire leggermente, ma, senza perdere tempo, mi incamminai immediatamente verso la finestra della mia camera. Mi affacciai per vedere cosa stesse succedendo e, proprio lì sotto, sotto la mia stanza, trovai lui.
Ebbi un tuffo al cuore e, per un momento, il mondo smise di girare. Il respiro mi si mozzò in gola e percepii le mie ginocchia cedere sotto il mio stesso peso. Strabuzzai gli occhi ed emisi un flebile suono sorpreso, appena compresi la situazione. Mirko era completamente bagnato dalla testa ai piedi e, alle sue spalle giaceva sull'asfalto uno striscione, ormai illeggibile per i litri di acqua che stavano piovendo dal cielo da tanto tempo. Sull'altro lato della strada, intravidi la sua splendida motocicletta parcheggiata, la quale fece riaffiorare vecchi ricordi di me e Mirko: il nostro primo bacio.
Non sapevo se fossi felice o meno di vederlo. Da una parte lo ero, tantissimo, da un'altra ero conscia che mi avrebbe fatto ancora più male incontralo un'altra volta. Non sapevo se fossi in grado di gestire un altro incontro ravvicinato con lui. Sentivo mancarmi la terra sotto i piedi, e una crepa sulle pareti del mio cuore si fece appena più profonda. Una straziante e dolce tachicardia improvvisa mi investì il petto, impennando ad ogni secondo che trascorreva, ma raggiunsi il culmine nell'esatto momento in cui i miei occhi incontrarono quelli di Mirko e lui mi fece cenno di scendere.
Non lo avrei mai fatto. Non sarei mai scesa da lui.
Era una ferita ancora sanguinante quella che mi aveva provocato, e la sua presenza non poteva far altro che aumentare l'emorragia. Tuttavia, una piccola parte di me desiderava tanto raggiungerlo. Ero combattuta, non sapevo cosa diavolo fare.
Il mio stomaco era in subbuglio, così tanto che avrei assestato un pugno nella mia stessa pancia, pur di placare quella lancinante sensazione. Una vocina mi sussurrava di ritornare a letto e di fingere che tutto questo non fosse mai accaduto. Ma, Gesù mio se era accaduto. Non sarei mai riuscita a cancellarlo dalla memoria.
Dopo qualche minuto, sentii chiamare il mio nome. Uscì dalle labbra di Mirko come un urlo disperato, e fu proprio quell'urlo la goccia che fece traboccare il vaso e che mandò a quel paese tutte le mie buone intenzioni di restarmene a casa col mio dolore.
Sebbene non sapessi ancora con certezza di ricordarmi come si camminasse senza barcollare a mo' di drogata, indossai un paio di scarpe di ginnastica e afferrai il cappotto, senza dimenticare di portarmi un ombrello, per ripararmi dalla pioggia battente. Mi incamminai verso la porta principale, cercando di rendere il meno rumoroso possibile lo scalpiccio dei miei passi. Chiusi la porta alle mie spalle e scesi lentamente le scale, assaporando ogni gradino con tutta la suola delle scarpe. Quell'attesa era lancinante, ma non riuscivo a correre da lui, sapendo che mi aveva ferita e che ancora lo avrebbe fatto.
La paura mi attanagliava lo stomaco e non era per niente una bella sensazione.
Quando me lo ritrovai davanti, mi sentii schiacciare dalla forza di gravità. In una volta sola mi sentii crollare il mondo sulle spalle.
E, Dio, se era pesante.
Sapevo che non sarei mai dovuta scendere da lui, quella notte.
Non lo avrei mai dovuto fare ma, ormai, ciò che era stato fatto, era fatto e, adesso, non mi toccava altro se non infondermi coraggio.
"Fatti forza, Jessica", mi sussurrò il mio subconscio e, io mi feci coraggio. Mirko iniziò a camminare verso di me a piccoli passi, con lo sguardo puntato sul mio viso. Avrei ascoltato ciò che aveva da dirmi, ma senza lasciarmi soggiogare dai suoi trucchetti. "Non questa volta", mi ripetevo, come se fossi già consapevole che le mie barriere avrebbero ceduto davanti ai suoi splendidi occhi.

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora