Capitolo 14 Senza fiato

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Correvo. Correvo fino a perdere fiato, fino a non avere più aria nei polmoni. Correvo, sebbene le gambe iniziassero a farmi male, a tremare, e nonostante i piedi pulsanti. Correvo, benché la vista mi si offuscasse sempre di più. Correvo nonostante sentissi il cervello diventare una brodaglia sgradevole. Correvo, solo questo. Continuavo la mia corsa, guardando la strada e senza mai fermarmi, per le strade buie e desolate. L'aria fresca ed umida mi pungeva la pelle come migliaia di lamine, facendomi rabbrividire. La luna tonda illuminava leggermente le poche stelle circostanti nel cielo tetro, e il suo riflesso sfocato e agitato si specchiava nelle pozzanghere sulla strada. La luce dei lampioni era fioca, le vetrine dei negozi spente. Tutto il mondo sembrava essere cristallizzato in un doloroso stand-by. Ero orribilmente affannata, e le gambe si facevano sempre più pesanti per il dolore, a ogni passo compiuto. Il mio battito cardiaco era tanto alto, che riuscivo a percepirlo in ogni parte del corpo. Dovevo fermarmi, ma sentivo ancora dentro di me una rabbia residua che non avevo smaltito. Dovevo quindi continuare a correre. Non c'erano alternative.
Improvvisamente, una gocciolina d'acqua mi bagnò una guancia, e scivolò giù, fino a rigarmi tutto il volto in una carezza gelida. Per un momento pensai che si trattasse di una mia lacrima, così mi stropicciai un occhio con la mano. Ma non stavo piangendo.
Non ero io a piangere.
Alzai lo sguardo verso il cielo nero, e mi accorsi che delle grosse e minacciose nuvole grigie si stavano raccogliendo sulla città di Roma. Da un momento all'altro, sicuramente, sarebbe sopraggiunto un diluvio come quello di ieri sera. Odiavo questo tempo atmosferico. Quando sarebbe penetrato un raggio di sole, dalla fessura di un muro di tristezza? Quanto avrei dovuto aspettare ancora? Avevo il viso rivolto verso l'alto, quando un'infinità di gocce mi colpì, una dopo l'altra. Le gocce si fecero sempre più fitte e veloci, diventando le entità microscopiche di una pioggia torrenziale. La pioggia si trasformò in un acquazzone, eppure io rimasi lì, sotto l'acqua, come impietrita. Solo quando fui zuppa fradicia, e iniziai a tremare come una foglia d'autunno, mi rifugiai sotto un portone, affinché riprendessi fiato. Il mio petto si alzava e abbassava velocemente, cercando avidamente di recuperare quanto più ossigeno possibile. Ero bagnata dalla testa ai piedi, e non sapevo più cosa inventarmi per tornare a casa di Arianna. Mi si affacciarono nella mente tutti i momenti passati con Mirko. Per me non era più soltanto un idolo, era anche un amico, forse qualcosa di più. Forse già lo era, io stessa l'avevo confessato davanti a centinaia di persone. Non mi ero ancora resa conto di quanto fossimo diventati intimi, e la cosa mi piaceva da impazzire. Mi piaceva da morire. Non mi ero nemmeno resa conto di quante cose erano successe in soli due giorni. Questi due giorni erano diventati significativi, ma ancora di più lo sarebbero stati i seguenti, che avrebbero per sempre cambiato la mia vita. Allora non potevo ancora saperlo, ma sarei diventata una persona più forte, più sicura e decisa, dopo quella vacanza a Roma. Ma non potevo immaginarlo in quel momento, e il sesto senso non era mai stato un mio punto forte.  Ripensando a tutto ciò che era accaduto, mi spuntò un sorriso sulle labbra. Uno di quei sorrisi che ti scaldano il cuore, sebbene fuori stia gelando dal freddo. Ma non appena mi comparve nella mente l'immagine di Davide, quel sorriso svanì, portato via dal vento che stava spirando, come una danza dell'aria. Cosa avrei dovuto fare con lui? Davvero era un problema? In fondo, io sapevo perfettamente che non sarebbe mai potuta funzionare tra me e Mirko. D'altronde, sapevo che la distanza nessuno l'avrebbe mai potuta sconfiggere. La distanza c'era, esisteva, ed era invincibile. Eppure, un'infinitesimale parte del mio motore al centro del petto credeva che si potesse andare oltre quella distanza che tanto uccide. Ma sarebbe stato difficile, molto difficile, ed io non mi sentivo pronta per affrontare una battaglia persa in partenza. Partenza. Cosa sarebbe successo quando sarei partita, lasciando lì tutto ciò che avevo costruito e che stavo costruendo? Mirko si sarebbe dimenticato di me, sarei diventata solo un'ombra offuscata del suo glorioso passato. E lui cosa sarebbe diventato per me? Un altro ricordo sbiadito? Credevo davvero che fosse possibile? Certe persone ti entrano dentro, e non ti abbandonano più. Saranno per sempre nella tua anima come presenze cancerogene, tossiche per il tuo futuro. Come si fa ad andare avanti, se si è ancora legati al passato?
Basta, non poteva funzionare. Basta. E per quanto riguardava Davide, era soltanto una persona a mio favore. Un ragazzo che mi stava allontanando da Mirko, come volevo io. Come volevo io. Mi avrebbe separata da lui lentamente, senza che me fossi accorta, senza che avrei sofferto. Era tutto a mio vantaggio, non sarei dovuta essere lì a lamentarmi. Sarei dovuta essere a casa in quel momento, sotto le mie coperte calde. Sarei potuta essere ovunque. A Milano, a Dubai, a New York, davanti ad un camino, in un letto, davanti alla televisione. Sarei potuta essere dappertutto, ma non lì, sotto un portone, aspettando che spiovesse, aspettando che i miei problemi terminassero. Avrei già dovuto iniziare a correre da un pezzo, per essere a casa, per essere da Mirko. L'amore è più forte di tutto, anche della distanza. Allora mi convinsi: nonostante tutto, dovevo andare avanti e non mollare mai. Dovevo lottare per Mirko, perché per le cose più belle devi lottare per ottenerle e, anche dopo che le hai ottenute, devi lottare per tenertele. Davide, la pioggia, la distanza e chiunque altro sia, non potevano rovinare tutto quello che avevamo costruito io e Mirko e tutto ciò che avremmo costruito. Non potevano. E se dopo avrei sofferto, lo avrei accettato, perché ora io volevo lui. Lui e nessun altro. Me ne sarei fregata delle critiche, dei problemi, di Davide, della distanza, delle vite troppo diverse, delle conseguenze, dei se e dei ma. Me ne sarei altamente fregata di tutto e di tutti. Avrei pensato solo a me, per una volta, e a ciò che volevo io nell'esatto istante in cui lo volevo. E ciò che io volevo era lui. Potevo accettare e sopportare in silenzio la sofferenza, l'angoscia, il dolore di averci provato e di aver fallito. Ma non avrei mai potuto reggere l'enorme peso del rimpianto di non aver nemmeno osato. Quello no.
Nel frattempo, smise di piovere e mi affrettai per arrivare a casa di Arianna. Quando giunsi, lei era già a letto, ma si svegliò quando anch'io mi infilai sotto le coperte, accanto a lei.

« Mi hai lasciata là... »

Disse sotto voce. Non riuscivo a capire se fosse arrabbiata con me, o meno.

« Lo so. Scusa. Ero troppo infuriata »

Mentre parlavamo, entrambe fissavamo il soffitto, avvolte dal buio pesto.

« Si, l'avevo capito e, comunque, mi sono accorta di te e Mirko, intendo mano nella mano »

« Ah... »

Sospirai.

« Domani sistemerete tutto. Te lo prometto »

Sentii la sua mano che stringeva forte la mia, e per un secondo mi sovvenne l'immagine della mano di Mirko, delle sue dita incrociate alle mie.

« Ti voglio bene »

« Anch'io »

Ci lasciammo le mani, e mi girai sul fianco. Chiusi gli occhi lentamente, quasi assaporando il silenzio che era calato nella stanza e sprofondando nel sonno e nella tranquillità del momento.
Lottare. Avevo deciso di lottare per lui. Ma ero davvero pronta a soffrire?

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora