Capitolo 35 Eri perfetto per restare

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Narra Jessica

[ per la lettura di questo capitolo consiglierei di ascoltare in sottofondo le canzoni citate nel seguente ordine: Turning Tables, Someone like you e Skyfall di Adele. In seguito: Faded di Alan Walker, Warrior di Demi Lovato, Cigno nero di Fedez e, infine, Carillon di Mr Rain ]

Era una notte terribile, una notte di quelle che puoi comprendere solo se almeno una volta nella vita ti hanno spezzato il cuore. Una di quelle notti in cui sei nel letto, ma non riesci a dormire, sei nel mondo, ma non riesci a vivere. Una di quelle notti in cui ti senti mancare il respiro, e il cuore battere all'impazzata. Una di quelle notti in cui senti mancare tutto, ma sai che, in fondo, invece, ti basterebbe solo lui al tuo fianco. Una di quelle notti che ti gelano il sangue. Una di quelle notti che ti entrano dentro per sempre, e ti cambiano l'esistenza.
Io odiavo la notte, perché implicava il buio, e il buio risvegliava il mio peggior ricordo, il dannatissimo ricordo di quella notte di tanti anni fa. Avevo paura del buio, e avevo anche paura della notte, a volte troppo silenziosa, altre volte troppo rumorosa. La notte è un inconcepibile controsenso, e io detestavo le cose confuse. La notte può essere l'amore, ma può anche essere l'odio cieco. Può essere il mistero, tuttavia può anche essere la chiarezza. Può essere l'ispirazione, ma anche la paralisi, la paura. La notte non l'ho mai compresa a fondo, non l'ho mai avuta sotto controllo completamente. La notte può essere l'amore di due amanti, poiché è l'emblema stesso del romanticismo. Ma la notte può essere anche l'odio inarrestabile, inspiegabile. Quanti omicidi sono stati architettai al buio, avvolti e celati dalle tenebre della notte? Può essere il mistero, perché l'oscurità nasconde ciò che ci circonda, privandoci del senso dell'orientamento e dell'umana pace interiore. Siamo sempre agitati noi esseri umani, quando non vediamo ciò che ci sta attorno e non comprendiamo dove stiamo andando. Non ci piace avanzare a tentoni nel buio, esattamente come nella vita. Pretendiamo di essere sicuri di non aver intrapreso un cammino sbagliato, di non aver fatto passi falsi. Eppure impariamo proprio, e solo, dagli sbagli. La notte può essere anche la chiarezza, la chiarezza che il nostro innamorato sarà con noi per tutta la vita, dopo avercelo manifestato facendo l'amore tutta la notte, l'amore vero, quello intenso, quello che dura per l'eternità, quello che, quando si fa, sembra di essere una sola entità fusa.
La notte non si può spiegare, e stasera la odiavo un po' più del solito, perché avrei voluto lui accanto a me, ma non lo potevo avere.
Io odiavo la notte perché è complicata, eppure ho sempre avuto un'attrazione fatale per le cose complicate. Potrebbe sembrare anche questo un controsenso e, invece, un individuo avveduto può capire che non lo è. Avevo una mania sfrontata per la supervisione, ormai lo ammettevo, ma solo a me stessa. E solo al buio, quasi mi vergognassi di dirlo davanti al sole, simbolo della verità.
Ed è proprio a causa di questa folle mania che inseguivo tutto ciò che era estremamente difficile e problematico, perché volevo, nel profondo del mio cuore, risolvere ogni enigma, ogni situazione che non era perfettamente in ordine, come avrebbe dovuto, dimenticandomi di me e di quanto questo mi ferisse.
Ero incomprensibilmente attratta dalle persone complicate, più che dalla forza di gravità. Ero comprensibilmente attratta da Mirko, più che dal controllo.
Ma, forse, si trattava solo di una fase della mia vita, in cui mi ribellavo al sistema che da sempre avevo cercato di portare avanti: fa sì che sia sempre tutto perfetto, abbi sempre tutto sotto il tuo controllo. Mi stavo ribellando, contro la mia volontà, o forse no, a chiunque, persino al mio fortissimo Super Io, il quale mi ammoniva incessantemente, e mi imponeva di avere sempre in pugno la situazione.
Non so dire con precisione quando questa fase della mia vita abbia avuto inizio, forse da quando lui era entrato a far parte della mia vita, il ragazzo più problematico e bipolare dell'intero universo.
Non ritenevo mentalmente sana una persona che un secondo prima ti baciava con trasporto, e quello dopo ti urlava contro. Oltre ad essere un disastro, era anche un fenomenale bugiardo. D'altronde cosa potevo mai aspettarmi da un attore come lui? Un amore sincero, un amore come quello di cui parlano i libri?
Cazzate, tutte grandissime cazzate. Iniziai a detestare i libri anche più del buio. In quel momento tutto il mio odio si era cristallizzato nei confronti dell'amore principesco di cui parlavano quei fottuti libri, che avevo letto. Era colpa loro e delle mie infinite letture se ora credevo nel vero e inesistente amore.
Un secondo prima mi sentivo stanca, indifesa, vulnerabile, e quello dopo, invece, mi sentivo talmente furiosa da voler rompere tutto ciò che mi circondava, senza risparmiare assolutamente niente. Pensai che se avessi rotto in mille pezzettini qualcosa mi sarei sentita meglio, ma ugualmente non l'avrei mai potuto constatare. Non potevo far rumore, o i miei nonni si sarebbero svegliati. Inoltre non potevo assolutamente accanirmi contro gli oggetti presenti in quella casa, che sentivo affogarmi, perché non mi appartenevano. La rabbia mi cresceva a dismisura nel petto e si diffondeva inarrestabilmente in tutto il mio corpo. Mi sentivo piena di energia distruttiva, un'energia che però non potevo espellere, o a cui potevo dare libero sfogo. Nella mia testa martellava il desiderio irrefrenabile di frantumare, rompere, bruciare, incendiare, distruggere qualcosa, qualsiasi cosa, perché frantumare gli oggetti circostanti rendeva me meno distrutta.
Perfino auto distruggermi, poi, mi rendeva meno a pezzi.
Sapevo che era sbagliato e che me ne sarei pentita l'esatto minuto seguente, ma io me la presi ugualmente con me stessa. Come al solito. Come sempre. Strinsi i pugni così forte da conficcarmi le unghie nei palmi e gemere silenziosamente. La pelle dei palmi, in cui le unghie esercitavano la pressione, iniziò a bruciarmi e a farmi terribilmente male. La mia testa mi pregava di smetterla, mi ammoniva, mi ripeteva incessantemente che era sbagliato farmi del male per colpa sua, ma io mi sentivo meglio a provare quel dolore fisico, perché metteva a tacere quello del mio fragile cuore. Inoltre, il dolore fisico sarebbe passato, quello del mio cuore no. In quel frangente, i miei occhi cedettero miseramente e mi tradirono, facendo sgorgare lacrime roventi e immensamente dolorose. Trattenni quanti più singhiozzi potei, e cercai di non pensare a quanto mi bruciassero la gola e il naso. Strinsi gli occhi in due sottile fessure, nel tentativo di arrestare i fiumi di lacrime, eppure non ci riuscii. Aprii le mani e, appena le unghie si staccarono dalla cute lacerata, un singhiozzo misto ad un respiro di sollievo riecheggiò nella stanza, facendo vibrare di odio le pareti e i vetri. Immediatamente, mi tappai la bocca con le mani pulsanti a causa del dolore, mentre il mio viso ancora andava in fiamme.
Anche le lacrime sono un incomprensibile controsenso: sono fatte di acqua, ma sanno farti andare a fuoco le guance come nemmeno il fuoco è in grado di fare.
Mi sollevai sui gomiti, e mi passai una mano tra i capelli. Dovevo smetterla di comportarmi da stupida, ancora da stupida. Mi vergognavo persino di mostrare a me stessa quanto diavolo fossi debole in quel momento.
Quella notte non l'avrei mai dimenticata.
O, forse, dovrei dire anche questa notte non l'avrei mai più dimenticata.
Ero stata così infinitamente idiota a ritenere Mirko il ragazzo giusto. Io non pretendevo il ragazzo perfetto, io desideravo solo il ragazzo giusto per me, che rendesse il mio mondo quasi perfetto.
Ormai offendevo me stessa da ore, inculcandomi l'idea di essere stata una completa imbecille, ed io odiavo apparire stupida, perché significava non avere tutto sotto controllo. Ma io avevo davvero il coltello dalla parte del manico, in quel periodo? No. Ma non volevo che gli altri lo sapessero. Sarebbe stata una catastrofe, io dovevo necessariamente avere il completo controllo su di me e sulle mie emozioni. Almeno quello.
Mirko mi nascondeva qualcosa, e sicuramente non si trattava della merenda o di un giocattolo. Si trattava di qualcosa di immensamente più grosso. Qualcosa che avevo una tremenda paura di scoprire, ma che dovevo venire a sapere. In caso contrario, non avrei avuto in pugno il fantomatico e tanto odioso coltello e, per di più, preferivo senza ombra di dubbio una tremenda verità ad una bellissima illusione.
E si sa: chi pretende di sapere la verità ha sempre una forza immensa dentro di sé.
Ed io quella forza ce l'avevo. Lo sapevo. La dovevo solo ritrovare. Avevo passato di peggio.
Probabilmente, mi avrebbe ferita di meno se mi avesse rivelato l'agghiacciante verità, piuttosto che se me l'avesse tenuta nascosta per tanto tempo.
La mia vocina interiore mi ripeté ancora una volta quanto diamine fossi stata ingenua, nel credere di conoscere Mirko nei minimi dettagli, solo attraverso le interviste e quei pochi giorni trascorsi insieme. Non ribattei a quell'ennesimo insulto, non dissi assolutamente niente al mio subconscio. Non avevo da battere ciglio, aveva pienamente ragione. Per una volta, forse la prima, tacqui davanti ad un affronto. Ma questa volta si trattava di un'ingiuria sensata e più che meritata. Avevo sbagliato miseramente, e ora avrei dovuto patire i miei errori. Solo così avrei imparato in futuro a non gettarmi a capofitto nelle situazioni, anche se quelle situazioni comprendevano un bellissimo e sexy attore, che desideravo più dell'ossigeno.
Devi viverle sulla tua pelle certe esperienze, certi dolori, per imparare la lezione e apprezzare la vita in ogni sua sfaccettatura. Devi vivere ogni situazione in prima persona, per poter capire veramente come ci si sente. E, a volte, nemmeno questo basta.
Mi rigirai nel letto, incapace di prendere sonno e di evadere dall'imprevedibile realtà. Rivolsi uno sguardo al di fuori della finestra, e vidi tante, tantissime piccole stelle nel cielo scuro. Le mie labbra si incresparono in un tenero ma triste sorriso. Mi chiesi come sarebbe stato bello se avessi potuto condividere quel momento con qualcuno. Possibilmente, ma impossibilmente, con Mirko, coccolata dalle sue carezze, dalle sue mani dolci tra i miei capelli e dalla sua voce terapeutica. Il suo profumo ancora mi sferzava le narici, come se delle particelle della sua fragranza preferita mi fossero rimaste intrappolate esattamente sopra il labbro superiore. Lo sentivo ancora vicino, ma allo stesso tempo lo avvertivo così lontano. Pregai che fosse tutto un incubo, tutto un sogno, pregai di addormentarmi e di svegliarmi nel mio letto a Milano, precisamente il giorno prima di partire per Roma. Chiesi umilmente, pregai, supplicai Dio di farmi addormentare e poi svegliare nella mia stanza, cosicché tutto questo fosse stato solo un terribile e lunghissimo sogno. E ci provai. Cristo, se ci provai. Chiusi gli occhi, sperando che tutto ciò si avverasse, che tutto ciò svanisse per sempre o, che almeno, svanissi io. Mi sentivo sbiadita, invisibile, morta.
Dopo qualche secondo, riaprii gli occhi.
Niente.
Ero ancora lì. Ero ancora viva, ma non per davvero.
Per la prima volta nella mia vita me la presi perfino con Dio e con tutti i santi, ingiuriandoli pesantemente nella mia mente e imprecando contro di loro. Poi, mi resi conto di star urlando silenziosamente contro qualcuno che non esisteva. Dio, non esisteva, ma io necessitavo di sfogarmi con qualcuno.
Mirko mi aveva ferita senza pietà, inutile negarlo. Mi aveva fatto fare la figura dell'ingenua, di quella che credeva nel vero amore, nel principe azzurro, nel castello magico, nel colpo di fulmine. Sciocchezze. Le mie illusioni erano tutte sciocchezze. E pensare che io avevo ritenuto Mirko capace di trasformarle in realtà, nella mia realtà, nella nostra realtà.
Chissà se tra tutte quelle cose belle che mi aveva detto, almeno una ne era vera. Chissà se tra tutte quelle carezze, qualcuna davvero gli era piaciuta da morire. Chissà se tra tutti quegli sguardi, qualcuno l'aveva penetrato nel profondo del cuore. Chissà se aveva mai parlato di me con qualcuno, dicendo ai suoi amici che si era innamorato di me come un bambino, un folle, come un vero uomo. Chissà se davvero ci teneva a me come mi ripeteva sempre.
Chissà se davvero c'era stato qualcosa tra di noi.
Noi... noi... tra me e lui, un "noi" non esisteva più, e chissà se era mai esistito.
Lui mi sembrava perfetto, l'unico ragazzo perfetto per restare.
L'unico ragazzo perfetto per restare nella mia cazzo di vita! L'unico, ed io l'avevo perso come si fa con le monetine.
L'unico ragazzo con cui avrei voluto una relazione a termine infinito. L'unico ragazzo, cristo, l'unico che davvero avessi mai amato.
Ora non potevo far altro se non andarmene silenziosamente, come fanno le vere Donne, senza permettergli di umiliarmi ancora. In fondo, ero la Jessica di sempre. Solo un po' più rotta.
Lui mi aveva abbandonata a me stessa, con il mio cuore infranto in mille pezzettini, non più compatibili fra loro.
Arianna mi aveva aiutato tantissimo in quei due giorni, l'aveva allontanato dalla mia vita per me, perché temevo che il suo sorriso avesse potuto fregarmi ancora, così come le sue mani e i suoi baci, la sua voce, il suo profumo e le sue carezze.
Ah, la sua voce melodiosa... Ancora mi riecheggiava nelle orecchie, alleviando l'urlo accecante del mio cuore. Ancora avvertivo le sue mani tra i miei capelli, accarezzandomi teneramente come nessuno aveva mai fatto prima di allora. Ancora percepivo il suo calore corporeo, quando le nostre curve erano allineate alla perfezione. Ancora lo sentivo, in qualche modo, vicino a me. Così vicino da potermi pugnalare ancora alle spalle, e, questa volta, a morte.
Non glielo avrei permesso. Non un'altra volta.
Non pretendevo di dimenticarlo in così poco tempo, pretendevo solo che se ne andasse il prima possibile dalla mia vita. Non volevo più vederlo. Nemmeno in televisione. Volevo che tutto ciò che era successo tra di noi, fosse rimasto qui, a Roma, ma sarebbe stato inevitabile che mi fossi portata dietro, nel mio bagaglio emotivo, non solo la lezione, ma anche il dolore. È questo il problema della maestra Esperienza: prima ti sottopone all'esame, e poi ti spiega la lezione. Io odio questa materia con tutta me stessa, sopra ogni cosa. Ma per afferrare a pieno una lezione, c'è bisogno di allenarsi con tanti esercizi, esercitarsi a vivere e ad affrontare il dolore. C'è bisogno di ripetere a casa tante volte, ricordandosi i vecchi errori, abbastanza quanto serve per non commettere più gli stessi sbagli, abbastanza poco per riuscire ad andare avanti. Infine, c'è persino bisogno di rischiare, rischiare ancora una volta, magari facendo lo stesso errore di sempre.
Si può sempre sbagliare meglio, no? Ma si può anche preferire di cambiare argomento, studiandone uno in cui siamo sicuri che risulteremo eccellenti all'esame della perfida professoressa Esperienza. E questa volta io avevo scelto l'argomento chiamato: "stare lontano da colui che ti ha ferita, non può che farti del bene".
Da quella notte, mi sarei ricordata per sempre di non dovermi fidare mai più, mai più per tutta l'eterna eternità, di coloro che dicono subito "ti amo".
Il "ti amo" si deve costruire giorno per giorno e, sopra ogni cosa, lentamente, se si vuole che abbia solide fondamenta. Altrimenti, si fa prima a mettere su un effimero castello di carte, o un banale castello di sabbia, spacciandoli per qualcosa di più duraturo.
Sopraffatta da quei pensieri, mandai al diavolo tutto il mondo. Poi, tirai leggermente più su la coperta, fino a coprire il mio cuore a pezzi.
Ce la potevo fare, ce la dovevo fare, anche se ero completamente a pezzi e all'inferno. Non avevo altra scelta. Dovevo essere la super eroina di me stessa. Dovevo affrontare l'inferno a testa alta, come avrebbe fatto una qualsiasi guerriera. Le fiamme non mi spaventavano, i diavoli non mi spaventavano, le urla delle anime dannate non mi spaventavano. Nulla mi avrebbe spaventata in quell'inferno. Nulla più.
I cocci di me erano sparsi un po' ovunque per Roma e, per quanto li ritenessi ormai mai più compatibili tra loro, l'indomani avrei voluto percorrere tutte le strade della città che avevo vissuto con lui, tutte le strade dei cuori infranti e persi. Se fossi stata fortunata, avrei recuperato ogni pezzo del mio cuore spezzato. E se fossi stata ancora più fortunata, i miei cocci avrebbero potuto ancora unirsi tra di loro.
Certe strade, nonostante le avessi percorse altre mille volte, mi sembrava di averle conosciute solo con lui.
Ma sotto quella luna, avvolta da quella notte che mi stava penetrando nelle ossa, volevo stare da sola con il mio dolore per un tempo che oscillava da 365 giorni a un anno. Chiusi gli occhi pesanti e velati ancora di lacrime, e svuotai la mente per quanto fosse possibile da ogni pensiero. Il mio più grande problema era che pensavo troppo, e chi pensa troppo, inevitabilmente, finisce sempre col soffrire. Se pensi troppo, vedi troppo, ogni dettaglio che gli altri giudicano insignificante. E non è tanto piacevole riuscire a vedere tutto, anche ciò che fa male, ma tanto male.
Ero completamente schiacciata dal dolore, tanto da non riuscire più a respirare.
È la fine pensai.
È la fine.
Dopo poco, collassai nel sonno stremata. Il sonno è da sempre il metodo migliore, per sfuggire al dolore.

Vedo un vaso di cristallo contenente un ricco e profumato mazzo di rose color albicocca pallido. Sembrano il ritratto della natura. Solo al centro, scorgo una bellissima rosa rossa, diversa dalle altre, e per questa ragione più attraente. All'improvviso, mentre contemplo quei fiori meravigliosi, intercetto una mano avvicinarsi al prezioso vaso, alle indifese rose. Per quanto mi sforzi, non riesco a vedere il corpo dell'individuo malvagio, il suo volto, e nemmeno a capire a chi appartenga questa mano famelica e pretenziosa, avara e cattiva. Prego dentro di me, con ogni mia forza, che non colga nessuna rosa. Non strapparla, urlo. Ma dalla mia gola non esce alcun suono. Inesorabilmente, quella mano si avvicina sempre di più, e con lei, cresce dentro di me la paura. Con un dito, sfiora i petali pregiati della rosa rossa, e d'improvviso le rose prendono fuoco. Si incendiano, ardono, avvampano in un piccolo e distruttivo incendio. Urlo e trasalisco, vittima dello spavento. La mano sconosciuta e cattiva, si ritrae immediatamente, mentre un rumore sordo e insopportabile, proveniente dal mio petto, riecheggia nello spazio oscuro circostante. Mi accascio a terra sotto il macigno del dolore, con una mano premuta con forza sul petto. Mi si mozza il respiro in gola, mi paralizzo, sbarro gli occhi. Solo le fiamme che bruciano le rose, mi illuminano il volto sofferente. Mi sento inerme e indifesa, distrutta. Morente. Allontano la mano dal petto, ed emetto un grido lancinante. Nella mia mano c'è il mio cuore, nero e avvolto da rami con spine appuntite, che scavano profonde crepe sulle sue pareti. I rami iniziano a crescere inarrestabilmente, avvolgendo con le loro grinfie anche le mie braccia e poi tutto il corpo, graffiandomi a fondo e lacerando la mia pelle già dolorante. Vedo il mio sangue sgorgare da un taglio profondo sull'avambraccio, e gocciolare sul pavimento, impregnandolo. Il forte odore di ferro mi brucia nelle narici, ed inizio a tremare vistosamente. Ho solo il tempo di urlare un'ultima volta, prima che le spine ricoprano anche le mie labbra.

Mi divincolavo sotto le coperte come una forsennata, come se fossi stata appena fatta preda del diavolo. Scrollavo il capo incessantemente, cercando invano di far sparire quell'incubo. Il mio respiro era accelerato, e il battito cardiaco aumentava vertiginosamente nel mio petto. Ero conscia di essere nel mio letto, ero consapevole che fosse solo un sogno, tuttavia non riuscivo in alcun modo ad aprire gli occhi, quasi fossi intrappolata in una dimensione parallela, tra sogno e realtà. Emisi un grido disperato, ma, fortunatamente, i miei nonni non lo udirono. Ad un certo punto, sentii mancarmi l'aria e il mio corpo farsi pesante, come un macigno. Di scatto, mi alzai a sedere sul letto e miracolosamente aprii gli occhi.
Tuttavia non vidi nulla.
Le mie pupille incontrarono il buio, l'oscurità più impenetrabile, le tenebre più imperscrutabili. I miei occhi erano ancora sgranati disumanamente, e cercavo di aprirli ancora di più, come se temessi di avere ancora le palpebre abbassate. Mi voltai a guardare la luna e, solo quando la vidi, mi accorsi che la sua flebile luce argentata fendeva quell'immenso buio. Tirai un sospiro di sollievo, e il mio cuore riprese pian piano a battere normalmente. Ero nella mia camera, e nessuna rosa ardente si trovava lì con me.
Non capii il significato di quell'incubo, piuttosto mi preoccupai di riaddormentarmi, ma fu impossibile, perché, ben presto, fuori iniziarono a grondare fiumi di pioggia, che battevano violentemente sul vetro della finestra, provocando un rumoroso scrosciare d'acqua. E, poi, quel diluvio si trasformò nell'ennesimo temporale che mi avrebbe segnata a vita.
Pensai che ogni notte terrificante della mia vita, fosse stata e sarebbe stata segnata da un indimenticabile temporale.
Nascosi la testa sotto il cuscino, cercando di soffocare quel rumore, tutti i miei pensieri, e il mio dolore. Ovviamente, invano.
Il problema del dolore è esattamente questo: esige di essere sentito.*
Non puoi fingere che non ci sia, perché ti prende per mano e ti accompagna nella selva oscura dantesca. Ti obbliga ad esplorarla con lui, ti obbliga a piangere e ad infuriarti. Ti obbliga ad urlare e a ferirti, a commiserarti e ad odiarti. Ti rende un'altra persona il dolore, ti cambia nell'anima, riscrive il tuo DNA, senza chiederti il permesso. Poi, ad un certo punto, ti abbandona e scompare nell'oscurità, e, a quel punto, tocca a te ritrovare la strada per tornare a casa. Da sola.
Chissà se anch'io avrei ritrovato la mia strada.
Chissà se l'avrei mai più incontrato sulla mia strada.
Immaginai di no, e se mai avessero scritto un libro sulla nostra storia, quella notte sarebbe dovuta essere davvero l'ultimo capitolo, e questa l'ultima frase.
E questa, ancora, sarebbe dovuta essere davvero la fine.

*citazione di John Green, tratta dal libro "Colpa delle stelle"

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