Capitolo 8 Uno strano rumore

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Continuai a gattonare con Arianna al mio fianco, sperando in un miracolo divino e, quando ormai ci mancavano appena pochi passi alla salvezza, la porta degli spogliatoi, tirai un profondo sospiro di sollievo.

« Jessica, Ari, ma che diamine state facendo? »

D'improvviso, sentii in lontananza la voce di Mirko urlare e sghignazzare, così rimasi pietrificata e imprecai tra i denti.  Dolce Gesù, mai che me ne andasse bene una. La fortuna aveva appena deciso di lasciarmi e andare in vacanza chissà dove a sorseggiare cocktail, e a prendersi gioco di me.

« E adesso che si fa? »

Mi voltai verso Arianna, che aveva posto la domanda, e le lessi in faccia una chiara espressione di scetticismo. Vacillai. Dovevo pensare a un piano B e anche in fretta, eppure il mio cervello era in completo black-out. Cercai di sforzarmi, di ricordarmi le vie di fuga degli agenti professionisti che avevo visto in televisione, ma nessun neurone decideva di collaborare. Andai in iper ventilazione e adottai la soluzione peggiore tra tutte: scappare a gambe levate come una sciocca.

« Ehm... io devo andare... Ciao! »

Gridai ed evitando accuratamente di girarmi verso Mirko, corsi via, rifugiandomi nei sacrosantissimi camerini.
Intanto, Mirko e il suo amico approcciarono Arianna.

« Tua cugina è strana forte »

Mirko attaccò, ridacchiando, e Arianna alzò le spalle e un sopracciglio come per dire: "la sopporto già da tempo, non c'è bisogno che tu me lo dica".

« Ma quella matta fa sempre così? »

Questa volta, fu l'amico di Mirko a esordire con affare troppo sarcastico e offensivo per i miei gusti, tanto che mia cugina aggrottò la fronte con aria scettica e Mirko, dal suo canto, gli assestò una gomitata sotto le costole, mentre gli sussurrava flebilmente di smetterla.

« A proposito, Mirko, com'è andato il provino? »

Gli chiese Arianna per darmi ancora un po' di tempo, affinché mi rendessi presentabile.
Dio, benedica quella ragazza! È un angelo sceso dal cielo a posta per vigilare sulla mia discutibile condotta.

« Il solito via vai di persone e la tipica e unica frase di commiato: "Grazie, ti faremo sapere", il che significa che è andata bene »

Dopo essermi data una rinfrescata e una veloce spazzolata, sgusciai fuori dagli spogliatoi, ormai gremiti di gente, perché il corso dell'istruttore stacanovista era giunto a termine. Mentre camminavo verso la comitiva, scrutai con sottigliezza l'amico di Mirko. Aveva un'aria familiare con quel ciuffo biondo e quegli occhi furbi, che ricordavano due zaffiri, ma non avevo idea di dove avrei potuto vederlo prima. Probabilmente, l'avevo notato in qualche fotografia postata da Mirko su Instagram o sulla piattaforma virtuale di Facebook, era l'unica opzione fattibile. Distolsi la mia attenzione da quel tipo, e questa volò delicatamente in alto, fino ad atterrare su Mirko, l'unico con cui avrei voluto passare tutte le notti della mia vita. Non rappresentava la mia unica missione nella vita, bensì la fonte che mi aveva dato la forza necessaria per compiere ogni missione. Non rappresentava il mio immaginario oggetto del desiderio, ma era la proiezione reale più vicina che ci si potesse mai avvicinare. Non rappresentava la mia vita, eppure mi sarebbe piaciuto trascorrerla con lui. Il pensiero che lui potesse essere ben lungi dal modello che la mia mente aveva partorito della sua persona persisteva nella mia mente, lacerandomi, ma il mio cuore continuava a fare le capriole quando lo pensava, quando lo vedeva e quando lui vedeva me, perché, finalmente, io esistevo anche per lui. La mia vita si era ribaltata da un "forse, un giorno" a, finalmente, "quel fatidico giorno". Ora, era solo nelle mie facoltà di moltiplicare quella giornata in settimane, mesi e anni, sperando che la persona che mi ero immaginata, fosse esattamente come quella che mi era distante pochi passi fisicamente e appena due battiti di ciglia dal cuore. Non avrei dovuto lasciarmi coinvolgere troppo facilmente dalla situazione, eppure si era rivelato estremamente ostico riuscire a gestire un sogno che era diventato realtà, tangibile e concreto, maneggiarlo senza scalfirlo, viverlo senza distruggerlo o lasciarmi distruggere. Per me esisteva solo lui, i suoi magnifici occhi, il suo corpo allettante, e quelle labbra così splendide, che solo a guardarle mi veniva voglia di assaporarle. Perché era così perfetto lui?
Perché, se pensavo a lui, tutti gli altri ragazzi scomparivano? Perché tutti gli altri ragazzi paragonati a lui non erano nulla? Perché abitavamo a 584 chilometri di distanza? Perché io non potevo innamorarmi di lui? E perché lui non poteva innamorarsi di me?
Era tutto così terribilmente ingiusto. Io lo volevo con me, soltanto per me. Volevo che lui fosse mio. Volevo svegliarmi tutti i giorni con lui al mio fianco, con i suoi occhi già vigili che mi guardavano, e quelle labbra che mi sorridevano. Ma tutto ciò era impossibile. "Basta sognare, Jessica, basta". Per la prima volta nella mia vita, ero d'accordo con il mio subconscio. Sospirai abbattuta per cavar fuori il malessere e, poi, mi raddrizzai, sfoderando un sorriso di circostanza, per darmi un tono più sicuro e vivace.

« Eccomi »

Appena li raggiunsi, Mirko mi mostrò uno dei suoi sorrisi disarmanti a trecento watt, costringendomi a chiamare in mio soccorso ogni granello di autocontrollo. L'avevo sognato così a lungo, e ora era finalmente qua.

« Piacere, io sono Davide, e tu dovresti essere la pazza scatenata che poco fa è corsa in bagno, giusto? »

Bello lo era l'amico di Mirko, ma non gli mancava nemmeno l'arroganza. Di scatto mi si curvò un sopracciglio e le mie labbra divennero una linea sottile. L'istinto di tirargli un ceffone mi aveva attraversato i nervi della mano e del braccio, ma, dal momento che avevo imparato negli ultimi giorni a mantenere un po' di buon senso, senza uscirne con figuracce, riuscii a tenerlo a bada.

« No, veramente mi chiamo Jessica. Piacere di conoscerti, Davide »

Mi presentai, sfoggiando un sorriso forzato e cercando di ostentare un tono rilassato e gentile, sebbene i miei occhi lo stessero incenerendo con fulmini e saette.

« Il piacere è tutto mio, lady Jess »

Continuò, mostrando un sorrisetto obliquo e, voltandomi la mano che stava stringendo, le posò sul palmo un bacio leggero. Disgustata dal suo essere gradasso, ritrassi immediatamente il braccio e lo guardai sbigottita, quando mi strizzò persino l'occhio. Lanciai una fugace occhiata d'aiuto a Mirko, che a sua volta stava fulminando con lo sguardo il suo amico, e osservai che i lineamenti del suo volto si erano induriti e i suoi occhi adombrati, divenendo di un color rame intenso che mi fece accapponare la pelle.

« Ragazzi, sono le diciotto. Tra un'ora e mezza inizia un film degno di Oscar al cinema, che ne pensate se andiamo a vederlo tutti insieme? »

Propose Arianna per raffreddare l'atmosfera che era diventata palpabilmente tesa, a causa dei giochetti sporchi di Davide. Lei era veramente un angelo.

« Per me va bene, ma devo prima passare per casa a prendere i soldi »

Ci informò Mirko, e noi ci offrimmo di accompagnarlo a casa.
Risiedeva in un delizioso palazzetto luminoso di quattro piani, e imbiancato di una vernice chiara tanto appariscente, da far quasi male agli occhi. L'androne era costellato di vasi color panna in cui spiccavano dei rigogliosi e profumati tulipani dalle tinte rosse pastello, e le scale apparivano appena lucidate. Mirko salutò un signore sulla quarantina, seduto nella portineria, che ricambiò allegramente il gesto, e ci condusse davanti agli ascensori.

« L'unica pecca sono gli ascensori piccolissimi. Chi viene con me? »

Ci domandò Mirko, superando la soglia dell'ascensore, in cui ero pronta a fiondarmi. Ma Ari mi precedette a velocità allucinante, costringendomi ad andare al secondo giro con quello sfacciato di Davide. D'altra parte, non era nemmeno solo sfacciato, anzi, dire solo sfacciato sarebbe stato pure un complimento. Era egocentrico, viziato, vanitoso, arrogante e un completo stupido con la testa montata e il corpo atletico. Io, invece, non ero per niente una sportiva, anzi i miei muscoli erano ancora doloranti per quelle due ore passate in palestra, per cui non avrei mai fatto cinque piani di scale a piedi.
Preferivo di gran lunga sopportare Davide e le sue chiacchiere sulle migliori marche di gel per capelli per tre minuti, che morire d'infarto davanti alla porta dell'appartamento di Mirko. Dunque, alzai gli occhi al cielo con aria tediosa e premetti il pulsante del quinto piano.
L'ascensore stava salendo con velocità costante, quando, ad un certo punto, sentimmo un rumore assordante.

« Cosa cazzo è stato? »

Domandò Davide con aria preoccupata e la fronte aggrottata, mentre si appoggiava ad una parete. A quanto pare, tutta la sua esibita sicurezza era andata a farsi benedire.

« Ti pare che io possa saperlo? »

Replicai con tono irritato, incrociando le braccia al petto e roteando gli occhi. Poi, mi poggiai anche io con la schiena all'ascensore, finché avvertii il vuoto sotto i piedi e barcollai. Emisi un urlo acuto, quando ebbi la sensazione di crollare e una stretta di timore mi contorse lo stomaco. Davide mi afferrò le spalle e mi tenne premuta contro la parete, mentre l'ascensore precipitava giù. Si trattava solo di un metro, ma a me sembrò un baratro infinito. Quando, finalmente, l'ascensore si ristabilì, il mio respiro era accelerato e la mia frequenza cardiaca impennava, raggiungendo vette vertiginose. Davide mi teneva ancora stretta e puntava i suoi occhi sgranati nei miei atterriti. Percepivo il suo petto alzarsi ed abbassarsi freneticamente, mentre i suoi polmoni cercavano disperatamente dell'ossigeno. Poi, guardandomi fissa, sussurrò.

« L'ascensore si è bloccato »

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora