Capitolo 1 Sotto la pioggia

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Narra Jessica

Non ho mai amato la pioggia. Siamo tutti un po' giù di morale quando piove, forse perché paragoniamo quelle gocce di pioggia a delle lacrime. Tuttavia, mi è sempre piaciuto osservarle attentamente mentre scivolavano lente sui vetri opachi delle finestre di casa e, addirittura, giocare con esse, fingendo di assistere ad una competizione di velocità: sceglievo una goccia e tifavo per lei, affinché arrivasse per prima al traguardo: il gocciolatoio della finestra. Ma unicamente in quel caso mi era piacevole la discesa di acqua dal cielo. Ricordo che un giorno, dopo aver litigato con i miei genitori, scappai di casa singhiozzante e mi rifugiai nel parco giochi più vicino, benché piovesse a dirotto. Il ricordo è piuttosto sbiadito, siccome ero abbastanza piccola, ma rammento che dalla fretta dimenticai di portare l'ombrello con me. Eppure, non tornai indietro, non tornai a casa, bensì continuai imperterrita a correre verso la mia meta. La pioggia non mi spaventava, non mi spaventava l'idea di bagnarmi dalla testa ai piedi e di sembrare un passerotto indifeso e alla ricerca di una calda casa. Io non dovevo aver paura di niente e, ancora oggi, punto a non temere nulla, esattamente come mio fratello. Una volta giunta al parco, mi sedetti sulla mia altalena preferita e iniziai a dondolarmi avanti e indietro, mentre mi guardavo attorno con i miei occhioni verdi. Non c'era anima viva, il parco era desolato e tutto intorno a me aveva acquistato un'atmosfera strana e insolita. Intorno a me aleggiava la più profonda solitudine, ma non avevo paura, come se riuscissi a concentrarmi soltanto sullo scrosciare dell'acqua battente sul terreno, e sul vento leggero che mi accarezzava la pelle bagnata, pizzicandomi. La brezza faceva oscillare anche l'altra altalena vuota al mio fianco, e l'aria fresca frusciava tra le foglie degli alberi. Non mi sentivo sola, mi sentivo libera. Era una sensazione piacevole, sarei potuta rimanere lì per sempre, fermando il tempo e il mondo. I miei singhiozzi, che fino ad un secondo prima si fondevano con il rumore dell'acqua, cessarono di torturarmi, ed io smisi di tremare. Non tremavo per il freddo, non tremavo per la paura di restare sola, tremavo per il pianto che stavo eseguendo, quasi fosse un alibi per permettermi di fuggire di casa. Probabilmente, smisi anche di piangere, ma non lo posso affermare con certezza, perché la pioggia che mi rigava le guance si confuse inesorabilmente con le lacrime, rendendomi impossibile la distinzione. Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe fradice e, d'improvviso, avvertii una presenza dentro la casetta di legno del parco giochi. Mi alzai lentamente dall'altalena e, guardingamente, mi avvicinai alla casetta, senza mai toglierle gli occhi di dosso. Aprii cautamente la porticina e vi trovai dentro un bambino, i cui occhi, una volta entrata nella dimora, saettarono su di me, facendomi sussultare. Suppongo che avesse avuto la mia età, ma non glielo chiesi mai, anzi, quella fu la prima e l'ultima volta che lo vidi. Lo salutai e mi sedetti con lui. Non so perché, ma quel bambino mi rassicurava con i suoi occhi castani e il suo sorriso dolce e protettivo. Non ricordo con precisione quel momento, ma mi sembra quasi che fosse stato esattamente lui a invitarmi ad entrare nella casetta. Diceva che se non fossi entrata mi sarei bagnata ancor di più, e che probabilmente mi sarei beccata una bella polmonite. Beh, non mi sono mai ammalata di polmonite dopo quel giorno. Gli chiesi sotto voce cosa ci facesse lì, da solo, ma lui mi informò che stava semplicemente aspettando la pioggia. Pensavo che nessuno al mondo avrebbe mai aspettato che piovesse, eppure lui mi insegnò che mi sbagliavo. Mi fece notare che al mondo c'è tanta gente che aspetta la pioggia. C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo. C'è chi aspetta la pioggia per ballare sotto di essa. C'è chi aspetta la pioggia per non dover innaffiare il giardino. C'è chi aspetta la pioggia per baciare la persona amata sotto le sue gocce, che trasportano il bacio dappertutto con la loro essenza, rendendolo ancora più sensuale. C'è chi aspetta la pioggia per prepararsi una calda tazza di tè e berla davanti al vetro della finestra di casa, mentre ascolta il riversarsi violento delle gocce sui vetri delle finestre, e osserva attentamente tutta quell'acqua scendere dal cielo infinito, come se in quelle gocce risiedessero le risposte a tutte le domande, le soluzioni a tutti i problemi. C'è chi aspetta la pioggia per meditare in silenzio, solo con lo scrosciare dell'acqua in sottofondo. C'è chi aspetta la pioggia per raggomitolarsi sul divano, avvolto dal calore della coperta e dalla tazza di cioccolata vaporosa, davanti a un bel film. C'è chi aspetta la pioggia per riportare i panni appena lavati dentro casa. C'è chi aspetta la pioggia per fuggire e non tornare mai più, con la scusa di non essersi ricordato di portare l'ombrello. E, infine, mi disse che c'è anche chi se ne frega della pioggia, ed esce di casa, come se non esistesse. Esattamente come aveva fatto la sottoscritta.
Rimasi stupefatta di ciò che disse quel bimbo. Inebetita, paralizzata, e potrei continuare all'infinito. Non mi ero mai resa conto che, in fondo, una piccola parte di tutti noi aspetta la pioggia, anche solo per concedersi l'onore di intristirsi un po'. Troppa felicità fa male, e lo so che può suonare strano, forse addirittura insensato, ma è così. Per vedere bene c'è bisogno della giusta alternanza tra luce ed ombra, perché, se c'è troppa luce, non si riesce a vedere, si resta abbagliati. È inevitabile.
Dopo qualche secondo, mi infusi coraggio e gli chiesi per quale motivo, invece, lui era stato lì, tutto quel tempo da solo, aspettando la pioggia. Non mi rispose, ed io non glielo domandai una seconda volta. Rimanemmo dentro la casetta ancora un altro po', finché non cessò di piovere ed io tornai a casa, senza rivederlo mai più.
Un'altra volta conobbi un ragazzo che amava la pioggia. Credevo che nessuno la potesse amare. Lo ritenevo scientificamente impossibile. Passi l'aspettare la pioggia, ma amarla mi sembrava esagerato. Eppure questo ragazzo stravolse le mie convinzioni e mi rivelò l'esatto contrario. Davanti all'evidenza, non potei far altro che ricredermi: quella persona amava alla follia la pioggia, e me l'aveva dimostrato in un modo plateale e indiscutibile. Quella persona la conobbi a Roma, durante le vacanze natalizie, e posso assicurarvi che ricordo tutto alla perfezione, come se fosse successo ieri. Grazie a lui, compresi l'importanza della pioggia. No, non sto parlando della pioggia in sé, parlo del suo aspetto metaforico: gli ostacoli della vita. La pioggia è l'esempio d'eccellenza delle difficoltà della vita, le quali possono essere superate o, perlomeno, aggirate. Altrimenti perché avrebbero inventato gli ombrelli? La pioggia va sfidata, come vanno sfidate le paure, come vanno sfidati i problemi, come va sfidata quasi ogni cosa in questa vita. Se la pioggia non esistesse, allora non potrebbe nemmeno esistere il sole. Quella grande stella in cielo luminosa non si chiamerebbe sole, se non esistesse il suo opposto: la pioggia. Se piovesse sempre, ininterrottamente, che senso avrebbe pensare al sole? Il sole semplicemente non esisterebbe, e per noi sarebbe impossibile immaginare un tempo atmosferico diverso da quello che conosciamo da sempre: il tempo piovoso. E se invece non esistesse proprio la pioggia? Beh, a quel punto conosceremmo solo il sole. Sarebbe fantastico, non credete? Si potrebbe andare a mare ogni giorno dell'anno, perché le temperature sarebbero sempre altissime. Inoltre, la nostra pelle sarebbe perennemente abbronzata e la vitamina D non calerebbe mai a nessuno. Però, c'è un problema. Se non esistesse la pioggia, non potremmo apprezzare il sole. Ugualmente, se non esistessero i momenti difficili, non potremmo vivere a pieno quelli felici. Ritengo che sia troppo semplice sostenere quanto saremmo felici e spensierati nella vita, se non dovessimo mai affrontare ostacoli o problemi. Se davvero fosse così, vivremmo nell'indifferenza, nell'apatia, nel grigio, nel tempo nuvoloso. Né sole, né pioggia. Niente. A quel punto non vivremmo neanche più, condurremmo soltanto una semplice esistenza vuota e totalmente apatica. L'uomo necessita di ritrovarsi in un vortice inespugnabile di sofferenze dal quale vorrebbe uscire, perché soltanto conoscendo il dolore, potrà apprezzare la gioia e ogni più piccolo momento felice, che una volta gli sarebbe apparso insignificante. Bisogna ritrovarsi di fronte agli ostacoli. Bisogna attraversare la strada impervia del dolore. Bisogna vivere le sofferenze e maturare con esse. Bisogna affrontare le paure. Bisogna conoscere i problemi della vita, sebbene non vogliamo. È dura, è inutile negarlo, ma sono proprio le esperienze per cui bisogna lavorare e gettare il sangue quelle a formare la nostra persona, il nostro carattere, la nostra personalità, quelle che ci fanno maturare, crescere e diventare le persone che siamo destinati a essere. Non sostengo che il dolore non si debba evitare. Anzi, se si tratta di dolore evitabile, abbiamo l'obbligo di scansarlo senza rimpianti. In caso contrario, dobbiamo accettarlo e viverlo, traendo da quell'angoscia un insegnamento. Ma, ricordatevi di non permettere che niente vi segni, perché ogni esperienza, anche quella peggiore, deve lasciare qualcosa in noi. Vivete il dolore, vivete anche nel dolore se è necessario. Imparate a vivere, sebbene stiate attraversando l'inferno. Vi svelo un segreto: probabilmente, è proprio quando si attraversa l'inferno che si vive di più. Vivete, vivete, vivete. Vivete senza lasciarvi niente alle spalle, accogliendo ogni esperienza, senza rimpianti. Vivete fino a consumarvi la pelle, le ossa, l'anima. Gridate, ridete, rischiate il tutto per tutto, sbagliate, sperate, illudetevi, conoscete persone nuove, le persone sono lo spettacolo più bello a cui potrete mai assistere in vita vostra. Amate alla follia, cadete, rialzatevi, ricadete, lottate, tentate, vivete, vivete perché ne vale davvero la pena. Vivete, ma ricordatevi fermamente che vi è un sottile margine di separazione tra il vivere e l'esagerazione, dove si agisce d'impulso, rischiando persino la vita. Quella zona non è vivere, e forse non rappresenta nemmeno la follia. Non ho la minima idea di come definire la zona oltre quel confine, forse è innominabile, ma voi ricordatevi di non superare quel limite, perché, una volta superato, non si può più tornare indietro. Un'ultima cosa, vivete, vivete perché si vive una sola volta e, come dice Woody Allen, qualcuno neppure una.

Oltre la distanza-Cameron Dallas #Wattys2018Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora