<< Dove state portando la mia mamma?>> chiese una bambina dai capelli castani.
<< Nel posto dove è giusto che vada, tranquilla starà bene>> le disse una donna prendendola per mano. La bambina guardò poco convinta gli uomini che stavano ammanettando una donna, che inveiva poco elegantemente.
<< Ma io non vado con lei?>>
<<No piccola, ma credimi è meglio così>> disse la donna, posandole delicatamente la mano sulla spalla. La bambina cominciò a piangere silenziosamente; le lacrime le scivolavano lungo le guance, inumidendole, ma lei non emetteva un suono, come chi per tanto tempo ha pianto di nascosto.
<< No tesoro, non piangere.>> disse la donna prendendola in braccio << Vedi, tua madre ha fatto cose cattive, e sta andando in un posto che l' aiuterà a non farle più. Tu verrai con noi in una casa dove ci sono tanti altri bambini, sono tutti simpatici e farete subito amicizia!>>
La bambina non smise di singhiozzare sommessamente, e la donna la guardò triste, cercando un modo per farla sentire meglio. Povera bambina, così piccola e già così triste. Infilò la mano in tasca e pescò una caramella. La porse alla bambina << Prendila, è buona>>disse, e lei accettò, perché sua madre non le aveva insegnato che non si accettano caramelle dagli sconosciuti.

TUTU-TUTU-TUTU.
La sveglia squillò, ed un candido braccio uscì dalle coperte per spegnerla. Helen rimase ancora un po' a sonnecchiare nel letto, con il braccio che penzolava fuori, poi spostò le coperte e si alzò. Si trascinò fino al bagno, lavò la faccia e si guardò allo specchio. Quel giorno era ancora più pallida del solito.
Helen aveva sedici anni, gli occhi di un azzurro abbacinante, la pelle perlacea con qualche lentiggine sparsa per il naso piccolo e grazioso, le labbra sottili ed un caratteristico velo di malinconia che l'avvolgeva costantemente. Questo era certamente dovuto alla sua infanzia non proprio felice: lei era figlia di un padre sconosciuto e una madre tossico tipendente e spacciatrice, arrestata quando lei aveva avuto solo sei anni. Prima che venisse portata in galera sua madre l'aveva trattata male, ignorata, abbandonata a se stessa; e non per cattiveria, ma solo perché era una delle classiche ragazze rimaste incinta troppo presto, una ragazza senza una famiglia alle spalle e persa nel baratro nero della droga. Era per questo che Helen non l'odiava: sua madre non l'aveva amata perché nessuno le aveva insegnato come si facesse. Certo, magari le botte mentre era fatta poteva risparmiarle, ma Helen verso sua madre non provava né odio né affetto, forse giusto un po' di rimpianto. Se solo le cose sarebbero potute andare diversamente... Le piaceva convincersi che sua madre fosse buona in fondo, che fosse la vittima non la carnefice.
In ogni caso, dopo che sua madre Maria fu arrestata, lei fu portata in casa famiglia. Lì aveva fatto tante amicizie ed era stata trattata bene, ma il calore che ne ricavava non era comparabile a quello che le avrebbe potuto dare una " vera" famiglia. Per di più il suo soggiorno era stato accompagnato da delle particolari visoni, spesso spiacevoli. Qualche volta le capitava di vedere persone, altre volte delle vere e proprio allucinazioni; una volta all'età di sette anni aveva visto i piedi che le si staccavano, un'altra volta una bambina che spostava la borsa di madame Smith, la tutor.
<< Signorina, la sua borsa è nella stanza da letto. Ho visto la bambina portarla lì>>
<< Quale bambina?>> le aveva chiesto, perplessa.
<< Quella che sta lì davanti la porta. Non la vedete?>>
Nessuno rispose.
Comunque tutti avevano liquidato quello che vedeva dicendo che fosse tutto il frutto della sua fantasia, il trauma di aver perso la madre aveva dovuto avere quello strano effetto. E con il passare del tempo se ne era convinta pure lei, ed adesso di quelle visioni restavano solo delle crisi che le prendevano ogni tanto, come degli attacchi di panico.
Si lavò la faccia e i denti, si truccò con cura, mise una felpona nera e dei leggins neri, delle converse nere e legò i capelli nella sua solita lunga treccia laterale. Chiuse il portone, mise le auricolari sparandosi la musica metal nelle orecchie, e si avviò. Quello sarebbe stato il suo primo giorno di scuola, in una vera scuola, si intende.
Prima di allora degli insegnanti privati erano andati a fare lezione direttamente nella casa famiglia, e questo aveva contribuito alla scomparsa della sua vita sociale. Non un amico al di fuori della Casa, nessuna capacità di socializzare. Ma ormai aveva sedici anni ed aveva capito che le cose dovevano cambiare, per questo aveva convinto la signora Smith a cercarle una casa in centro, per frequentare un normale liceo. La sua nuova casa era una catapecchia fatiscente, ma le piaceva. Le piaceva perché stava sola, in tanti anni di solitudine aveva imparato ad apprezzarla, anzi spesso ci trovava conforto. Continuò a camminare per la strada, leggermente nervosa: non sapeva cosa l'aspettava, non era mai stata in una scuola. La sua più grande paura era essere presa di mira, non la spaventavano i professori o le materie da studiare, del resto era stata sempre una ragazza studiosa, ma le facevano paura gli altri, le reazioni che avrebbero potuto avere. Arrivò alla scuola ed entrò nel cancello. Nel cortile stavano tanti ragazzi che chiacchieravano animatamente, divisi in gruppetti; ogni tanto si sentiva qualche risata, qualche urlo, poi la campanella suonò e tutti si avviarono come zombie verso l'ingresso. Non sapeva nemmeno qual'era la sua classe, così chiese aiuto ad un anziano, probabilmente un bidello <<mi scusi>> esclamò << Sono nuova e non so quale sia la mia classe>>
<< Cosa?>> chiese lui, con voce sorda.
"Cominciamo bene"
<< Sono nuova, non so quale sia la mia classe>> ripeté scandendo le parole.
<<Oh si si, sali le scale, la prima porta a destra>>
<< Grazie>> rispose, e si avviò verso la scala indicata.
Salì in fretta i gradini, si tolse le cuffiette dalle orecchie e bussò alla porta, poi entrò senza aspettare risposta. Si sentì lo sguardo di all'incirca venti persone addosso, tutti che la scrutavano dalla testa ai piedi. Arrossí.
<< Salve>> mormorò.
<< Ciao! Benvenuta!>> esordì la professoressa con un sorriso a trentadue denti.
<< Mi chiamo Helen...>> cominciò timidamente lei, ma fu subito interrotta.
<<Va a sederti in quel banco libero, Helen>>
<<Oh okay>> rispose, e si avvicinò frettolosamente al banco. Si sedette, salutò con un lieve " ciao" il ragazzo che aveva accanto e cominciò a guardare fuori dalla finestra.
Riusciva a vedere il parco della scuola, con due altalene, uno scivolo e un palo da palla avvelenata. Era novembre e il cielo plumbeo vigeva sulla città come una cappa soffocante, le nuvole grigie minacciavano di improvvisa pioggia. Il suo cuore cominciò a battere più velocemente..
Mamma...mamma...
Oh no.
La bambina mi sussurra cose.
No, non adesso.
Il respiro si fece più pesante; sapeva cosa stava succedendo. Una delle sue crisi, il primo giorno di scuola, davanti a tutti.
Merda.
Cosa doveva fare? Si alzò di scatto, pallida in viso.
<< Professoressa...>> mormorò, bianca come un cencio e la voce ridotta in un sussurrò. <<ho...ho bisogno di andare al bagno>>
La professoressa alzò un sopracciglio << Alla prima ora?>>
Non rispose, non ne aveva la forza, tutte le energie le servivano per non collassare. Forse la professoressa se ne accorse quindi disse << Vai ma torna presto>>
Helen schizzò via dalla classe.
Tutte le immagini che l'avevano tormentata da bambina le stavano tornando in mente.
Cominciò a tremare senza controllo, corse verso il bagno, si lavò il viso con l'acqua fredda, cercando di calmarsi.
Si appoggiò ad un muro e scivolò sul pavimento, respirando piano.
" okay" si disse " calma Helen, è tutto nella tua testa"
<< Stai bene?>> le chiese una voce.
Si voltò. A parlare era stata una ragazza poggiata ad un angolo, i capelli rossi e corti fino alle spalle, con un'evidente ricrescita castana, la pelle leggermente abbronzata e gli occhi verdi. Helen la guardò, incuriosita: aveva qualcosa di diverso.
<< Si >> rispose << Soffro di attacchi di panico, ma adesso va meglio>> sorrise debolmente.
<<Meglio così >> rispose la ragazza << Io sono Emily, tu sei?>>
<<Helen, piacere. È il primo giorno in questa scuola...>>
<< Capisco, all'inizio è difficile per tutti, ma ti abituerai>>
Helen sorrise, rassicurata. Emily le si sedette accanto.
<< Che ci facevi in bagno alla prima ora?>> le chiese Helen.
La ragazza dai capelli rossi sorrise <<Ero venuta a fumare una sigaretta...>> rispose, ma i suoi occhi si persero nel vuoto e sulle sue labbra si dipinse un sorriso amaro e triste allo stesso tempo. Helen s'incuriosí
<< Sei dell'ultimo anno?>>
<< Già >> rispose la ragazza passandosi una mano tra i capelli. Stettero un po' in silenzio.
<<Beh sarà meglio che vada >> esordì Helen << Prima di beccarmi una nota, il primo giorno di scuola>>
Emily sorrise << Giusto. Allora ci si vede in giro Helen>>
<< Ci si vede Emily>>
E se ne andò con un sorriso sbalordito che andava da un punto all'altro della faccia. Lei, la ragazza che mai aveva avuto amici, la figlia indesiderata di un padre sconosciuto e di una madre drogata; lei, la ragazza che soffriva di terribili attacchi di panico, avrebbe potuto farsi degli amici.
"Wow"

La ragazza di polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora