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<< Credo di farlo anch'io>>
Julio la guardò con gli occhi sgranati
<< Davvero?>> chiese in un sussurro.
Helen si sedette sull'altra altalena << Beh, si..>> disse imbarazzata. Julio la osservò, con le labbra piegate in un dolce sorriso <<Adesso sono felice>> fece, per poi piantare il suo sguardo a terra. Helen non rispose, ma si limitò a sorridere a sua volta, con le guance tinte di un leggero rossore.
Rimasero fermi, senza dire una parola, ad ascoltare quel profondo silenzio che sembrava pieno di parole non dette, di sentimenti nascosti ma percepiti.
Helen si diede una lieve spinta << È per questo che sei triste in questi giorni?>> chiese dondolando lentamente.
<<No, non proprio>>
Helen aspettò che il ragazzo dicesse qualcosa, ma lui non accennava altra risposta.
<< È qualcosa che non mi puoi dire?>> chiese ancora lei.
<< No, te lo dirò, ma non oggi Helen, non voglio rovinare questo momento>>
Lei sorrise << Okay>>
Dopo mezz'ora Julio accompagnò Helen a casa. Prima che lei entrasse dentro si abbracciarono, Helen potè sentire il cuore di lui palpitare.
<< Grazie>> mormorò il ragazzo.
<< E di cosa?>>
<<Di esistere>> affermò lui, poi con un ultimo sorriso se ne andò.
Helen chiuse la porta alle sue spalle, poi corse a gettarsi sul letto.
Soffocò un grido nel cuscino, poi si distese supina e rimase a guardare il tetto. Il cuore le batteva all'impazzata: Julio l'aveva baciata, le aveva detto di amarla. E lei lo ricambiava, forse lo aveva sempre fatto.
Chiuse gli occhi e le ritornarono alla mente tutti i dettagli del viso di lui, il suo sguardo intenso, il suo dolce sorriso. Riassaporò i momenti che aveva appena vissuto; poi a causa delle coperte calde, della stanchezza e dell'emozione si addormentò.
Dormí tranquillamente per qualche minuto, poi però si svegliò di colpo. O meglio, lei era sveglia ma non riusciva ad aprire gli occhi ed alzarsi dal letto. Era immobilizzata, il corpo non rispondeva ai suoi comandi.
" Cosa sta succedendo?!" si chiese terrorizzata. Non poteva gridare, non poteva chiamare aiuto. La sua mente cominciò a vagare e i pensieri più brutti la fecero tremare: e se non fosse riuscita più a muoversi? Chi l'avrebbe salvata? Sarebbe morta di fame e di sofferenze, ne era certa ormai. Sentì dei passi avvicinarsi al letto, ma lei non poteva nemmeno aprire gli occhi per vedere chi fosse. Restò lì, indifesa e  inconsapevole, con i muscoli tesi e pronta a percepire qualsiasi movimento. I passi si avvicinarono a letto, era pesanti, inquietanti, come se fossero di un gigante, ogni colpo si ripercuoteva fatalmente nel cuore di Helen. I passi si fermarono, e lei poté percepire qualcuno in piedi alla sua sinistra, e lei non poteva fare nulla per difendersi. Stava lí, distesa sul letto in attesa di qualunque cosa; improvvisamente sentì un forte dolore al braccio sinistro, qualche centimetro sotto l'ascella, era un dolore sordo, intenso, sempre più acuto e insopportabile e lei non poteva nemmeno gridare.
"FA MALE FA MALE FA MALE!!!"
Ruggí tra sé e sé, ma non poteva fare nulla, non poteva muoversi, doveva solo sopportare qualsiasi cosa stesse succedendo. Il dolore si trasferì al braccio destro, con la stessa ferocia, poi alla coscia destra,  un po' più in basso dell'inguine, e infine alla coscia sinistra. Poi i passi strascicati si allontanarono, ed Helen restò immobile sul letto, dolorante e sconvolta. Cosa diamine stava succedendo? Con il cuore in gola provò a chiamare Emily, ma era così terrorizzata da non riuscire a concentrarsi abbastanza. Voleva piangere, gridare, vedere cosa le fosse successo, ma non poteva, poi sfinita si riaddormentò.
Helen aprì gli occhi di scatto. Era stato un incubo o cosa? Andò per alzarsi ma si accorse subito che qualcosa non andava. Si guardò le gambe e si sentì morire: lei non aveva le gambe, o meglio queste erano staccate dal suo corpo, proprio all'altezza delle cosce dove aveva sentito il dolore, così come le sue braccia. Gridò, invocando aiuto,contorcendosi  e annaspando con i monconi. Stava morendo, si, quella era la morte. Il respiro si fece più pesante, il cuore batteva in modo troppo accelerato, era entrata in iperventilazione e l'unica cosa che riusciva a fare adesso era gridare e agitarsi tra le lenzuola. Guardò orripilata i monconi delle sue coscie, e quando andò per toccarsi e accettarsi che fossero davvero quello che vedeva, si ricordò  di  non avere nemmeno le braccia. I suoi arti stavano ai quattro angoli del letto.
<< Ma com'è possibile?!>> gridò << Come può essere successo!?>>
Com'era possibile che qualcuno  fosse entrato a casa sua per amputarle braccia e gambe? No, era davvero improbabile. Helen si calmò, cercando di riprendere la lucidità. Era sicuramente un'allucinazione: innanzi tutto non c'era traccia di sangue, e i monconi non si cicatrizzato nel giro di qualche minuto, e poi prima di addormentarsi avrebbe sentito il rumore di qualcuno entrare in casa. Si era solo un'allucinazione, e lei come al solito si era fatta prendere dal panico, così chiuse gli occhi e dopo qualche secondo li riaprì. Tirò un sospiro di sollievo: le sue gambe e le sue braccia stavano dove dovevano stare, ovvero attaccate al corpo. Scivolò via dal letto, e con passi tremanti andò in cucina, decisa di bere un bel bicchiere d'acqua. Era stato orribile vedere il suo corpo ridotto in quel modo, ed ancora sentiva in bocca il sapore della paura che aveva provato. Poggiò la testa al muro, mentalmente e fisicamente provata. Avrebbe fatto meglio a cancellare quella scena dalla mente al più presto, così per distrarsi prese il computer e cominciò a vedere qualche anime. Non riusciva a concentrarsi perché si sentiva osservata da tutti i punti della stanza, come se fosse la stanza stessa a prendersi gioco di lei, sorridendo sorniona. Helen rabbrividí, così prese il giubbotto, il cellulare, e le chiavi ed uscì. L'ultima cosa che sentì prima di chiudere la porta fu una breve, raccapricciante, risata.

La ragazza di polvereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora