Si fermò davanti il portone in legno scuro e massiccio di una casa dal prospetto giallo crema e le finestrelle decorate con vasi in terracotta e pieni di rose. Helen salì i pochi gradini che stavano davanti il portone e avvicinò l'orecchio: sentiva il suono di un pianoforte, qualcuno si stava esercitando facendo delle scale, sbagliando pure qualche nota.
Fece il giro della casa e fermò davanti una finestra da dove, attraverso lo spazio delle tende ricamate, riusciva a vedere l'interno.
<< Richard, sono le cinque meno un quarto>> disse una voce femminile.
<< Lo so mamma>> rispose un ragazzino, probabilmente la stessa persona che suonava il piano.
<< Bada, non voglio arrivare in ritardo dalla zia Tessy!>>
<< Mancano ancora tre quarti d'ora!>>
Helen si chinò per non farsi vedere, e rifletté. Da quello che aveva capito entro le cinque e mezza sarebbero andati via, questo voleva dire avere la casa libera; di conseguenza cercare il carillon con calma.
" Beh, non con così tanta calma" pensò " mi resta solo mezz'ora, altrimenti perdo l'autobus "
Si sistemò una ciocca sfuggita dalla treccia dietro l'orecchio, cercando altri modi, ma non le venne in mente nessun'altra soluzione.
<< Speriamo vada tutto bene>> fu l'unica cosa che riuscì a sussurrare, e si mise in attesa.
Puntualmente, alle cinque e mezza il portone si aprì, e una donna uscí con quelli che probabilmente erano il fratello e il padre di Elizabeth, lasciando la casa vuota.
Helen sgattaiolò dietro la casa per non farsi vedere da nessuno, attorcigliò il giubbotto al braccio e con un colpo ruppe il vetro di una finestra. Entrò dentro e si ritrovò nella cucina. Cominciò a vagare per la casa silenziosa e ben arredata, mentre fuori il cielo diventava buio.
<< Devo controllare nelle camere da letto>> disse tra sé e sé, pensando che fosse il luogo più logico dove trovare un carillon.
Prima controllò nel salotto, poi salì le scale e cercò nella camera matrimoniale. Guardò in ogni cassetto, in ogni anta, nell'armadio, ma nulla; passò ad un altra camera con le mura dipinte di azzurro e con dei poster alle pareti, probabilmente la stanza del ragazzo. Anche qui cercò ovunque, esaminando ogni centimetro, ma non trovando nulla passò alla stanza successiva. Aprì la porta e si bloccò di colpo.
Le mura erano di un tenue color panna, le tende alle finestre erano bianche con delle ciliege rosse e dei fiocchettini, il copriletto era dello stesso colore delle pareti e pieno di merlettarure, ed era pieno di bambole e orsacchiotti. La scrivania in legno era ordinata e ben tenuta, con dei libri per bambini ed altri giocattoli. Era la stanza di Elizabeth, la stanza di una bambina morta. Con passi lenti e silenziosi, quasi per segno di rispetto, si avvicinò al letto, lo stesso dove Elizabeth probabilmente era morta. E fu il letto a colpirla maggiormente, perché esercitava uno strano potere che la portava a fissarlo; e quasi le parve di vedere il corpicino morto di Elizabeth giacere su quelle lenzuola.
All'improvviso fu presa da paura, senza un'apparente motivo. Forse tutti quei pensieri sulla morte... Il cuore cominciò a battere in maniera incontrollata, e la voglia di uscire da quella stanza la investì violentemente. Si premette la mano sul naso, non sopportando più quel tremendo odore di morte, aveva già la mano sulla maniglia, pronta a scappare, quando lo vide.
Si, il carillon stava proprio sul letto, tra i cuscini e i peluches. Helen lo prese con mani tremanti, fremendo. Cel'aveva fatta!
Ma prima che potesse festeggiare le ante dell'armadio si aprirono lentamente, scricchiolando; poi si chiusero. Helen restò pietrificata, la gola divenne secca, le gambe molli.
Le ante si riaprirono, si richiusero, poi si aprirono ancora questa volta di botto, per poi richiudersi con altrettanta violenza. Le parve di morire, la paura la bruciava. Panico. Corse via, il cuore in gola. Scese le scale scivolando, si rialzò ansimando, il terrore pervadeva il suo corpo, le venne da piangere, da gridare. Arrivò in cucina per uscire dalla finestra rotta, ma la trovò sana.
Non si chiese perché, voleva solo uscire da quella casa. Provò a romperla, ma nulla da fare. Corse in un'altra stanza, ma le finestre sembravano tutte indistruttibili. Era prigioniera, era bloccata lì. Al pianto di sopra sentì le ante dell'armadio sbattere, poi colpi sul pavimento. Paura. Terrore. Solo questo.
Con disperazione cercò di aprire il portone, non le importava della gente che l'avrebbe vista, voleva solo scappare. Urlò, corse in cucina, sentì battere al piano di sopra. I botti erano regolari, secchi, e si facevano sempre più vicini.
1..2..3..BOOM.
vicino le scale
1..2..3..BOOM.
Stava scendendo.
Helen strinse la testa tra le mani, terrorizzata. Poi aprì di scatto gli occhi.
"Ma cosa sto facendo? Così peggioro solo la situazione. Devo calmarmi" fece un profondo respiro, poi serenamente si avvicinò alla finestra della cucina che, con gioia, trovò rotta.
Uscì velocemente e corse via, con le mani strette al carillon, andò più lontano possibile. Dopo essersi calmata, si fermò. Era stanca, stremata, e senza fiato. Mise il carillon del suo zainetto e guardò l'orologiaio; le prese un colpo al cuore: erano lei sei e mezza.
Andato, aveva perso l'autobus.
<<No>> piagnucolò <<Era l'ultimo>> mise le mani tra i capelli.
<<Scusa, hai bisogno di aiuto?>>
Helen si voltò di scatto, rimanendo a bocca aperta. Era lui, quel magnifico e tenebroso ragazzo dai capelli neri; restò a bocca aperta ancora per un po' pensando solo a quanto fosse profonda da la voce di lui, poi arrossendo di rispose <<No, cioè si... Veramente, ho perso l'autobus per tornare a casa>>
Il ragazzo la studiò un attimo poi disse << Mi dispiace, era l'ultimo?>>
Helen annuì, <<Si, purtroppo>>
<< Non hai nessuno che possa darti un passaggio?>>
<< No.. E non so come fare>>
Il ragazzo rifletté <<Un modo c'è, potresti prendere l'autobus che porta in un paese vicino al tuo, da lì potrai prenderne uno che ti riporti a casa, dovrai pagare due biglietti ma è meglio di restare a piedi>>
Helen lo guardò stranita << Ma scusa, come fai sapere dove devo andare?>>
Il ragazzo sorrise << Ci siamo già visti, ricordi?>>
<< Ah già..>> rispose lei arrossendo.
<< Se vuoi ti accompagno in biglietteria>> si propose il ragazzo.
<<Grazie, M-mi farebbe piacere>> disse Helen con un mezzo sorriso.
Si misero in cammino.
<<Comunque non ci siamo presentati, io sono Chester, tu sei...?>>
<< Helen, piacere di conoscerti>>
<< Piacere tutto mio>> il ragazzo si passò una mano sul ciuffo nero scostandolo dall'occhio <<Come mai sei venuta qui sola?>>
<< Ehm.. Avevo cose da fare>>
<< Capisco..>>
Helen avrebbe tanto voluto evitare di fissarlo, ma era una calamita per lo sguardo: la pelle olivastra, la barba incolta, i capelli di seta neri, quell'atteggiamento oscuro e affascinante. Era così bello che Helen quasi se ne sentiva intimorita.
Arrivarono a destinazione, ed Helen fece il biglietto << Beh, grazie mille per il tuo aiuto>> disse sorridendo.
Il ragazzo guardò le sue gambe sottili, la treccia scombinata, la felpa troppo grande che la faceva sembrare ancora più piccola, le converse sporche. Poi posò i suoi occhi neri come pozzi di petrolio in quelli azzurri e cristallini di lei << È stato un piacere>> disse caldo << mi stai simpatica, davvero, buona fortuna>>
Helen sentì lo stomaco bruciare, aprì e chiuse la bocca più volte a vuoto, poi arrossendo farfugliò << Ciao, ci vediamo>> e corse verso l'autobus, salì in fretta i gradini e si posizionò vicino al finestrino per vederlo. L'autobus cominciò a vibrare, e lei lo salutò. Lui agitò la mano e le sorrise, il sorriso più triste che Helen avesse mai visto in tutta la sua vita, poi scomparve davanti gli occhi di lei, come fumo soffiato via dal vento.
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La ragazza di polvere
ParanormalHelen, sedici anni, un passato tormentato, ed un'inquietante potere che la porterà verso un tragico finale. tratto: Madame Smith la guardò perplessa > chiese. > Nessuno rispose.