Il suono della sveglia non destò Helen quella mattina, perché Helen era già sveglia. Quella mattina non sarebbe andata a scuola, non aveva la forza di vedere il banco vuoto di Julio, o di ascoltare i commenti delle altre persone.
No, doveva solo raccogliere i cocci del suo cuore.
Dopo una mezzoretta passata al buio a fissare il tetto Helen si mise a sedere: anche quella notte aveva avuto il solito incubo.
Con rabbia si accorse di non trovare pace nemmeno con il sonno.
Stropicciò gli occhi arrossati dal pianto con una mano, poi scansò le coperte e si alzò. Strascicò i piedi fino al bagno, poi si posizionò davanti allo specchio e riluttante fissò la sua figura: gli occhi sembravano due pomodori tanto erano gonfi e arrossati dal pianto, le labbra erano secche e livide, le sue guancie incavate, i capelli erano ancora legati nella treccia ormai scombinata del giorno prima. Si chinò per sciacquare il viso, poi andò a gettarsi sul divano: in quel momento l'aspetto fisico era l'ultimo dei suoi problemi. Chiuse gli occhi e sospirò, poi si alzò ed andò ad appollaiarsi sul davanzale della finestra. Lasciò vagare il suo sguardo per le strade, per la gente che camminava frettolosa sotto la pioggia fitta, per le nuvole plumbee che guardavano dall'alto la terra. Chissà cosa stava facendo Julio in quel momento, chissà se la stava pensando.
Aveva bisogno di rivederlo, aveva bisogno di respirare tra le sue felpe, aveva bisogno di stringerlo a se. Ma non poteva, lui era lontano e non si sarebbero mai più rivisti. Si sentiva privata di una parte di se, come se le avessero tolto un braccio, o meglio, il cuore. Per tacito accordo non si erano più scritti, per smettere di soffrire, per fermare l'agonia.
Gettando una triste occhiata attorno, Helen si accorse che ogni singola cosa le portava alla mente ricordi dolorosi: quel soggiorno le accapponava la pelle rievocando in lei il ricordo dei ragni, lo stesso valeva per il bagno e per la sua camera da letto.
In quel periodo le allucinazioni erano più frequenti, e gli incubi all'ordine del giorno.
Le allucinazioni la torturavano, la facevano diventare pazza, e lei non aveva più nemmeno Emily per parlare, non aveva Julio per cercare rifugio.
Era sola contro una forza malvagia e invisibile, e lei non aveva più le forze per respingerla: il suo cuore era troppo ferito.
Malinconica e rassegnata si diresse in cucina.
<< L'unica cosa che ti resta da fare è accettare la situazione>> si disse, mentre riscaldava del latte << Sì, rassegnati e aspetta che il tempo curi le tue ferite.>>
Aveva passato tutta la notte a riflettere ed aveva capito che poteva ancora sopravvivere al dolore, aveva ancora forza per resistere, solo che non doveva essere disturbata da nulla; solo una parola sbagliata, o un fatto strano e avrebbe perso per sempre il suo equilibrio.
Guardò l'orologio: erano già le nove e mezza del mattino.
<< È così tardi? Pensavo che fossero le otto>> mormorò, stringendo tra le mani la tazza calda. Eh già, il tempo sarebbe andato avanti comunque, con o senza di lei. Stava a lei decidere se accasciarsi al suolo schiacciata dal dolore, dimenticandosi di vivere, o cercare di alzarsi sulle sue gambe ferite, aspettando che guarissero da sole. E lei di certo non poteva permettersi di perdere quella battaglia contro la vita: l'idea di isolarsi da tutti e sprofondare nella disperazione non era tanto cattiva, perché almeno non avrebbe dovuto lottare, ma questo non era quello che avrebbero voluto Julio o Emily.
Aveva capito che non doveva piangere per loro, ma sorridere; eppure era così difficile.
Era così difficile non perdersi negli amari ricordi, nei rimpianti, nelle frustrazioni... Come poteva sopravvivere? Dove avrebbe trovato la forza necessaria?
Sospirando andò in bagno, decisa di fare una doccia calda ( la vasca da bagno non l'aveva utilizzata più da quando aveva avuto quelle allucinazioni).
Proprio mentre si spogliava sentì un botto. Indossò di nuovo la felpa e aprì la porta del bagno, diede un'occhiata in giro, ma non vide nulla.
Tornò in bagno, andò per togliersi la felpa ma sentì ancora un botto.
Piú seccata che spaventata, andò a controllare da dove veniva il suono.
Arrivò in cucina e vide la sedia spostata.
La guardò stranita e fece un passo verso l'oggetto, e in quel momento la sedia strisciò in avanti e poi indietro.
Il cuore cominciò a battere più veloce << Ma che cazzo...>>
La sedia fece lo stesso movimento, mentre adesso anche la finestra si apriva per poi richiudersi.
Nel giro di qualche secondo la casa divenne frastuono: sedie, finestre, ante di armadio, che sbattevano contemporaneamente. I lampadari si muovevano mentre la luce andava e veniva, Helen si accucciò per terra premendo le mani sulle orecchie.
<< No, no..>> grugní << Non ne posso più, basta>> strinse la testa tra le mani << Basta, BASTA!>> tuonò. E all'improvviso tutto cessò, lei si alzò lentamente, tremante e con il fiato corto. Non perse tempo a chiedersi cosa fosse successo perché sapeva che dietro quelle cose non c'era alcuna spiegazione logica.
Fece una doccia veloce, si pettinò e si vestì con cura: mise un maglione enorme nero che le arrivava a metà coscia, dei collant spessi e degli anfibi dalla suola gigante.
In questo modo teneva la mente occupata e si sentiva più sicura di se.
Fece un girò e mangiò fuori, al pomeriggio prese un autobus ed andò in una città vicina, solo per vedere persone e luoghi diversi, solo per non essere guardata da chi già la conosceva. Forse trasferirsi in un'altra città non era una cattiva idea, avrebbe dovuto parlarne a madame Smith. Sarebbe stato un po' come cominciare da capo, e questo l'avrebbe aiutata a dimenticare il passato. Non che volesse dimenticare Emily o tantomeno Julio, anzi la cosa che le dava forza era ricordarsi di lui e sapere che anche il ragazzo le aveva promesso di non dimenticarsi di lei ( promessa che, era certa, avrebbe mantenuto) ma voleva dimenticare il dolore delle perdite.
Verso sera tornò a casa, e senza neanche indossare il pigiama si gettò a letto.
Nello stesso momento in cui toccò le lenzuola accadde qualcosa: venne risucchiata dentro. Era la stessa identica cosa che sognava da mesi, solo che adesso era sveglia.
Urlò, mentre cadeva in quell'oblio, agitando gli arti, cercando un appiglio dove aggrapparsi, ma attorno a se sentiva solo ed esclusivamente il vuoto.
Atterrò in una stanza buia, di cui non vedeva nulla. Sentiva solo quelle voci raccapriccianti.
Helen...
Sussurravano
...Helen...
Non riusciva a capire, le sembravano così familiari e allo stesso tempo sconosciute. Helen singhiozzò di paura : sapeva cosa l'aspettava, e temporeggiare non avrebbe cambiato nulla. La cercò con lo sguardo finché non la vide: la porta stava lì, aspettava solo lei.
Si avvicinò con le gambe molli, con il cuore che batteva così forte da farle male, la nuca le bruciava dal terrore. Ogni passi rimbombava dentro di lei, ogni passo era più vicino alla verità.
Cosa c'era dietro la porta?
Helen l'esaminò: era bianca e sporca di sangue, come se qualcuno l'avesse toccata con mani insanguinate.
Deglutí, poi allungò la mano mentre le voci sembravano urlarle dentro le orecchie.
" Fallo" si ripeteva " ora o mai più " così con un colpo secco l'aprí.
Dapprima non capì, poi fece un passo dentro e vide che quella era la sua camera da letto.
<< Ma cosa...>> si arrestò di colpo. Il fiato le mancò, ogni suono sparì dall'universo.
Una donna stava vicino al suo letto.
Helen non sapeva se piangere, gridare, o fare chissà cos'altro. L'unica cosa che riuscì a fare fu articolare le labbra con difficoltà, e sussurrare << M-mamma?!..>>
La donna le sorrise << Si, sono io, Helen>>
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La ragazza di polvere
ParanormalHelen, sedici anni, un passato tormentato, ed un'inquietante potere che la porterà verso un tragico finale. tratto: Madame Smith la guardò perplessa > chiese. > Nessuno rispose.