Helen stava seduta sul divano sgranocchiando cibo non proprio salutare, con il telecomando in una mano e le patatine nell'altra.
Era sabato sera, e nonostante fuori la notte fosse buia e lucida come una perla nera lei stava a casa, da sola.
Ovviamente, adesso che Julio era lontano, non aveva più nessuno con cui uscire.
Aveva provato a fare amicizia con qualcuno dei suoi compagni, ma non ci riusciva. Le sembravano tutti così stupidi, superficiali, come scimmie che si copiano a vicenda e che giudicano senza conoscere.
Le sembrava che loro vivessero in una realtà distorta, e che solo lei fosse in grado di vedere la cruda verità: una vita crudele e piena di dolore.
Si alzò e si appollaiò al davanzale della finestra, lasciando vagare lo sguardo per il cielo violaceo e costellato da puntini argentati e luminosi; la malinconia la colpì allo stomaco come fa un pugile, e quasi si piegò dal dolore.
Non riusciva a capire: aveva deciso di non arrendersi, di vedere tutto con positività, ma proprio quando sentiva la tristezza lasciarla ecco che sprofondava nel buio più assoluto.
E in tutto quel dolore, l'unica speranza che vedeva era sua madre.
Non era una vera e propria speranza, ma aver visto sua madre dopo tutto quel tempo e scoprire che si era pentita, la faceva sentire meglio.
In quei giorni si erano viste sempre, ed infatti la compagnia della madre era l'unica che le era rimasta.
Parlavano di tutto, di quello che avevano perso e che intendevano recuperare. Helen aveva imparato a conoscerla, ed aveva capito che tutte le ipotesi che aveva formulato nel corso del tempo erano vere: sua madre era solo una vittima della droga, una donna lasciata sola, abbandonata al suo destino, una giovane donna odiata, ripudiata dalla famiglia, sola con una bambina.
Tutte quelle situazioni l'avevano portata a sfogarsi su di lei, ma in fondo sua madre le aveva sempre voluto bene. Lo aveva capito in quei giorni, ed adesso non si sentiva più uno sbaglio.
Odiava ammetterlo, e sapeva che era sbagliato e irrispettoso verso se stessa, ma lei... Lei la stava perdonando.
Forse era troppo prematuro, ma era troppo sola e triste per portare rancore all'unica persona che le era rimasta. Del resto cosa avrebbe dovuto fare? Odiarla, forse? No, non ci riusciva.
Helen era troppo buona, troppo gentile e altruista. E seppur consapevole del fatto che il suo esasperato altruismo fosse ormai un difetto, non riusciva a cambiare.
Lei era così, e basta.
Avrebbe continuato per sempre a mettere gli altri prima di lei, ad aiutare il prossimo dimenticandosi di se stessa, a soffrire pur di far sorridere le persone.
Era quasi un paradosso: odiava stare con gli altri, ma nel momento del bisogno sarebbe potuta arrivare pure a sacrificare se stessa pur di evitare le sofferenze alle persone. Era dannatamente sbagliato, ma non poteva cambiare se stessa.
La sua esasperata gentilezza gettava le radici nella parte più profonda del suo cuore, un seme nato proprio a causa del suo triste passato.
In parole povere: aiutava gli altri perché nessuno aiutava lei.
Assurdo forse, senza senso, ma era così.
Proprio per questo in quei giorni aveva riflettuto a lungo su sua madre: lei, dopo essersi suicidata durante una brutta crisi d'astinenza, era rimasta nel mondo degli umani proprio perché legata a Helen stessa.
E forse...forse sua madre non meritava anche lei di essere aiutata? Cos'aveva in meno di Chester, o di Emily?
Sapeva che se avesse aiutato sua madre ad andare oltre, sarebbe rimasta davvero sola, ma non poteva far finta di niente, sarebbe stato egoistico, e lei proprio non ci riusciva.
" Cosa devo fare per aiutarti, mamma" si chiese " cosa posso fare per portarti avanti"
Proprio mentre pensava quelle cose apparve sua madre, bella come sempre.
<<Ehy, tesoro>>esordì. Helen si girò e sorrise spontaneamente.
<< Ciao mamma>> disse.
<< Pensierosa>>
Helen fece un verso di scherno << come sempre>>
<< Stavi pensando a quel ragazzo?>>
La castana si rattristò di colpo << Anche...>>
Il pensiero di Julio le portava un dolore insopportabile, un'agonia che la prendeva di forza per gettarla nella voragine della depressione.
<< Helen, piccola mia>> sussurrò Maria << È andata così, il destino non può essere cambiato. Vedrai che il tempo guarirà le tue ferite>>
Helen scosse la testa << No >> disse alzandosi, si diresse nuovamente verso la finestra << Ho capito che non sempre è così. Possono passare anni e anni, ma certe piaghe non guariranno mai>> e tornò con occhi malinconici a guardare le stelle, mentre calde lacrime facevano capolino nei suoi occhi. Ma Helen le spinse indietro: non voleva più piangere.
La donna si avvicinò alla figlia e cercò di posare una mano sulla sua spalla, ma il suo corpo non materiale non glielo permise. Avvertendo il brivido alla spalla lei si voltò, e vide il sorriso dolce e caldo della madre, il sorriso rassicurante che solo lei sapeva rivolgerle, un sorriso carico di amore materno che sembrava balsamo sulle sue ferite.
<< Cambiando discorso...>> cominciò la ragazza.<< Voglio aiutarti ad andare oltre>>
Maria scosse la testa << No, non puoi Helen>> disse, quasi ridendo dell'assurdità detta dalla figlia.
<< Sono riuscita ad aiutare tutti i fantasmi che ho incontrato, Aiuterò anche te>>
<< Ma tesoro...>>
<< Che c'è, non vuoi andare oltre? Forse non soffri restando qui?>> esclamò Helen infervorata.
<< Si, ne soffro molto...ma c'è solo un modo, solo una cosa romperebbe il legame che mi lega al mondo dei vivi, ma questo non può essere nemmeno preso in considerazione.>>
<< Che modo?>>
La donna stette in silenzio, e allora Helen, dopo qualche riflessione, capì.
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La ragazza di polvere
ParanormalHelen, sedici anni, un passato tormentato, ed un'inquietante potere che la porterà verso un tragico finale. tratto: Madame Smith la guardò perplessa > chiese. > Nessuno rispose.