Capitolo 3 - The punishment

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Mi porta fuori, nel suo ufficio suppongo, ma so già cosa ha in mente. I suoi occhi neri continuano a scrutarmi da cima a fondo, mi sento estremamente a disagio ma soprattutto devo ammettere di avere paura. Paura di non sapere più, penso sia la cosa che odio di più, non avere certezze o sicurezze mi spaventa abbastanza, ma ormai ho imparato a conviverci, è da tempo che non ne ho.

"Non impari mai la lezione eh? Sei una ragazzina capricciosa e impertinente, non ti accontenti mai." Sputa vicino al mio orecchio, i miei muscoli si irrigidiscono ancora di più.

"Mi fai schifo." Raccolgo tutta la saliva che ho nella gola e gli sputo dritto in faccia.
Non so cosa mi sia preso, non so cosa mi abbia detto la testa.
So solo di aver agito impulsivamente e di non essere riuscita a controllarmi; tutto il rancore di questi anni è uscito senza che riuscissi a frenarlo.

La sua reazione però mi fa quasi dimenticare della mia posizione è del contesto in cui mi trovo: sbarra gli occhi, apre leggermente la bocca e si tocca con l'indice il punto sporco del viso e poi corre a ripulirsi con una faccia piena di disgusto.

Non riesco più a trattenermi e involontariamente scoppio in una fragorosa risata incontrollata, ma appena lui si gira ha a dir poco uno sguardo di fuoco e questo basta per farmi tacere.
Credo proprio che sia arrabbiato, anzi no furioso, mi alzo e cammino all'indietro finchè non sbatto la schiena contro il muro della stanza, merda.
Quando capisce quello che sto pensando gli scappa un leggero sorriso e corre dietro la scrivania a prendere non so cosa da un cassetto. Approfitto di quei pochi secondi per aprire la maniglia della porta che è dietro di me, ma ovviamente è chiusa a chiave, la mia solita fortuna.
Avendo provocato qualche rumore alza lo sguardo su di me, ma mi ricompongo subito tornando alla posizione di prima, non credo si sia accorto di niente, per fortuna.
Torna verso di me con le mani dietro la schiena e qualche secondo dopo inizia a legarmi i polsi con una corda agganciandola alla maniglia. Farabutto.

"Lasciami subito!" Urlo cercando di divincolarmi in qualche modo.

"Adesso me la paghi!" Mi molla uno schiaffo in pieno viso, giro il volto di scatto, di sicuro resterà il segno per un bel po'.
Mi butta come se fossi un sacco della spazzatura sul divanetto e sono obbligata a tenere le braccia in alto poichè la corda non è così lunga da arrivare fino al divano.

"Ora non puoi più scappare, tesoro." Il suo fiato puzza d'alcol e sto davvero facendo uno sforzo enorme per cercare di non vomitargli in faccia.
Ed eccolo, il secondo gesto incontrollato, avvenuto senza il consenso della mia mente ma dettato solo ed esclusivamente dal mio istinto di difendermi: gli do un calcio sulle sue parti basse, provocandogli un acuto grido di dolore.
Dovrò pur difendermi in qualche modo.
Emette un altro urlo accovacciandosi su se stesso poi mi fissa con uno sguardo indecifrabile, se prima lo avevo fatto infuriare non voglio immaginare cosa sia ora, non l'avevo mai visto così e mi fa veramente paura, ma se lo meritava, anzi era il minimo.
Dopo avermi rivolto un'ultima occhiata esce di colpo dalla stanza senza dire una parola e rilascio un piccolo sospiro di sollievo.
Provo immediatamente a liberarmi da questa maledetta corda, ma è inutile la stretta è troppo dura e forte, non ci riesco.
Poco dopo sento qualcuno parlare da dietro la porta, riconoscerei la voce del bastardo ovunque.

"Che devo fare Tom?"

"Quello che si merita."

"Sei sicuro? L'abbiamo usata pochissime volte finora, non sappiamo come il suo corpo potrebbe reagire." Risponde qualcuno dei suoi aiutanti.

"Sì, lo so." Risponde risoluto e deciso Tom.

"Mi ha stufato, oggi ha davvero oltrepassato il limite. Ora, per piacere, fai ciò per cui sei pagato." Sbianco alle parole che ho appena sentito e mi immobilizzo su me stessa.
Iniziano a sudarmi le mani e a tremarmi le gambe. Sono stata un'incosciente, ma se potessi tornare indietro mentirei nel dire che non avrei ricommesso quei gesti.

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