Capitolo 21 - Fired

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ANDREW'S POV

Non ci posso credere.
L'ho lasciata lì, nelle mani di quel criminale.
Non posso averlo fatto davvero, no.
Me la sono lasciata scappare come niente, non ho fatto nulla, assolutamente nulla, per provare a tenerla con me.
In questo momento vorrei soltanto poter essere un'altra persona per potermi prendere a pugni, perché è quello che mi merito.

Dopo tutto quello che ha passato in questi anni, l'inferno in cui è riuscita a sopravvivere a stento, io le permetto di tornarci di nuovo.

La verità è che sono un codardo, un cretino, un vigliacco e sì, anche stronzo.
Perché per salvare me, si è dovuta sacrificare lei.
E questo non va bene, non va affatto bene.
Lei non può soffrire, non di nuovo, so che non reggerebbe un altro minuto in quel posto, ora sta diventando troppo anche per lei.

E non dimenticherò mai i suoi occhi in quei ultimi istanti in cui siamo potuti restare insieme, pregarmi, implorarmi in silenzio di fare qualcosa, di fermare tutto questo prima che sia troppo tardi, di salvarla ora che ero in tempo.
Ma no, sono rimasto a fissarla come un completo odiota, senza muovere un muscolo.
Ero completamente paralizzato da tutta la situazione, da tutto quello che stava accadendo, non riuscivo a farmene una ragione.
Tutt'ora non riesco a farmene una ragione.
È inconcepibile.

Tom è riuscito a trovarci, tutta colpa di Brad lo stronzo, ma dopo mi sente. Ci aspetta una bella chiacchierata. Non pensasse che lasci la situazione in questo modo, anzi.

Cosa ci faccio ancora a casa? Devo darmi una mossa e come prima cosa voglio licenziarmi, preferisco chiedere l'elemosina piuttosto che continuare a svolgere questo pseudo lavoro.

Nel mentre tiro fuori le chiavi di casa e della macchina, la vibrazione del mio cellulare attira la mia attenzione, così mi ricordo di prenderlo e mentre scendo le scale leggo il messaggio.

Da Tom:
Ci vediamo fra dieci minuti nel bar dietro casa tua.
Ti devo parlare.

Non gli rispondo neanche, mi limito ad andarci direttamente, avrei preferito incontrarlo nel suo ufficio, così avrei potuto avere anche l'opportunità di vedere Jessica, ma mi ha preceduto.
Aspetto qualche minuto in un tavolo in fondo al bar e il campanellino che suona, segnando l'arrivo di una nuova persona e la porta che si apre, inevitabilmente mi fa cadere gli occhi lì.
Tom è intento ad osservarsi intorno, con il suo solito sguardo circospetto, cercandomi con gli occhi.
Quando finalmente mi trova, si avvicina a passo felpato, sedendosi davanti a me.
Non apre bocca, si limita a flirtare con la cameriera, con la scusa di ordinare qualcosa da bere, avrà come minimo dieci anni meno di lui.
Dopo svariati minuti di conversazione inizio ad innervosirmi, sbatto ritmicamente il piede sul pavimento, mi gratto in modo quasi compulsivo la poca barba che ho sul mento e ogni due secondi ruoto gli occhi al cielo quando Tom si inventa battute stupide e la cameriera ride come una gallina.

Datemi un sacchetto per vomitare, vi prego.

Già so che entro domani quella ragazza si ritroverà a gambe aperte nel bagno di questo lurido bar, lurido come lei, lurido come Tom, lurido come tutto ciò che ha commesso.

Quando rivolge l'attenzione verso di me, chiedendomi se volessi ordinare qualcosa, mi basta lanciarle un'occhiata per farle capire le mie intenzioni e il mio stato d'animo, così sgattaiola via con il taccuino in mano.

"Allora, dovevi parlarmi?" Mi schiarisco la voce e voglio sbrigarmi con questo incontro, prima iniziamo, prima finiamo.

"Sì. Purtroppo non ho belle notizie, per te." Annuncia, appoggiando i gomiti sopra al tavolino e incrociando le dita tra loro.

"In che senso?" Domando, assottigliando gli occhi, spero che non abbia scoperto nulla, o sarebbe davvero la fine.

"Come ben sai la crisi si fa sentire, e purtroppo mi vedo costretto a dover rinunciare ad una parte del mio personale." Mi informa, facendo finta di essere afflitto.

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