Capitolo 6 - Empty

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Un forte rumore dello sbattere di una porta ci riscuote dalla nostra conversazione e immediatamente mi tappa la bocca con la sua mano che io provo a togliere ma lui insiste lasciandola lì.

Crede che sia così stupida da mettermi a parlare proprio ora?

Si sporge dall'angolo per osservare che sia tutto a posto e quando ritorna a guardarmi lascia un sospiro di sollievo e leva la mano dalla mia bocca. Santo cielo, era ora.

"Bene, Tom se ne è andato." Annuncia.

"Ora puoi rispondere alla mia domanda." Lo incalzo.

"Che domanda?" Chiede fingendo di non ricordarsi. Alzo un sopracciglio e assottiglio gli occhi guardandolo male.

"Lo sai benissimo ehm..."

"Andrew." Finisce la frase al posto mio.

"Ecco sì, lo sai benissimo Andrew." Scandisco bene ogni parola, voglio che mi risponda, adesso.

"Ehi ma cosa pensi fare eh? Non scordarti mai di chi sei e dove sei." Vuole giocare sui miei punti deboli ma non ci riuscirà, non gli darò questa soddisfazione e soprattutto non avrà il privilegio di abbattere i miei muri. Non glieli lascerò nemmeno sfiorare, figuriamoci farli crollare.

"Me lo ricordo tutti i giorni, caro. Non ho bisogno del maestro di turno." Forzo un sorriso provando a sembrare educata ma soprattutto a mantenere la calma.

"Beh non si sa mai, magari un alzheimer precoce." Sorride prendendomi in giro.
Mi sto irritando, molto.
Ma è questo il suo scopo e non gliela darò vinta, non farò trasparire nulla.

"Oh no tranquillo, per tua sfortuna sto benissimo, anche se starei molto meglio fuori di qui." L'ultima parte della frase la mormoro più a me stessa che a lui.

"Beh non ci rimarrai per molto." Mormora a bassa voce.

Ho sentito bene? Ha per caso detto quello che penso abbia detto?

Riporto immediatamente lo sguardo su di lui, ora pretendo delle risposte.
Ha la testa rivolta verso il basso, visibilmente imbarazzato, come se volesse rimangiarsi le parole. Troppo tardi, sono desolata.

"Quindi... è vero che stavate parlando di me?"

"Sì cazzo, sì. Sei contenta ora?" Sbotta urlando ma poi girandosi subito per controllare se qualcuno l'abbia sentito.

La mia mente nel giro di pochi secondi passa da essere quasi sollevata a confusa ed infine il panico vince su tutto. Sento la testa pesante e tutto intorno a me sta girando.

Non posso crederci.

Non posso nemmeno minimamente provare a pensarlo.

È inaccettabile.

Mi rifiuto di crederci e spero solo che non accada per davvero.

"Non potete separarmi da lei." La mia voce fredda e neutra mentre pronuncio a denti stretti la frase peggiore di tutta la mia vita e fisso un punto imprecisato della parete.

"Non dipende da me." Il suono della sua voce dura e calma mi riscuote dal mio stato di trance e i miei occhi saettano verso di lui.

Vorrei scoppiare a piangere proprio ora, ma la rabbia ha la meglio. Spaccherei tutto in questo momento.

Lo guardo, i miei occhi bruciano su di lui, l'odio ribolle dentro di me e cresce piano piano senza sosta. Voglio che si senta in colpa, che si faccia schifo e che provi disprezzo per se stesso almeno un decimo di quanto lo provo io in questo momento.
Ma dai suoi occhi non traspare nulla, zero.
Vuoto assoluto.
Perchè sono sicura che lui è cosi, è vuoto. È stato svuotato da ogni emozione e sentimento che qualsiasi uomo possa provare. Magari c'è una ragione dietro tutto ciò, ma non mi interessa saperla.

La testa sta martellando e inizio a vedere due Andrew davanti a me.
Non riesco a capire più nulla, la vista sfocata, le gambe tremano sotto di me e sono costretta ad accasciarmi a terra, ma tutto ciò non passa anzi non fa altro che aumentare.
Mi ritrovo rannicchiata con le braccia alle ginocchia a tremare, non di freddo.
Mi sento sopraffatta da tutte le emozione che stanno percorrendo ogni centimetro del mio corpo, veloci come il sangue scorre nelle vene, ovunque.
Sono terrorizzata all'idea di cosa potrebbe accadere e paura, panico, ansia, angoscia, disperazione e tanto altro si impossessano di me.
Non so cosa fare.
Vedo con la coda dell'occhio le labbra di Andrew muoversi, sembra abbastanza agitato ma non riesco né capire né a sentire quello che mi dice.
Come se mi ritrovassi in una bolla, esternata dal mondo, senza poter avere nessun contatto con il resto.

E adesso ci sono soltanto io e il mio dolore.
Costretta ad affrontarlo, a confrontarmi faccia a faccia con lui.
Questa notizia è stata l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stato ciò che ha dato il via libera al mio dolore di uscire fuori e di scaraventarsi contro di me in tutti i modi e forme possibili e immaginabili.

Mi ha costantemente accompagnata, ormai ci ha fatto casa dentro di me, si è messo comodo e non ha alcuna intenzione di traslocare. Ha bussato alla mia porta e l'ho lasciato entrare, permettendogli di distruggermi lentamente, giorno dopo giorno.

Mi accorgo che stavo piangendo soltanto quando noto una lacrima cadere per terra seguita da altre, molte altre, tantissime, sono un fiume in piena, un'alluvione, una nuvola che non riesce più a tenersi tutta la pioggia per sé, che ha bisogno di buttarla fuori, altrimenti scoppierebbe e sa che non potrà restarne intatta dopo l'esplosione.

Mi manca l'aria e non riesco a vedere a due centimetri di distanza, non riesco a fare niente se non lasciar cadere l'ultima lacrima amara che riga l'ultimo millimetro non ancora bagnato delle mie guance e lasciar chiudere gli occhi, troppo stanchi per restare aperti, troppo svuotati da tutto ciò che per un'infinità di tempo hanno celato, hanno tenuto nascosto.

E da quell'attimo: il nulla.
Perdo definitivamente e completamente il controllo di me stessa lasciandomi stendere sul pavimento ghiacciato.

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Dal prossimo capitolo ci saranno un po' di cambiamenti xx

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