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-A questo punto ti starai chiedendo cos'è una società, come ci sei finita in India, come farai a uscire da qui...
Quella ragazza continuava a parlare, probabilmente pensando che io la ascoltassi, ma, anche se ne avevo tutte le intenzioni, non riuscivo ancora a realizzare quello che mi aveva appena detto. Ero nella società indiana. L'avevo sempre immaginata come la più terribile di tutte. C'era stato un periodo in cui Justin usciva le notti e io lo avevo accusato di infedeltà, solo più tardi mi aveva rivelatro che c'erao stati problemi con un'altra società. Ricordai il giorno in cui era partito per l'india, lasciandomi, involontariamente, nelle grinfie di un maniaco in cerca di vendetta, Peter. I quei giorni fui torturata, ma il mio pensiero era rivolto sempre a Jusin, avevo paura che non tornasse vivo. Mi era sembrato sempre agitato quando parlava della società indiana. Rabbrividii quando mi venne in mente una cosa che mi aveva rivelato poco tempo prima. Aveva fatto una classifica in base a chi mi potesse allontanare da lui. Al secondo posto c'era Stivie e al primo c'eravamo io e Daniel, il capo della società indiana. Fino ad allora Justin aveva sempre previsto cosa sarebbe successo prima che accadesse, ma non lo sapeva. Solo allora lo capii. Credeva che Stivie fosse pericoloso, che mi potesse allontanare da lui e di fatto lo fece, quando nell'archivio della società ci baciammo. Subito dopo aveva avuto paura che io mi potessi allontanare da lui di mia spontanea volontà perché mi sarei ricordata i miei primi giorni lì ed era successo, quando avevo tradito la società. E allora, molto probabilmente, aveva già capito che il capo della società indiana mi avrebbe allontanato da lui e così era stato. Ovviamente non sarebbe sembrato così semplice per l'India prendermi se Justin non mi avesse servito praticamente su un piatto d'argento.
-Allora? Come ti chiami?
Farha stava ancora parlando, o meglio urlando, senza sosta contro il mio orecchio destro.
-Cosa?
Chiesi distrattamente, capendo che mi aveva porto una domanda, visto che aveva smesso di parlare.
-Ti ho chiesto come ti chiami.
Sembrava un po' stranita che non l'avessi sentita.
-Quinn.
Risposi semplicemente, sperando che mi lasciasse in silenzio ad annegare nel mio dolore e le mie preoccupazioni.
-Vieni dall'America, vero? Lo so perché sentivo oggi Nawal che parlava con Chirag e dicevano che sarebbe arrivata una nuova ragazza da lì, magari ho pensato che saresti potuta diventare mia amica, visto che i miei nonni erano inglesi. Parliamo la stessa lingua, voglio dire, io conosco anche l'Indiano perché sono cresciuta qui, ma mi piace praticare l'inglese...
Ecco, ci risiamo. Fhara aveva ricominciato a blaterare ininterrottamente. Iniziai ad avere dubbi sul fatto che non fosse sotto l'uso di particolari droghe. Sembrava la persona più felice ed energetica del pianeta, come se la sua voce e il suo sorriso oscurassero tutto il male umano. Poteva essere un bene, se non fosse per il fatto che mi serviva silenzio e calma per ragionare su cosa fare e come comportarmi. Potevo uscire da lì sana e salva, potevo farcela, ma mi serviva fortuna, coraggio, forza e, in quel momento, silenzio.
-Va bene?
Fhara si era di nuovo bloccata in attesa di una mia qualche risposta falsa, perché non avevo di nuovo sentito la domanda.
-Emh.. si, credo che andrà benissimo.
Buttai lì senza sapere a cosa avevo acconsentito.
-In più oggi credo che incontrerai il capo, spero che gli starai simpatica perché non ti voglio perdere, mi sembri una brava persona.
Sorrise e, stranamente, rimase in silenzio.
-G-grazie.
Sussurrai. Venivo dall'America, non gli sarei mai piaciuta, visto il sangue cattivo che scorreva tra lui e Justin. Posai la testa al muro e sospirai.
-Sai, lui ti dirà di compiere una decisione.
Disse Fhara di colpo seria e quasi malinconica.
-Che tipo di decisione?
-Se vorrai essere fedele alla società o no.
-E se rifiutassi?
-Ti... ti uccide.
Fhara abbassò lo sguardo e i capelli le ricaddero sulla faccia. Per un momento pensai che stesse per piangere, subito dopo, però, mi sorrise e ricominciò a parlare.
-Se invece decidi di rimanere ti imprimeranno il marchio e ti daranno gli abiti adeguati e,se sei fortunata, ti assumeranno un buon incarico, come hanno fatto con me.
Mi fece un occhiolino e, solo in quel momento, notai che tutte le donne in quella stanza erano vestite allo stesso modo. Portavano un vestito grigio, lungo fino a metà coscia, senza maniche. Non vedevo, però, marchi sulle loro braccia. Mi strinsi le ginocchia al petto.
-Sceglierai di essere fedele a lui o no?
Chiese Fhara di colpo di nuovo seria. Aprì la bocca per rispondere, ma solo in quel momento mi resi conto che non avevo ancora preso una decisione. Se pensavo a Justin, sentivo una morsa al cuore e capivo che ormai la mia vita non aveva senso dovunque andassi, allora la mia risposta era che non sarei stata fedele, così avrebbero fatto la finita. Poi però pensavo che forse Justin non meritava di vedermi morire, io dovevo essere più forte, dovevo reagire e mostrare che il suo abbandono non mi aveva scalfita nemmeno un po'.
Per molti minuti fui in bilico.
Un momento ero convinta di dover lottare e il momento dopo mi abbandonavo alla disperazione. Fhara, ormai, non si aspettava più una risposta da me. Vidi la maniglia della porta abbassarsi.
-Solo, cerca di tornare per cena.
Disse Fhara voltandosi di nuovo dalla mia parte.
-Ti aspetto.
Aggiunse con sguardo implorante, quasi come se mi volesse suggerire di giurare fedeltà alla società. L'uomo appena entrato dalla porta si guardò intorno e il suo sguardo cadde su di me. Fece un passo nella mia direzione, mi afferrò per un braccio e mi trascinò fuori dalla stanza, in un corridoio con arazzi appesi al muro e la moquet per terra. Non avevo notato che quel corridoio fosse tanto bello prima. Quella struttura, al contrario di quella degli Stati Uniti era bene arredata e pulita. I mobili erano addirittura adornati con sopramobili in stile indiano. Benché l'arredamento fosse diverso, la pianta del luogo era simile a quella statunitense, ricca di corridi lungi e diverse porte che si aprivano lungo le pareti. Camminammo per qualche minuto e raggiungemmo una porta a vetri. Il ragazzo bussò.
Era arrivato il momento di prendere una decisione. Ripensai a Fhara, ai suoi occhi imploranti, mi aveva fatto impazzire con tutti quei discorsi, ma non la potevo abbandonare così. Certo, sarebbe stato molto più semplice, per una volta, non combattere, prendere la strada più semplice e morire. Non sapevo cosa scegliere, ma ero certa che una volta di fronte quell'uomo spietato, per quanto potessi immaginare, avrei preso la decisione giusta.
L'uomo nell'altra stanza disse qualcosa che non capii, ma doveva essere il permesso di entrare, perché il ragazzo aprì la porta e mi spinse dentro richiudendola alle sua spalle. Rimasi a bocca aperta nel rguardarmi attorno. Mi trovavo in una camera enorme, davanti a me c'erano tre divani rossi, posizionati a semicerchio e un tavolo basso in legno al centro. Sulla destra si trovava un caminetto e, in fondo alla stanza, una libreria a muro altissima e piena di libri. Prima della libreria si trovava una scrivania e seduto su di essa un uomo sulla trentina. Lo riconobbi subito, Daniel.
La mia contemplazione della stanza finì e tornai alla realtà. Il ragazzo mi spinse in avanti, fino a costringermi a trovarmi a meno di un metro dal capo indiano. Questi scese dalla scrivania e sorrise.
-Quinn.
Mi salutò come se fossi una sua vecchia amica, ma non ci eravamo mai visti prima della vendita.
-Finalmente ho il piacere di vederti. Stati Uniti parla sempre tanto di te.
Sussultai. Justin parlava di me agli altri soci del mondo?
-No, scherzavo. Non parla mai di te, ma quando glielo accenno io devi vedere come si irrigidisce.
Fu come se Daniel mi avesse letto nel pensiero.
-Oh, non mi sono presentato. Io mi chiamo Daniel e al contrario di qualcuno non ho paura di dirlo al mondo, io non sono codardo.
Accentuò l'ultima parola come se volesse sottintendere qualcosa o semplicemente ricordarmi la fuga di Justin mentre io venivo presa con la forza dal palco. Fatto sta che sentii un impeto di rabbia nei confronti del mio -ex- ragazzo.
-Ora ti starai chiedendo perché ho pagato così tanto per averti, perché Stati Uniti non ti voleva consegnare...
Mi accarezzò la guancia con i polpastrelli e io sussultai. Quella voce bassa e profonda, quel suo tocco erano troppo per me, mi stavano rendendo...codarda. Proprio come lo era stato Justin dopo che Daniel mi aveva acquistata.
-Tu sei preziosa, hai delle potenzialità che mi serviranno ad acquistare potere.
Pensai inizialmente che si riferisse al mio dono di capire le emozioni della gente, ma subito dopo mi venne in mente che nessuno ne era a conoscenza a parte Luke, Justin e Stivie.
-Ora ho un'offerta per te.
Feci un passo indietro mentre Daniel si avvicinava a me ulteriormente.
-Devi prendere una decisone.
Il momento era arrivato, restare vivi o morire? Se restare viva lo avrebbe aiutato, sicuramente morire.
-Voglio essere sincero con te. Ho pagato così tanto all'asta per te proprio perché tu mi servi, Quinn. E Stati Uniti non l'ha accetto perché sa che mi servi solo per distruggerlo. E sarà ciò che farai, in un modo o nell'altro.
Distruggerlo?
-Qual è l'offerta?
Chiesi a testa alta con tutto il coraggio che ruscii a trovare, era lui che aveva bisogno di me, non viceversa. Io ero più forte di lui, mentre lui dipendeva da me.
-Oh, mi sembri interessata.
Sorrise mostrando una dentatura perfetta. Non aveva tratti particolarmente indiani e anche l'accento sembrava quello di qualcuno puramente Canadese. Non era brutto, neanche bello, ma la sua statura, i suoi muscoli e la sua espressione sicura di sé lo rendevano temibile agli occhi degli altri.
-Tu farai in modo che Justin venga qui. Ora devi decidere, puoi venire dalla mia parte, e non ti sarà torto un capello. Chiamerai il tuo ragazzo, tornerai da lui, conquisterai la sua fiducia e alla fine lo tradirai portandomelo qui. Oppure puoi decidere di restare dalla parte degli Stati Uniti e portarlo qui sarà un po' più doloroso. Devi solo decidere da che parte stare.
Daniel sorrise. Quel sorriso era più inquitante delle espressioni fredde e dure di Justin i primi giorni che lo avevo visto. Adesso sapevo come erano fatti quegli uomini. Dovevo essere più forte e astuta, perché lui non mi avrebbe ucciso. Ora la scelta era tra far soffrire Jsutin e ingannarlo o soffrire io. Sembrava quasi una trappola, perché io non potevo scegliere e lui lo sapeva. Decisi di giocarmi la carta della distrazione. Dovevo mandarlo in paranoia, dovevo farlo sentire in pericolo.
-Oppure...
Cominciai io camminando verso di lui.
-L'offerta la faccio io. Puoi decidere di lasciarmi libera adesso e non succederà nulla o puoi scegliere di aspettare che io riesca a scappare e denuncerò questa società.
-Pensi davvero che riuscirai a scappare?
Chiese Daniel ridendo.
-Credo che tu sappia che ci sono già riuscita una volta, io non ho paura.
Mi avvicinai ancora di più a lui. Lo guardavo dritto negli occhi per farlo intimidire, inutilmente. Continuai a camminare nella sua direzione finché non ci trovammo petto a petto. Io lo guardavo dal basso e dentro di me avevo paura che il mio piano non riuscisse.
-Non dubito che tu non abbia paura, ma devi sapere che qui le regole sono un tantino diverse, il codice, le punizioni... presto scoprirai che non sarà semplice come negli Stati Uniti vivere qui.
Allungai la mano dietro di lui, verso il coltello che era appeso alla sua cintura, era da un bel po' che lo avevo adocchiato.
-Ho provato così tanto dolore e sofferenza in questi ultimi due anni e mezzo che non penserai che questo mi spaventi. Ti do un'ultima possibilità. Lasciami andare adesso.
A quel punto avevo sfilato del tutto il pugnale e lo tenevo stretto in mano, mentre i suoi occhi erano puntati su di me e i miei sui suoi.
-Credi davvero di farmi paura?
C'era un ghigno sulle sue labbra, probabilmente lo stavo solo facendo divertire, perché non facevo paura a nessuno.
-Pensi davvero che io sia tanto stupido da credere che non dirai nulla a nessuno di questo posto?
Rise.
-No, ma credo che tu sia così tanto stupido da non credere nelle mie capacità.
-Sappi che tu ai miei occhi sei solo un oggetto che non vedo l'ora di usare. Quali capacità pensi di avere?
-Oh, tante. L'astuzia, per esempio.
Puntai il pugnale al collo dell'uomo. Per un momento mi sembrò avesse perso la sicurezza di sé.
-Come hai...?
Sentii dei passi e ricordai il ragazzo alle mie spalle.
-Non ti avvicinare o lo uccido.
Dissi senza voltarmi, i passi che venivano verso di me si arrestarono.
-Cosa succederebbe, se ti uccidessi adesso?
-La società rimarrebbe senza un capo.
Daniel fece spallucce, non voleva sembrare preoccupato, ma di fatto lo era, un rivolo di sudore gli scorreva dalla fronte.
-Bene, non mi sembra una grande perdita.
Appoggiai la punta del pugnale al suo collo, decisa a tranciare la sua carotide, una goccia di sangue scese giù per il collo, quando sentii un rumore metallico, mi ricordò il rumore gabbietta del criceto di quando ero piccola quando si apriva.
-Sai, non credevo che il nostro primo incontro sarebbe stato così... movimentato.
Daniel sorrideva, perché sorrideva? Io lo stavo per uccidere.
Improvvisamente sentii qualcosa di pesante strisciare sui piedi. Cercai di calciarlo via, ma sembrava avvolto alle mie gambe. Abbassai la testa e mi si ghiacciò il sanguie nelle vene, caddi a terra e Daniel afferrò il coltello dalle mie mani. Cercai di fare di tutto per allentare la presa forte del serpente più grande che avessi mai visto. Non mi erano mai piaciuti i serpenti, neanche da bambina quando andavo allo zoo. Sentivo che il sangue non arrivava più ai piedi e la testa del rettile era sempre più vicina al mio collo, dovetti stendermi per terra per avere l'impressione che ci avrebbe impiegato di più a raggiungerlo. Credevo che sarei morta soffocata, quando sentii che la presa del serpente si allentò e le mie gambe furono libere. Daniel e il ragazzo tenevano il serpente fermo per tutta la sua lunghezza e camminavano dalla parte opposta della stanza. Per un momento gli fui grata, solo che poi mi tornò in mente che lo avevano fatto solo perché avevano bisogno di me. Fecero entrare il serpente nella sua gabbia dietro il divano, non mi sembrava strano che non l'avessi notato entrando. Era coperta da un telo rosso. Mi alzai con un po' di fatica mentre Daniel tornava verso la scrivania e posava il pugnale che avevo usato contro di lui in un cassetto. Mi sembrò di vedere al suo interno anche una pistola.
-Mi avevano detto che eri un bel tipetto, ma non pensavo fino a questo punto. Spero che Divyanshu, il mio boa, ti abbia schiarito un po' le idee. Non c'è tempo per i tuoi giochetti qui.
Dopo la mia battaglia con quel mostro facevo fatica ancora a prendere il fiato.
-Chirag, porta Quinn dalle altre. Adesso ha solo bisogno di un po' di riposo, vero?
Immaginai che nei miei occhi tutta la mia spavalderia aveva lasciato il posto al terrore.
-Ha bisogno di silenzio, avrà una notte per prendere la sua decisione, pensa bene e sogni d'oro.
Mi congedò con un sorriso e io e Chirag uscimmo dalla sua camera.
Attraversammo, nuovamente, tutti i corridoi dell'andata. Prima di aprire la porta quello che si doveva chiamare Chirag si fermò davanti a me.
-Se fossi in te deciderei di giurare fedeltà alla società... ho visto persone morire per colpa di torture che secondo Daniel dovevano solo procurargli dolore.
-Perché me lo stai dicendo?
-Non ho mai visto nessuna donna lottare come te.
Solo in quel momento mi resi conto di che bel ragazzo fosse, gli occhi scuri e profondi i capelli neri spettinati che gli conferivano l'aria di un ribelle e realizzai che era stato lui ad aprire la gabbia del serpente.
-Ok.
Dissi semplicemente e mi voltai verso la porta. In sienzio la aprii ed entrai. Chirag rimase fuori probabilmente aspettandosi una risposta più completa. In silenzio raggiounsi il mio posto accanto a Fhara.
-Sei tornata.
Squittì lei. Mi abbracciò e solo in quel momento notai che aveva una ciotola in mano.
-Ne vuoi un po'? Hanno portato la cena mentre non c'eri.
Chiese notando che avevo adocchiato il riso in bianco al suo interno. Prima dell'icontro con Daniel avrei accettato, ma in quel momento non avevo fame. Mi sentivo lo stomaco chiuso a causa della morte scampata per un pelo, ero turbata dalla decisione che dovevo prendere.
-No, grazie.
Abbozzai un sorriso per sembrare cortese.
-Ti prego, insisto.
-Fhara, non è il momento.
Sentii che il tono che avevo usato era acido, ma questo bastò a farla ammutolire e mortificare.
-Scusa...
Sussurrai dopo un po'.
-E' solo che... hol altre cose a cui pensare.
- E io sono preoccupata per la tua salute...
Fhara mi guardò con gli occhi spalancati e le guance più rosee del solito. Notai che l'occhio nero che avevo visto al mio arrivo peggiorava sempre di più. Avrei voluto chiedere come se lo fosse procurato, ma, notando quanto era sensibile e lunatica, avrei rischiato di vederla strillare o scoppiare in un pianto disperato.
-Non indossi la divisa e non hai il marchio perché non hai accettato, vero? Morirai...
-Credimi, morire in questo momento sarebbe la soluzione migliore.
Fhara mi guardò aspettandosi una spiegazione, ma in quel momento la nostra attenzione fu catturata da Chirag che entrò nella stanza. Elencò dei nomi, tra cui quello di Fhara, e le ragazze si alzarono. Molte di loro erano felici, altre preoccupate, Fhara non faceva altro che guardarmi. Uscirono velocemente dalla stanza e rimanemmo in poche. Non mi chiesi dove stessero andando perché la cosa non mi interessava direttamente e perché c'era altro di cui mi dovevo preoccupare.
Per buona parte della notte ragionai sulla mia prossima lotta. Ciò che diceva Daniel era vero. Lì tutto sarebbe stato molto più complicato. Credevo di essere furba, forte, ma in realtà non lo ero abbastanza. E ciò non sarebbe stato un problema se avessi seguito il codice, seguirlo mi avrebbe portato, però, a giurare fedeltà a Daniel e a tradire Justin. Dovevo fingere di amarlo e poi tendergli una trappola, come aveva fatto lui con me.
Oppure potevo scegliere di non ingannarlo e semplicemente assumermi le mie responsabilità. L'avrei portato lo stesso qui, aveva detto Daniel, ma almeno non avrei dovuto mentire. Il dolore fisico che avrei provato era sicuramente di meno rispetto al dolore che avrei procurato a Justin se lo avessi tradito.
Il punto era: perché dovevo soffrire pur di non tradirlo? Lui aveva fatto soffrire me, perché nnon potevo comportarmi come lui?
Tutti i ragionamenti mi portavano a diventare fedele a Daniel, ma il problema è che quando bisogna fare una scelta non è valida solo la ragione. Per arrivare a una conclusione ci sono altre componenti importanti: il cuore o l'amore, per esempio.
Infilai una mano sotto il mobile accanto a me e tirai fuori ciò che rimaneva dell'iberis. Me lo portai al petto e ripensai a quando Justin mi aveva detto che mi amava. Visualizzando al suo viso, riascoltando le sue parole decisi che avrei scelto la via più tortuosa per me.
Non potevo tradire Justin perché, nonostante tutto, io lo amavo ancora.
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Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...