27.

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La guardia


Camminavo da circa venti minuti in giro nella società. Cercavo di memorizzare quanto più potessi di quel luogo, visto che avrei dovuto vivere lì per molto tempo ancora. Più il tempo passava più mi sentivo incolpa per come ero scappata via da Justin. Certo, lui mi aveva chiamata "appiccicosa", ma io mi ero comportata davvero in quel modo, del resto. Forse lo meritavo, dopotutto. Fortunatamente non piangevo più e coloro che mi passavano accanto ceravano di non mostrarsi interessati a me. Ripensai alla guardia di Daniel, mi stava osserando anche allora? Spesso mi voltavo indiero e mi soffermavo a guardarmi scrutarmi intorno, anche se stavo pensando a tutt'altro. Probabilmente il mio incontro con quell'uomo mi aveva turbata più di quanto mi piacesse ammettere. Dove era finita quella ragazza forte e sicura di sé dei primi tempi dell'india? Perché adesso mi sentivo così vulnerabile? Mi odiavo per questo. Per un momento presi in considerazione l'idea di andare da Stivie e parlare un po' con lui dei miei problemi, ma non mi sentivo a mio agio, del resto a new York, l'unico con cui riuscivo a confidarmi quando c'erano problemi con Justin era Luke. Un senso di agonia mi pervase. L'ultima volta che lo avevo visto un uomo dell'FBI lo aveva immobilizzato, lui sicuramente era finito in prigione, ma poi era riuscito a liberarsi? Sperai vivamente di sì, altrimenti mi sarei sentita in colpa per il resto della mia vita. Lui era stato uno dei primi che avevo incontrato nella società e avevo passatato forse più tempo con lui che con Justin, ad assistere alle sue lezioni sul linguaggio del corpo. Era solo merito suo ciò che sapevo fare. Sicuramente sarebe stato felice dei miei progressi, se mai li avesse visti. Presi in considerazione l'idea di tornare da Justin solo per chiedergli cosa fosse successo a Luke, ma non sapevo come affrontarlo. Lui sanguinava per aver colpito il muro e io lo avevo abbandonato, che mostro che ero. Justin non lo avrebbe mai fatto per me. Eppure mi aveva defnita "appiccicosa", se fossi tornata da lui mi avrebbe insultata di nuovo. Mi sentivo confusa e sola. Cosa dovevo fare? La testa ricominciò a girare e mi chiesi se tutto il malessere di quel giorno non fosse dovuto al fatto che in quegli ultimi giorni avevo mangiato davvero poco. Camminai verso il lato del corridoio e mi sedetti a terra, con le spalle rivolte verso il muro, a pensare. Non mi interessava se qualcuno mi potesse vedere, dovevo capire perché Justin era arrabbiato e se davvero era colpa mia o della guardia incontrata poco prima.
-Non ci posso credere. Finalmete.
Alzai la testa scossa da quella voce. Non appena vidi il ragazzo che mi sorastava con la sua figura, non potei fare a meno di sorridere.
-Luke.
Dissi. Poco prima avevo pensato proprio a lui e, vederlo vivo e vegeto davanti ai miei occhi, non aveva prezzo. Una parte delle mie preoccupazioni all'istante fu spazzata via.
-Quinn, finalmente ci rivediamo.
Mi porse una mano e io la afferrai per tirarmi su. Una volta in piedi mi spazzolai i vestiti e riportai lo sguardo a Luke.
-Ti va di camminare un po' con me?
Disse lui sorridendo, annuii e lo seguii.
-Allora, l'ultima volta che ti ho vista combattevi con un agente dell'FBI, prima di andare ko, intendo.
Disse dopo un po'. Parlare di quello non mi piaceva affatto, neanche Justin ne parlava più ad alta voce quando eravamo soli. Non sapevo se non lo facesse perché non voleva accettare la situazione così come stava o perché sapeva che era un argomento che mi faceva soffrire.
-Anche tu non eri messo meglio, però.
Scherzai, sperando che non si accorgesse del disagio. Ma lui era Luke, si accorgeva sempre di tutto, un mago nel capire le persone.
-Già...
Rise.
-Allora, come è stato in India?
Questo era davvero troppo, stava toccando dei tasti dolenti, iniziai davvero a credere che si fosse schierato dalla parte di Daniel. Per tutta risposta alzai le spalle.
-Ho capito, non ti va di parlarne.
Scossi la testa, in silenzio.
-Ma non è l'India il problema. Cosa hai?
Come al solito era riuscito a capire che qualcosa non andava
-Nulla.
Mi limitai a sorridere.
-Ti prego, Quinn. Stai parlando con me, Luke, il tuo maestro. So che qualcosa non va, non me lo puoi nascondere.
-E' odioso parlare con te, riesci a capire sempre tutto e in più non è neanche giusto, perché io sono solo una comune mortale.
Sbottai. Lui scosse la testa divertito.
-Sono solo anni di esperienza. Allora... mi dici perché i tuoi occhi sono lontani anni luce da qui e le tue labbra sono incurvate verso il basso?
-E' solo un brutto periodo.

Sperai che lasciasse cadere lì il discorso.
-Fammi indovinare. Ti senti in colpa perché il tuo ragazzo ha perso la società, vorresti rimediare e non sai come. Hai para di Daniel e del fatto che ti possa togliere la tua vita con Justin, ti senti continuamente minacciata e vorrsti tornare indietro nel tempo al giorno in cui hai liberato quel ragazzo che poi ha spifferato tutto alla polizia riguardo la società.
Quell'analisi, come da previsto, era esatta. Eppure io sentivo qualcosa in più, una strana sensazione, ma non sapevo se fosse il caso di dirglielo.
-C'è qualcos'altro?
Non servì pensarci a lungo. Luke lo aveva già capito.
-Mi sento strana e diversa. Ma non solo per questo. C'è qualcos'altro, ma non so cosa.
Dissi semplicemente, ed era così. Ero diversa, non sapevo se in senso positivo o no, ma qualcosa c'era.
-Mi conviene parlarne con lo spicologo della società?
Chiesi, ovviamente non ci sarei mai andata, ma almeno Luke avrebbe lasciato cadere l'argomento. Stare in silenzio non era un buon modo per liberarsi di lui. Una volta mi aveva detto che un silenzio può nascondere tantissime cose e sta a gente come noi, come me e Luke, capire le parole che celano.
-Forse sì, sono io lo psicologo.
Rallentai.
-Cosa?
-Sì, non ho più solo il compito di aiutare i nuovi arrivati. Non appena Daniel ha saputo delle mie potenzialità, mi ha promosso. Dice che sarò più utile come psicologo.
Annuii, felice per lui.
-Ha fatto bene.
-Grazie, allora, non sarà che stai male per il tuo litigio con il tuo ragazzo?

Mi fermai.
-Come fai a saperlo?
Era bravo, ma non era un mago.
-Stai tranquilla, non sono una spia. Sono solo passato dalla vostra camera per parlare con te e lui mi ha detto che eri in giro da qualche parte. Si stava legando una fascia attorno alla mano ed era molto concentrato, o almeno fingeva di esserlo. Si vedeva lontano un miglio che era solo rattristato e forse anche un po' arrabbiato. Ovviamento non proprio lontano un miglio, ma per me è stato semplice capirlo.
Mi morsi il labbro, non mi andava di parlare dei miei problemi con Justin e in più, qualcosa nelle parole di Luke, mi aveva fatto bloccare.
-Luke, hai detto che sei venuto a cercarmi per parlare, che cosa mi volevi dire?

**

-E così da oggi in poi io dovrei lavorare qui?
Chiesi, guardandomi intorno nella palestra più grande che avessi mai visto.
-Esatto, Daniel ti ha dato l'incarico di formare i nuovi ragazzi e chi deve imparare le arti marziali.
Luke incrociò le braccia e si appoggiò con le spalle al muro.
-Bene.
Perché Daniel lo aveva fatto? Justin era molto più adatto per una cosa del genere, io non combattevo sempre e la mia tecnica non era perfetta. In più avrei preferito non dover ricorrere a tutto quel contatto umano. Non volevo dover diventare amica di quei ragazzi, mi sarebe bastato restare al fianco di Jusin e aiutarlo in qualunque cosa consistesse il suo nuovo incarico.
-Allora, lì ci sono gli attrezzi per i muscoli.
Daniel indicò un punto lontano della stanza, dove c'erano dei pesi su un mobile a ripiani e delle panche proprio adavanti a uno specchio.
-Lì si affinano le tecniche.
Indicò un altro luogo, questa volta più vicini a noi, sulla destra.
-E lì si svolgeranno i combattimenti veri e propri.
Questa volta indicò una piattaforma rialzata sulla sinistra.
-Non credo di poterlo fare.
Dissi dopo un po'. Quello era troppo per me.
-Hai solo paura, Quinn.
-Ed è proprio quello che vuole fare Daniel, intimidirmi.
Sussurrai. Luke non gli diede importanza, o almeno non lo diede a vedere, perché per lui ogni minimo gesto era importante, sempre.
-Va bene, vediamo se hai imparato qualcosa dalle mie lezioni.
Disse dopo un po' schiarendosi la gola.
-Cosa mi dici di quel ragazzo?
Mi voltai verso un gruppo di ragazzi seduti sulla piattaforma rialzata.
-Parli del biondo?
Chiesi stringendo gli occhi per metterlo a fuoco meglio.
-Sì.
Stava scherzando con gli amici, dandogli pacche sulle spalle. Rideva, ma aveva l'aria di ci non temesse nulla, il tipico sborone che alla fine perde sempre.
-Sarà uno stupido.
Dissi semplicemente.
-E...?
Chiese Luke, per invogliarmi a parlare.
-Non so, i suoi muscoli mi fanno pensare che è molto forte, bravo nel combattimento, ma guarda gli altri con superiorità, si crede il migliore, e nel novantanove percento dei casi, i tipi così non lo sono mai.
Luke annì compiaciuto.
-Bene, ottima risposta. La verità è che io lo conosco, si chiama Martin. Hai ragione su tutto, ma c'è qualcosa in più. Non si sente solo il migliore, è anche spietato, per lui esiste solo un modo di chiarire i conti, combattendo.
Mi chiesi perché aveva deciso di dirlo proprio a me.
-Lui è un tuo allievo.
Mi voltai di nuovo nella sua direzione. Non era possibile, come poteva essere un mio allievo uno che con un semplice soffio mi avrebbe facilmente spazzata via?
-Sei spaventata?
Mi chiese, scossi la testa.
-No.
-Bene, perché l'unico di cui ti devi preoccupare sarà Hari. Lui è mille volte peggio, ma se non ti fa paura Martin, sarai abbastanza coraggiosa a affrontare con lui, che, comunque, lavorerà con te.
Deglutii forse un po' troppo rumorosamente.
-Chi è Hari?
Luke mi fece un cenno con la testa e io mi guardai di nuovo alle spalle. Poteva essere chiunque tra quei ragazzi.
-A destra.
Suggerì. Mi voltai verso l'angolo dei pesi, solo in quel momento riconobbi l'uomo che mi aveva stretto dal braccio la mattina stessa, la guardia di Daniel. Ecco perché mi aveva detto che ci saremmo visti presto, avrei lavorato con lui. Daniel lo aveva fatto per controllarmi a ogni ora della giornata, più che per farmi intimorire.
-Va bene, Quinn. Ti sto già prendendo troppo tempo, ora vai lì e comincia con il presentarti.
Luke se ne sttava andando. Quella era una cosa che dovevo fare da sola, non potevo contare sul suo appoggio, aveva già fatto abbastanza.
-Ciao, Luke.
Lo salutai con la mano e lui ricambiò. Feci un respiro profondo e cominciai ad avanzare verso il gruppo di ragazzi infondo alla sala. Non fecero caso a me, finché il biondo, mi sembrava che si chiamasse Martin, non mi salutò con un fischio.
-Abbiamo una nuova compagna.
Disse un altro ragazzo alle mie spalle. Decisi che se non mi avessero rispettato da allora, sarei finita male per sempre, alzai la testa e allargai le spalle.
-Veramente, io sarò la vostra insegnante, Quinn.
Mi presentai, per pochi secondi, che a me parvero interminabili, gli occhi di tutti si soffermarono su di me, alla fine Martin rise.
-E' uno scherzo?
-No.
Cercai di sembrare più sicura di chiunque altro, io ero l'insegnate, loro gli allievi, mi dovevano riconoscere il rispetto.
-Io non imparerò da una come te.
Disse un ragazzo alle mie spalle, mi sentivo accerchiata.
-Cominciamo con il vedere che cosa sapete e non sapete fare.
Dichiarai, sperando che cominciassero a prendermi sul serio. Proprio mentre i ragazzi stavano mettendosi in piedi sulla piattaforma,ansiosi mi mostrarmi il loro talento, una voce mi fece sobbalzare.
-Prima facci vedere che cosa sai fare tu.
Hari ci aveva raggiunto dall'angolo pesi e mi guardava dall'alto in basso. Non avevo scelta e poi Justin mi diceva che avevo una buona tecnica, anche se lui probabilmente lo diceva perché mi amava, non perché fosse vero. In quel momento desiderai che fosse accanto a me, ma non per combattere al mio posto, solo per sostenermi.
-Permetti?
La guardia mi prese per mano, come se mi stesse invitando a ballere e mi portò fin sopra la piattaforma, mentre gli altri scesero rapidamente. Hari si posizionò avanti a me e si portò in una posizione di difesa.
-Forza, attacca.
Mi incitò. Pensai a quale fosse la mossa più adeguata da fare, alla fine mi limitai a sferrare un pugno, che però lui parò subito.
-Sai fare solo questo?
Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene, contro me stessa, ovviamente. Avrei voluto avere i muscoli di Martin per metterlo k.o., ma purtroppo non era così. Volevo solo dimostrare di potercela fare. Senza pensarci, cominciai a attaccare numerose volte. Prima un pugno il faccia, che schivò senza problemi, poi una ginocchiata nello stomaco e così via. La cosa che odiavo di più, era il fatto che, nonostante lo colpissi, lui non provava il minimo dolore, alla fine mi fermai. Mi ero stancata di più io a colpirlo che lui a reagire.
-La tecnica è buona, il tuo problema è la forza.
Disse lui facendo spallucce.
-Non ce ne metti abbastanza.
Dovevo ammettere che aveva ragione, il mio problema era sempre stata la mancanza di muscoli. Decisi che mi sarei occupata di fare sollevamento pesi nel futuro, ma per adesso dovevo trovare un modo per essere accettata e rispettata da loro.
-Ma i muscoli non sono tutto.
Dissi dopo un po'.
-Invece sì.
Rispose Martin, cercai di ignorarlo.
-Beh, a meno che tu non abbia delle doti nascoste che possono servire in combattimento, direi che sono tutto.
Rispose Hri. Mi voltai scrollando le spalle.
-Forse hai ragione.
Dissi. Con la coda dell'occhio lo vidi sorridere ai ragazzi, credeva di aver vinto. Proprio in quel momento mi voltai nella sua direzione e gli sferrai un calcio dritto in faccia. Lui rimase stordito e dopo un po' si portò la mano allo zigomo dove lo avevo colpito.
-Una volta mi hanno detto che non bisogna mai abbassare la guardia in un combattimento.
Dissi, anche gli altri ragazzi, che ormai avevano pensato che mi ero arresa, rimasero a bocca aperta.
-Ottima mossa, Quinn.
Disse Hari. Sembrava compiaciuto, ma anche innervosito di aver fatto una pessimo figura. Compiaciuto forse perché credeva di non aver a che fare con un totale disastro.
In quel momento sentii la porta spalancarsi e io mi voltai in direzione di essa. Vidi un ragazzo biondo correre nella mia direzione e subito riconobbi Justin, ma allora non credeva che io fossi appiccicosa, se era venuto a cercarmi.
Aveva quasi raggiunto la piattaforma, quando qualcosa mi colpì e improvvisamente mi sentii stordita e la stanza cominciò a girare. Rimasi immobile a cercare di assimilare in colpo. Hari mi aveva tirato un calcio proprio sotto l'occhio.
-Non avevi detto che bisognava rimnere sempre concentrati?
Era stato più intelligente di me. Mi sentivo in imbarazzo, tutto il rispetto che ero riuscita a conquistare era così svanito nel nulla. Justin, intanto, ci aveva raggiunti e salì sulla piattaforma.
-Ti avevo detto di allontanarti da lei già una volta o sbaglio?
Chiese Justin, con tono minaccioso. Mi cinse con un braccio attorno alla schiena e io mi tirai su, anche se la testa aveva ricominciato a girare.
-Io lavoro con lei, stavo solo testando a che livello era.
Spiegò Hari. Non volevo che Justin avesse per la testa anche me, aveva già tanti problemi da affrontare e solo adesso che era di nuovo corso a salvarmi, sentivo di essere stato un peso per lui per moltissimo tempo, fin da quando avevo distrutto la società.
-Non c'è bisogno di colpirla così forte.
Urlò lui. La sua mano si muoveva su e fgiù lungo il mio fianco, accarezzandomi.
-Me la cavo io, qui.
Dissi.
-Puoi tornare in camera, non preoccuparti.
Sussurrai.
-Non è che può, deve.
Mi corresse Hari.
-O Daniel saprà dei problemi che stai creando e provvederà a punirti, ragazzo.
Justin indietreggiò in silenzio e alla fine scese dalla piattaforma, nonostante tutto non voleva ricevere una punizione. Secondo il codice americano se mai Justin si fosse ribellato a un altro socio sarebbe stato frustato e se poi lo avesse fatto con il capo sarebbe stato ucciso.Non gli conveniva inimicarsi Hari già da subito.
-Ma Quinn viene con me.
Dichiarò dal basso.
-No, stiamo lavorando.
Ribatté Hari.
-Ascolta, sto bene. Questo è il mio incarico e anche se oggi torno con te tanti altri giorni dovrò tornare qui a combattere. Me la caverò.
Dissi inchinandomi verso di Justin. Lui lanciò un'occhiataccia a Hari, non era convinto, avevo paura che lo attaccasse e che finisse male. Mi tirai su, per chiedere a Hari un minuto per parlare da sola con Justin, ma non ebbi il tempo di aprire bocca perché in pochi secondi cominciai a vedere la stanza girare, le orecchie cominciarono a fischiarmi e caddi a terra.  



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