24.

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Abbandono


-Perché ti sei voluta fermare qui? Non mi sembra il luogo adatto.
Justin era incappucciato e con gli occhiali da sole, mi sovrastava con le braccia incrociate e l'espressione contrariata, camminavamo da un bel po', ormai.
-Credimi, è il luogo più adatto di tutti.
Mi voltai verso Annie, attraverso gli occhiali da sole, la vedevo correre attorno a Stivie e ridere, mentre lui faceva finta di non riuscire ad afferrarla. Sorrisi.
-Perché li guardi sempre?
Mi chiese Justin. "Perché vorrei che avessimo un figlio e che tu ti comportassi come Stivie, vorrei che fossi umano con tutti, non solo con me. "Questo era ciò che avrei voluto dire, ma mi limitai a rispondere:
-Annie mi fa tenerezza.
-Sai cosa le accadrà, vero?
Justin aveva la voce spezzata, entrambi stavamo pensando alla stessa cosa, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo ad alta voce. La mia piccola Annie non capiva cosa le accadeva intorno e se lo avesse fatto, di certo non avrebbe saltellato più in quel modo. Per questo avevamo deciso di atterrare a New York e non dall'altra parte del paese, per ora speravamo solo che Daniel non ne venisse a conoscenza. New York era una città pericolosa per me e Justin, ma eravamo così tanto camuffati con occhiali da sole, cappucci e guanti, che il pericolo che la polizia ci riconoscesse era davvero minimo. Sentivo di dover correre quest'ultimo rischio per Annie, altrimenti ciò che era accaduto in precedenza e il mio salvataggio non sarebbe servito a nulla.
Mi voltai di nuovo verso Justin.
-Perché hai comprato dei pantaloni militari ad Annie e non dei leggins neri, come i miei?
Justin sorrise e, nonostante la sciarpa, riuscii a cogliere la brillantezza dei suoi denti.
-Avevo già comprato la maglia nera, come la tua, e la commessa mi ha rimproverato dicendo che non potevo vestire una bambina tutta di nero. Mi voleva vendere qualcosa di rosa, così sono riuscita a convincerla di darmi dei pantaloni militari.
-Avresti potuto cambiare negozio.

Risi.
-No, mi ero già esposto troppo lì, avevo paura che qualcuno mi riconoscesse. Dici che è illeagale far vestire una bambina di nero?
Justin sembrava seriamente confuso.
-Ovviamente no, solo non è usuale.
Justin annuì e mi afferrò per un braccio. Avevamo camminato lungo tutto il parcheggio, alla fine ci eravamo fermati davanti a un'auto grigia e non tanto grande.
-Questa è perfetta.
Tirò fuori un pezzo di metallo e aprì lo sportello, si sedette sul sedile dell'auto rubata e ci aprì dall'interno. Io mi sedetti accanto a lui, mentre Stivie ed Annie sui sedili posteriori.
-Sai come far partire quest'affare, vero?
Stivie sembrava preoccupato, non era un amante del pericolo tendenzialmente e aveva dovuto imparare a convincerci dopo il suo ingfresso nella società. Justin lo ignorò e dopo pochi minuti mise in moto l'auto.
Una volta usciti dal parcheggio cominciammo a muoverci tra le vie di New York, non era la prima volta che mi trovavo con un'auto rubata da Justin, era già accaduto poco prima essere partiti per Berlino, prima dell'asta.
Per tutto il tragitto restammo in silenzio ed Annie si addormentò, stendendosi sul sedile posteriore.
-Che bella.
Sussurrò Stivie, mi voltai, le stava accarezzando una guancia.
-Lo so.
Sorrisi, Annie era la bambina più dolce che avessi mai visto. Allora perché Justin riusciva a non essere toccato da lei? La trattava come se non esistesse o come se fosse un suo dipendente, non era nulla per lui. Mi voltai nella sua direzione,aveva gli occhi puntati sulla strada, erano degli occhi vitrei. Dopo un po' si accorse che lo stavo fissando e mi lanciò un'occhiata, per poi riportare la sua attenzione sulla strada.
-Che c'è, Quinn?
Chiese di fuggita.
-Perché non dici niente?
Nella mia voce si poteva notare una nota di delusione, ma sperai che nessuno ci facesse caso più di tanto.
-Che dovrei dire?
Justin alzò le spalle.
-Non so... qualcosa. Sembra quasi che Annie per te non significa nulla.
Justin si morse il labbro.
-Non è vero, è dolce, e poi è lei che mi trova "antipatico".
-Ma lo fa perché tu la tratti male.

Spiegai. Quelle sembravano solo scuse, Justin mi stava nascondendo qualcosa, lo sentivo. Mi ripromisi di cercare di capire il problema.
-Io non la tratto male, la tratto come tratterei tutti gli altri.
Non ne dubitavo.
-E' questo il problema, è solo una bambina.
-Io non so come ci si comporta con i bambini.
-Beh, non come stai facendo tu.

Mi voltai verso Stivie che aveva appena parlato. Avevo paura che Justin si potesse imbestialire. Quando era solo con me era facile contraddirlo e parlare dei suoi sentimenti,ma con gli altri lui manteneva la sua solita maschera di ghiaccio, anche con Annie, ecco quale era il problema. Stivie stava rischiando tanto a parlare dei sentimenti di Justin ad alta voce. Vidi le dita di Justin stringere forte il volante, le nocche diventarono bianche e la vena del suo collo si ingrossò.
-Non importa, imparerai a stare anche con i bambini.
Mi affrettai a dire, questo lo fece solo innervosire. Trovò un parcheggio e fermò la macchina, poi si voltò contro di me e digrignò i denti.
-Come? Non è vero, Quinn. Non succederà mai.
Urlò, ma subito dopo se ne pentì perché abbassò la testa e deglutì.
-Scusami, non volevo urlare. Scendiamo, forza.
Disse aprendo la portiera. Sembrava sinceramente pentito e io continuavo a pensare che ci fosse qualcosa sotto di cui non voleva parlare. Odiavo questi sotterfugi , l'ultima volta che avevo avuto questo sospetto mi aveva venduta in Germania. Ma questa volta sapevo che non c'entravo nulla io. Aveva ceduto la società a Daniel per me, era chiaro che la nostra relazione era al sicuro.
-Non possiamo scendere qui. Siamo ancora lontanissimi.
Sospirai.
-Non possiamo girare con un'auto rubata, è troppo pericoloso. E lo è anche andare in metropolitana. Da qui in poi procederemo a piedi.
Aveva ragione e, nonostante mi sentissi senza forze, capii che quella era l'unica soluzione. Aprii lo sportello e uscii. Lo stesso fecero gli altri.
Stivie, prese in braccio Annie, che ancora dormiva, e si guardò intorno.
-Da che parte andiamo?
Chiese. Aveva vissuto a New York per tantissimo, eppure non la conosceva per niente, proprio perché era sempre stato chiuso nella società.
-Da qui.
Justin indicò una via e mi prese per la mano, cominciando a camminare al mio fianco.
Al contrario lui era uscito parecchie volte e si sapeva orientare molto bene.
Camminammo per diversi isolati, in silenzio. Quello che eravamo venuti a fare non era una cosa felice per me, eppure sapevo che era l'unica scelta. Justin sapeva che avevo bisogno di silenzio e di una persona alla quale fare affidamento, in quel caso la persona in questione era lui. Per questo si era sentito in colpa in macchina quando invece di ascoltarmi mi aveva urlato contro.
-Ehy...
Sussurrai dopo un po'. Mi appoggiai alla spalla di Justin.
-Che c'è?
La voce di Justin era allarmata, mi posò le mani sulle guance e mi cominciò a guardare dritta negli occhi.
-Ho bisogno di mangiare.
Sussurrai. Justin sbiancò.
-Ok, non ti preoccupare, adesso troviamo qualcosa.
Si guardò in torno e il suo sguardo si illuminò.
-Guarda, lì c'è una gelateria. Ti va un gelato?
Il suo sguardo era preoccupato. Annuii e mi appoggiai alla sua spalla e continuammo a camminare.
-Non sto male, ho solo fame. Sei troppo apprensivo.
-Non è vero, non voglio che ti manchi nulla. Tutto qui.
Decisi di non controbattere e procedemmo in silenzio fino all'arrivo in gelateria. Mi ero dimenticata di quel lato premuroso di Justin.
Una volta entrati, il mio ragazzo raggiunse il bancone e ordinò un cono al cioccolato. Conosceva i miei gusti, la prima volta che avevo mangiato un gelato con lui era stato al cioccolato e lui lo ricordava, sorrisi. Non era cambiato nulla da allora, il nostro amore era forte quanto prima, anzi, dopo che Justin aveva accettato di perdere la società per me, iniziavo a credere che mi amasse ancora di più di prima. Quando la ragazza dietro il bancone mi porse il gelato, cominciai ad assaporarlo. Dopo poco mi sentii subito meglio. Era inconsistente e sapevo che la sensazione di fame non sarebbe diminuita, ma almeno era qualcosa. Mi voltai dietro. Stivie aveva messo Annie a terra, lei intanto si era svegliata e mi guardava con occhi desideranti. O meglio, guardava il gelato.
Mi si avvicinò e rimase in silenzio, alla fine corse verso Justin, che era alla cassa e lo scosse toccandogli i pantaloni. Lui abassò la testa confuso.
-Me lo compri anche a me? Ho fame.
Annie sembrava intimorita, aveva sempre avuto paura di chiedere le cose per sé. Era altruista. Troppo altruista.
Justin, senza dire nulla si voltò verso la donna che mi aveva porto il gelato.
-Me ne può dare un altro?
Chiese. Lei annuì sorridendo e preparò un altro gelato al cioccolato.
-Come si chiama?
Chiese Annie, curiosa.Mi sedetti su una sedia nel locale e le feci segno di avvicinarsi, ma lei rimase al fianco di Justin, che ormai le stava porgendo il gelato preparato dalla donna.
-Si chiama gelato al cioccolato. Ti piacerà.
La piccola non conosceva nulla del mondo lontano dalle mura della società indiana, neanche il gelato. Annie lo afferrò avidamente e cominciò a leccarlo.
-E' buonissimo, grazie.
Continuò a mangiarlo mentre guardava Justin, era chiara la sua gratitudine verso di lui. Quasi come se gli avesse comprato la luna o una stella. In realtà quel gelato non era granché, per questo il locale era quasi completamente vuoto.Anche Justin non poté fare a meno di abbozzare un sorriso.
-E' vostra figlia?
Chiese la donna dietro il bancone divertita. Justin arrossì e indietreggiò, io impallidii. Si generava una situazione imbarazzante ogni volta che io o Justin trattavamo degll'argomento "figli". Prima era necessario che li avessimo, perché Justin era il capo e aveva bisogno di un erede, ma adesso non lo era più,. In più, come dipendenti di Daniel, non ci era permesso averne. Mi sentii angosciata per la prima volta quando pensavo ai miei futuri figli. Noi non ne avremmo mai potuto avere per colpa di Daniel, mai. Smisi di mangiare. Chissà se Justin era triste quanto me, anche se non lo voleva ammettere. Probabilmente per questo non sopportava la vista di Annie, per questo mi aveva risposto male e per questo quando avevo guardato Stivie che giovcava con Annie sull'aereo aveva detto "non succederà mai", si riferiva al fatto che non avremmo mai avuto bambini. Nonostante tutto, anche lui aveva questo desiderio e aveva realizzato prima di me che per colpa di Daniel non l'avremmo mai realizzato.
-E' vostra figlia?
Ripeté la donna.
-No, loro non sono la mia mamma e il mio papà.
Fu Annie a rispondere.
-E chi è?
La donna sembrava diffidente, come se avesse capito che c'era qualcosa sotto. Forse credeva che l'avessimo rapita. Come potevamo biasimarla? Avevamo gli occhiali da sole, i cappucci, non ci poteva vedere il volto, la bambina sembrava aver subito maltrattamenti ed era scheletrica. A quel punto Justin sembrò riprendersi e, facendo finta di nulla si avvicinò al bancone per prendere un tovagliolo.
-L'abbiamo adottata.
Sorrise e si abbassò il cappuccio, per assumere un aspetto più amichevole. Fortunatamente Annie era intenta ad assaporare quella nuova prelibatezza e non si curava di quello che accadeva intorno. La donna sembrò rilassarsi.
-Comunque è una bambina bellissima, forse un po' magra.
-Già, non mangia perché le manca la sua madre naturale.
Sorrisi e mi mostrai amichevole. Justin si abbassò davanti ad Annie e con estrema cura e concentrazione cominciò a pulirle la bocca. La bambina si stava sporcando tutta.Justin l'aveva fatto solo per far vedere che la nostra non era una bugia, ma Annie sembrò contenta di quel suo comportamento dolce e inaspettato. Justin aveva le sopracciglia corrugate e sembrava preoccupato, stava attento a non fare del male a Annie, evitava quasi di toccarla.
-Non puoi farlo dopo? Devo finire il gelato.
Annie protestò, mettendo il broncio.
-Ma sei un disastro, tesoro.
Justin la ignorò e continuò a pulirla, si vedeva che era a disagio con i bambini.
-E tu sei antipatico.
Protestò lei.
-Non si dicono queste cose.
Justin si sollevò e buttò via il tovagliolo sporco, cercava di sembrare un padre premuroso, ma ogni suo sforzo lo trovavo ridicolo e allo stesso tempo dolce e amabile. Avvicinatosi al bancone la donna cercò di riprendere la conversazione.
-Questa bambina sa il fatto suo.
-Lo so, ecco perché le voglio bene.
Justin tornò da Annie e la abbracciò goffamente.

**

Camminammo per almeno un'altra ora, in silenzio e velocemente. La gente non sembrava prestarci attenzione. Continuavo a voltarmi verso Annie. Non sapevo come avrei fatto a vivere senza di lei, ormai mi ero affezionata troppo. Cercavo di pensare che quella era la cosa giusta da fare, ma sapevo che lei sarebbe rimasta sempre nei miei pensieri.
-Voglio andare lì, Quinn.
Mi bloccai. Annie si era liberata dalla mano di Stivie e adesso mi stava tiranddo per la gamba. Mi voltai verso il luogo che stava indicando. Un negozio di giocattoli.
-Mi porti?
I suoi occhi erano enormi e mi guardava con aria implorante, non le potevo dire di no, lei non aveva mai potuto giocare con nessuno, non aveva mai avuto un giocattolo, non potevo farle quello. Soprattutto in un giorno delicato come quello.
-No, è tardi.
Justin continuò a camminare, ignorando il fatto che io ormai mi ero fermata e stavo per entrare nel negozio con Annie. A circa una decina di metri da noi, Justin si accorse che eravamo rimasti dietro e tornò indietro a grandi passi.
-Che fate?
-Le voglio comprare un giocattolo.

Affermai sicura di me, Annie lo meritava più di chiunque altro.
-Con quali soldi?
La domanda di Justin era retorica, era infastidito, ma sapevo che gli sarebbe passato.
-Con i tuoi.
Alzai le spalle, sorrisi e gli stampai un bacio sulle labbra. Così io ed Annie entrammo nel negozio e Stivie e Justin ci seguirono. Credevo che Annie sarebbe rimasta sbalordita per la quantità di giocattoli che non aveva mai potuto avere. Invece mi sorprese come sempre. Si fermò ai primi peluches di animali che vide e cominciò a toccarli tutti e a studiarli uno per uno.
-Guarda Annie, lì ci sono delle bambole. Vuoi le bambole?
-Non c'è.

Mi ignorò e continuò a cercare, anche se non avevo idea di che cosa. Mi inginocchiai accanto a lei.
-Che cosa non c'è?
Annie mi ignorò e continuò nella sua ricerca. Cominciai a mettere in ordine tutti i peluches che aveva sconvolto, non volevo che attirassimo troppo l'attenzione su di noi. Improvvisamente le sue labbra si incurvarono in un sorriso e gli occhi le brillarono. Afferrò un peluches a forma di panda e lo abbracciò.
-Quinn, vorrei questo, me lo compri?
Mi sollevai in piedi.
-Perfetto, un panda.
Le accarezzai la testa.
-No, questo è un orso.
Protestò.
-No, è un panda. Ha le orecchie nere e il corpo bianco.
Cercai di spiegare.
-No, la mia mamma me ne aveva regalato uno così e io dicevo che era un orso.
La sua voce era nervosa, la stavo facendo arrabbiare. Nessuno poteva mettere in discussione le parole della sua mamma. Anche Daniel aveva ricevuto una sgridata da parte di Annie perché l'aveva uccisa. In più non volevo litigare con lei proprio quel giorno tanto importante.
-Va bene, è un orso.
Mi guardai intorno e mi accorsi che Justin e Stivie non erano più con noi. Non sapevo spiegare perché, ma un senso di angoscia mi assalì. Ci avevano abbandonate? Li avevano rapiti? La polizia li aveva riconosciuti? Proprio mentre mi stavo ponendo tutte quelle domande, sentii avvicinarsi qualcuno alle mie spalle. La polizia? Un altro nemico? Mi iniziai a sentire il cuore in gola e cominciai ad andare nel panico. Almeno io ed Annie saremmo dovute scappare, così successivamente avremmo potuto salvare Justin e Stivie.
-Ehy bimba, perché non ti compri questa?
Non appena udii la voce di Justin alle mie spalle mi sentii al sicuro, non erano proprio andati da nessuna parte. Cercai di mostrarmi calma e mi voltai. Non volevo che Justin si preoccupasse ulteriormente per me. Justin teneva in mano una macchinina telecomandata e la mostrava ad Annie, che sembrava diffidente.
-E' bellissima, puoi guidarla dove vuoi.
Stivie leggeva le istruzioni dell'oggetto, mentre Justin sorrideva come un bambino a cui si regala il suo giocattolo preferito. Erano entrambi così immaturi, esaltati per così poco. Risi. Annie li ignorò e mi porse il panda.
-Me lo compri?
Ripeté.
-Certo.
Lo afferrai e guardai Justin, era lui che mi avrebbe dovuto dare i soldi, io non ne avevo.
-Ma come? Questa macchinina è molto meglio.
Justin porse la macchina a Annie e lei la osservò, dopo gliela restituì.
-Non è vero.
Disse semplicemente.
-Invece si.
Justin ed Annie che litigavano mi mettevano tenerezza. Provavo una certa compassione per Justin, che alla fine non riusciva mai ad avere la meglio sulla bambina.
-Perché dovrei volere una macchinina? Ce ne sono tante fuori e sono anche più grandi.
Il ragionamento di Annie non faceva una piega. Justin rimase senza parole e, in silenzio, posò il giocattolo sullo scaffale dei peluches. Tutto il suo entusiasmo era svanito. Una bambina era riuscita a sembrare più matura di loro, anche Stivie posò le struzioni accanto alla macchinina con non-chalance. Dovevano sentirsi fortemente imbarazzati.
-Va bene. Prendiamo il panda.
Justin afferrò il peluche dalle mie mani, con fare rassegnato.
-Orso.
Lo corressi io. Annie mi sorrise.
-Panda.
Ripeté Justin come se fosse ovvio, sembrava cofuso.
-E' un orso.
Ripeté Annie, il suo tono era determinato.
-Va bene, compreremo l'orso.
Justin sbuffò e si incamminò verso la cassa. Risi ancora e abbassai gli occhi su Annie. Stava ridendo, spensierata e felice come non lo era mai stata. Anche lo stesso Justin aveva iniziato a prenderci confidenza dopo aver fatto finta di essere suo padre. Anche io avrei voluto essere piccola e ingenua come lei. Mi sentii un peso sullo stomaco. Da quando conoscevo Annie non facevo che ridere per il suo caratterino, che causavano tutte quelle liti con Justin, ma come avrei fatto senza di lei? Sapevo che prima o poi ci saremmo divise fin da quando l'avevo salvata, ma speravo che quel fatidico giorno non sarebbe mai arrivato. Poteva vivere solo una donna all'interno della società e quella ero io. Una volta cresciuta Annie sarebbe dovuta morire per lasciare il posto a me o io mi sarei dovuta sacrificare, ma Justin non lo avrebbe mai permesso, per quello avevo preso una decisione. Annie non sarebbe venuta con noi a Los Angeles. Sarebbe rimasta a New York. Speravo solo che dopo il mio abbandono se la sarebbe cavata lo stesso.   


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