21.

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Vetro


Socchiusi gli occhi e vidi una figura sovrastarmi, mi aveva afferrato da sotto le ginocchia con un braccio e con l'altro mi teneva le spalle. Mi trovavo nella stessa situazione accaduta la prima volta che avevo messo piede in India, mi ero svegliata tra le braccia di un socio che era incaricato di partarmi nella stanza con le ragazze. Mi avevano rapita di nuovo? Mentre la prima volta avevo cercato di sfilare un'arma dalla sua cintura per difendermi, adesso ero bloccata dalla paura. Spalancai gli occhi e urlai, sperando che Justin mi venisse a salvare di nuovo. Davanti a me, però non c'era un socio di Daniel, ma un ragazzo biondo, con le guance scavate e l'espressione confusa.

-Scusami.
Dissi quando realizzai che a portarmi era Justin, questi mi appoggiò delicatamente sul letto e rimase qualche secondo a fissarmi, mentre io ero in imbarazzo per la figura che avevo fatto. Prima di allontanarsi mi accarezzò una guancia con le nocche della mano. Lo fissai per tutto il tempo finché non raggiunse l'atro lato del letto a una piazza e mezzo e si sedette sul bordo, mostrandomi le spalle. Si sfilò la maglietta, così mi trascinai accanto a lui e posai una mia mano sulla sua schiena. Lui si voltò verso di me.
Mi fissò con lo stesso sguardo di prima, ma nessuno sembrava avere intenzione di parlare.
-Ti sei addormentata sul divano, ho aspettato un'ora, alla fine ti ho presa in braccio per portarti qui. Non volevo che ti svegliassi e tantomeno che...
Si bloccò e lasciò cadere il discorso. Mi tirai su e appoggiai la schiena alla spalliera del letto, sedendomi sui cuscini.
-Che mi ti urlassi contro?
Finii la frase con una nota di dubbio.
-Che ti spaventassi.
Mi corresse. Così dicendo si voltò del tutto verso di me e si sedette alla mia sinistra. Solo allora riuscivo a vedere il suo torace. Era più magro e pallido di quanto ricordassi.
-Non mi hai fatta spaventare tu, ho solo avuto un flashback.
Spiegai, sperando che quello lo avrebbe fatto sentire meglio.
-Un flashback che risale alla società. Vero?
Abbassò la testa e cominciò a rigirarsi le mani e a conficcarsi le unghie nella carne.
-Smettila.
Posai una mia mano sulle sue e lo costrinsi a evitare che si mutilasse ancora. Rimase in silenzio a testa bassa.
-Lo hai promesso.
Gli ricordai. In Russia ero riuscita a farmi promettere che non si sarebbe più fatto del male, solo perché si era pentito di ciò che aveva fatto. Non aveva senso che soffrissimo tutte e due.
-Ma sono tante le promesse che non ho rispettato. Dico bene?
Si voltò verso di me e a quel punto fui io a distogliere lo sguardo. Mi aveva promesso che non mi avrebbe mai abbandonata, mai fatta soffrire, ma alla fine mi aveva venduta e a causa sua ero finita nelle mani di Daniel.
-Già.
Sapevo che non l'avrebbe aiutato, ma era esattamente ciò che pensavo e lui lo doveva sapere. Aveva infranto le promesse e non ero sicura neanche che mi amasse davvero a quel punto. Comunque anche mettendo da parte la promessa di amarmi per sempre, si era dimostrato un bugiardo.
-Già.
Ripeté lui annuendo.
-Qualunque cosa dirò o farò non mi aiuterà a riconquistarti, vero?
-Tu non mi hai perso, sono io che ho perso te. Io ti amo ancora, ma tu? Tu sei sicuro di farlo ancora?
A quel punto ci stavamo guardando negli occhi. I suoi erano lucidi e gonfi, probabilmente i miei erano nelle stesse condizioni.
-Sì, sono sicuro.
Aspettavo che cominciasse a parlare, che mi spiegasse, ma lui non sembrava volere prendere il discorso. Decisi che la cosa giusta da fare era aspettare che si sentisse pronto, non serviva a nulla obbligarlo.
-Quinn..
Sussurrò dopo un po'.
-Si?
-Non è stata una mia idea venderti.
Affermò di punto in bianco. Stava cercando di addossare la colpa a qualcuno?
-Di chi allora?
Chiesi.
-Paul.
Di nuovo quel nome. Il nome di quel ragazzo che era stato socio di Justin, poi di Daniel, dopo aveva cercato di aiutare me. Mi chiedevo da che parte stesse. Il fatto che aveva deciso lui di vendermi mi faceva supporre che fosse dalla parte dell'India e basta. Ma allora perché mi aveva cercato di aiutare quando Daniel aveva tentato di uccidermi? Era stato grazie al suo sguardo e alla sua richiesta di prendere tempo che avevo deciso di reagire ed escogitare un piano per ritardare la mia morte il giorno precedente.
-Paul?
-Devi sapere... -sospirò- quando ero in carcere Paul mi aiutò a evadere. Non fu difficile, ma lui stava anche cercando un modo per fondare di nuovo la società a New York. Avevamo bisogno di soldi e l'unico modo per ottenerne abbastanza era...
Mi indicò, ma non riuscì a proseguire la frase.
-Quindi lui ti ha convinto a vendermi.
Dedussi. Era stato davvero così semplice trattare la sua fidanzata come merce?
-E alla fine ti sei pentito e sei venuto a salvarmi. Commovente.
Con un nodo alla gola chinai il capo. Avevo pensato che ci fosse una motivazione migliore, non poteva davvero essere andata così. Non potevo più fidarmi di Justin.
-Non esattamente.
Continuò come se nulla fosse.
-Sapevo che venderti era l'unico modo per raggiungere una buona somma di denaro, tutti avrebbero pagato per avere te e per ricattarmi o semplicemente conoscere i miei segreti, i miei piani. Il mio intento, anzi il nostro intento, era quello di venirti a prendere massimo tre giorni dopo. Infondo tutti avevano paura di me e, in più, non è difficile accedere nelle altre società. Tutto mi sarei potuto aspettare meno che Daniel. Siamo rivali da sempre e quel giorno non sarebbe dovuto esserci. Quando ho visto che era stato lui a comprarti mi sono sentito male. Sapevo che non ti avrei più rivista. Prima di lasciare la sala ti ho detto "addio" mentalmente, avevo intenzione di far qualcosa, ho cercato di darti una speranza quando ho mosso e labbra per dirti di aspettarmi, ma tu non sembrava che mi riuscissi a capire da quella distanza. Poi ti ho vista nel panico, hai indietreggiato e alla fine mi hai urlato contro "codardo" e quello è stato il momento peggiore, quando ho capito che anche se un giorno ti avessi voluta salvare tu non mi avresti accettato più.
Sembrava volesse dire qualcos'altro, ma le parole gli morirono in gola, mentre i singhiozzi costituivano l'unico suono che riusciva ad emettere.
-Quindi tu non mi volevi abbandonare?
Alzai le sopracciglia, sorpresa, felice e commossa. Lo aveva solo persuaso Paul. Lui mi amava davvero.
-No, pensavo di venirti a prendere presto. Te lo giuro, non credevo che ti avrei condannato a questo.
Mosse le mani in aria, in modo da formare una circonferenza per indicare il posto in cui ci trovavamo. MI lasciai cadere sul suo petto, lui perse l'equilibrio e cadde sul letto, lateralmente, sbattendo la testa al muro. Un "aia" uscì involontariamente dalla sua bocca mentre io risi debolmente. Mi posizionai meglio sul suo torace, con la guancia contro la sua pelle e, involontariamente, cominciai a piangere, di gioia però. Justin cominciò ad accarezzarmi la schiena e la testa. Quando si accorse che le mie lacrime gli stavano bagnando la pelle cominciò a preoccuparsi.
-Quinn, non piangere. Va tutto bene. Non accadrà più.
Mi costrinse a rialzarmi e anche lui si tirò su di nuovo.
-Sto bene, sono solo felice.
Sorrisi e un'altra lacrima scese giù per la guancia sinistra. Lui allungò la mano e la asciugò, come se non avesse mai smesso di farlo, neanche dopo sei mesi. Come se il giorno precedente fosse stato l'ultima volta che mi aveva dovuta consolare.
-Sono così fortunato ad averti.
Quelle parole gli uscirono dal cuore, non lo faceva per impressionarmi o per chiedermi scusa, era davvero ciò che pensava.
-Non ti lascerò più.
Dissi abbracciandolo. In realtà l'affermazione non aveva molto senso perché, di fatto, era stato lui a lasciare me e non viceversa. Ma ero troppo serena per pensarci. Dopo tutti quei mesi nella sofferenza solo il fatto di averlo lì accanto a me, mi riempiva il cuore. Non volevo baci e abbracci, volevo solo che tutto tornasse come prima, volevo solo averlo sempre con me.
-Neanche io.
Disse, ricambiando l'abbraccio.
-Non capisco una cosa, perché non me lo hai detto? Tutto questo tempo mi sarei sentita protetta lo stesso, anche se non eri con me.
Precisai.
-Non volevo che ne fossi al corrente, magari ti avrebbero fatto delle domandae a te sarebbe sfuggito qualcosa e ti avrebbero uccisa o non mi avrebbero permesso di raggiungerti. Meno sapevi, meglio era. Ma alla fine, quando mi sono accorto che l'operazione di salvataggio avrebbe richiesto più di tre giorni, ti ho iniziato a mandare biglietti, ti ho portato Stivie, in modo che, riconoscendo un amico, ti saresti sentita meno sola.
-Ma io non ho letto i biglietti e non ho riconosciuto Stivie.
Lo interruppi. Avevo nascosto tutti i fogli trovati sotto i piatti, sotto il mobile accanto a me e Stivie aveva la mascherina, per cui non ero riuscita a rendermi conto di chi fosse.
-Io ti ho sempre protetta, anche se ti sentivi sola. Sono sempre stata accanto a te. Volevo che Chirag si prendesse cura di te ed ero felice che eri riuscita a trovare due amiche. Quando ho saputo che Daniel avrebbe fatto uccidere Fhara ho dato a Nawal un Iberis, lui non sapeva che sarebbe morta, ma speravo che spiegandogli il significato del fiore si sarbbe sentito meglio dopo la perdita. Del resto, so come ci si sente a perdere una persona che ami.
Mi accarezzò la guancia e avvicinò il viso al mio.
-Quando ho visto l'Iberis, ho capito che era opera tua.
Appoggiai la mia mano sul suo collo e mi portai più avanti con il corpo. A quel punto i nostri nasi dsi sfioravano. Justin rimase in silenzio a fissarmi, toccava a me farmi avanti perché lui, probabilmente, non avrebbe fatto nulla, si sentva troppo in colpa. Chiusi gli occhi e posai le mie labbra sulle sue. Lui portò una mano sulla mia schiena e cominciò ad accarezzarla delicatamente. Io mi limitavo ad accarezzare il suo petto, perché più in basso sentivo le costole sporgere e mi faceva ricordare la pena che avevamo provato entrambi, in quel momento non volevo ripensare a Daniel o alla società. Era un momento mio e di Justin, e di nessun altro.

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