25.

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Camminammo per un altro po', finché non raggiungemmo delle strade ben note per me. Più ci avvicinavamo più la tensione aumentava e non riuscivo a distogliere gli occhi da Annie. Teneva per mano Stivie e con l'altro braccio avvolgeva il peluche del panda che era alto quasi quanto lei. Era tenerissima. Mi strinsi a Justin.

-Andrà tutto bene.
Mi sussurrò nell'orecchio. Subito dopo mi schioccò un bacio sulla guancia. Non dissi nulla e appoggiai la testa sulla sua spalla.
-Ti ricordo che non la stai abbandonando, lo fai per lei.
La voce della verità. Justin aveva ragione, ma per lui era facile dirlo visto che non era legato ad Annie come lo ero io. Annie non poteva venire con noi a Los Angeles. Justin non era più il capo della società, ma, dal momento che nessuno poteva abbandonare la società se non scappando in un'altra, io e lui eravamo diventati semplici dipendenti di Daniel. La verità era che lo stesso Jsutin non sarebbe stato capace di abbandonare la vita nella società, probabilmente lo stesso valeva anche per me, perché ormai mi ero abituata al pericolo. Justin aveva ceduto la sua società a Daniel per salvarmi, ma adesso toccava a me stargli affianco e sorreggerlo se voleva continuare a vivere lì. Del resto in America o in un'altra società del mondo saremmo stati sempre dipendenti. Tanto valeva non rischiare per provare a scappare, se ci avessero scoperto ci avrebbero ucciso. Quei pensieri mi distrassero da Annie, ma mi sentii di nuovo agitata non appena fummo nel vicolo, sull'asfalto che io stessa avevo calpestato innumerevoli volte e dove avevo commesso degli omicidi, prima di ricongiungermi con Justin.
-Ci siamo.
Justin si fermò e mi mise una mano sulla spalla. Lanciai un'occhiata all'abitazione dall'altra parte della strada. Mi accertai che non ci fosse nessuno in giro e mi inginocchiai davanti a Annie. Dovevo trovare le parole giuste per dirglielo. Questa volta non potevo chiedere l'aiuto di Stivie, era compito mio affrontare la situazione. Justin e Stivie mi sovrastavano con i loro corpi, mentre io cercavo di trattenere le lacrime. Feci un respiro profondo.
-Annie...
Cominciai.
-Ti ricordi quando Daniel mi ha fatto del male e io ti ho chiesto di non guardare?
La bambina annuì.
-Tu hai obbedito e io ti ho promesso un regalo, che non hai ancora ricevuto.
-Si invece! Mi hai regalato l'orso!
Annie sorrise e mi avvicinò il panda.
-Questo non te l'ho fatto io, questo è un regalo da parte sua.
Indicai Justin, Annie alzò lo sguardo verso di Justin e sorrise.
-Grazie.
Justin le accarezzò la testa con una mano tremante e Annie abbassò di nuovo lo sguardo su di me.
-Io ti faccio un nuovo regalo, va bene?
Annie annuì.
-Ti do una cosa che non hai mai avuto, una famiglia.
Annie rimase in silenzio, non capiva e io non potevo credere di averlo detto ad alta voce, perché se lo avevo detto significava che era vero.
-Quinn, tu sei la mia famiglia.
Annie mi si buttò addosso e mi abbracciò felice. La allonatanai senza ricambiare l'abbraccio. Gli occhi mi si stavano appannando e dovetti ripetermi che lo facevo per il suo bene. Non potevo essere così egoista. Lei meritava una situazione stabile, una nuova mamma e un nuovo papà.
-Annie, non intendo questo.
Indicai la porta della casa dall'altra parte della strada.
-Lì ci sarà la tua nuova famiglia.
Le accarezzai la testa.
-Avrò una nuova mamma e un nuovo papà?
Il suo sguardo si illuminò. Credevo che si sarebbe offesa con me, che mi avrebbe odiato per tutta la vita, invece sembrava felice.
-Sì.
Questo mi diede la forza per andare avanti.
-Sei una brava bambina e meriti tutto il bene del mondo. Credimi, vivrai bene con loro. Soprattutto in questo periodo credo che abbiano tanto affetto da dare a qualcuno e a chi se non a te?
Mi morsi il labbro, lei era tutto ciò che mi legava a Fhara. Ero riuscita a salvare almeno lei, questo mi aiutava a non sentirmi un totale fallimento. Annie si voltò verso la casa e sorrise.
-Voglio conoscerli, andiamo.
Si allontanò da me e, una volta in mezzo alla strada, si accorse che io non la stavo seguendo. Ecco perché era tanto felice, lei non aveva capito cosa stava per accadere. Rimasi immobile inginocchiata per strada, se avessi mosso anche un solo muscolo, mi sarei messa a piangere. Se avessi distolto anche solo per un attimo l'attenzione dalle lacrime che minacciavano di riempirmi gli occhi, sarei scoppiata in un pianto disperato. Annie tornò da me e mi accarezzò la testa, probabilmente imitando il gesto di Justin di poco prima.
-Che c'è? Quinn?
Chiese, posizionandosi davanti a me. I suoi occhi erano scuri e profondi, le sopracciglia erano leggermente inarcate, mentre esprimeva la sua confusione. L'unica cosa che riuscii a fare fu scuotere impercettibilmente la testa.
Annie alzò lo sguardo verso Stivie, che era nelle mie stesse condizioni. Visti i precedenti, la bambina aveva ormai capito che Justin non le avrebbe dato una spiegazione, così non le passò neanche per l'anticamera del cervello di voltarsi verso di lui. Non per la prima volta, però, Justin mi sorprese. Si inginocchiò accanto ad Annie e le accarezzò un braccio.
-Vedi, Annie, Quinn non verrà con te.
Rimasi colpita da come Justin finalmente fosse riuscito a chiamarla per nome e non più "bimba". Inoltre nel suo tono non c'era più quella nota dispregiativa tipica di quando parlava con Annie.
-Vieni tu?
Chiese Annie, stringendosi al peluche.
-No, non verrà nessuno. Questa è la tua nuova famiglia e dovrai affrontarli da sola, va bene?
Annie si voltò verso di me e io annuii, Justin aveva ragione. Nel giro di pochi secondi vidi gli occhi di Annie ingrossarsi e allargarsi, le lacrime cominciarono a scorrerle giù per le guance e in quel momento non ce la feci più. Tutte le lacrime che avevo trattenuto si liberarono e la vista mi si appannò. Cominciai a singhiozzare nascondendomi il viso tra le mani.
-Ehy, ehy, Quinn, non piangere.
Stivie mi posò una mano sulla spalla, ma io non volevo ascoltarlo. Come sarei vissuta senza Annie? La piccola bambina che mi aveva fatto tanta tenerezza stava andando a vivere senza di me. Non la avrei mai più vista, una volta cresciuta non avrebbe mai più potuto avevre dei rapporti con me, avrebbe capito che anche io ero stata un'assassina, che ero una ricercata e che di certo non ero un buon modello da seguire, come credeva lei. Non avrei mai conosciuto il suo volto, una volta matura, l'unica cosa che avrei ricordato sarebbe stata la sua espressione da bambina innocente e confusa. Speravo solo che lei si sarebbe ricordata per sempre di me, ma non era possibile, era troppo piccola per conservare un ricordo così a lungo. Probabilmente dopo un gelato o delle caramelle da parte della nuova famiglia, non avrebbe più pensato a me e tanto meno a tutto quello che aveva passato in India, forse era meglio così per lei.
-Quinn, Annie, ascoltatemi.
Justin richiamò la nostra attenzione. Scostai le mani dagli occhi e mi asciugai le lacrime.
-Quinn, non devi piangere, hai trovato un posto dove stare a Annie, un posto dove si troverà bene e avrà tutto ciò di cui ha bisogno.
Justin si voltò verso Annie, che tirava su con il naso e singhiozzava silenziosamente.
-Annie, tu non devi piangere perché anche se non vedrai più Annie o Stivie, avrai una mamma e un papà e potra andare a scuola, mangiare il gelato, avere tanti amici e non ti preoccuperai più di nulla, chiaro? Starai bene.
Annie non sembrava particolarmente convinta, ma almeno aveva smesso di singhiozzare.
-Non fare così, tanto lo so che piangi perché sai che ti mancherò io.
Justin le pizzicò una guancia e lei accennò un sorriso.
-Tu non mi mancherai, sei antipatico.
Justin sorrise.
-Come sempre.
Sbuffò e si tirò su. Annie a quel punto si girò verso di me.
-Quinn, ho paura che tu ti dimenticherai di me.
La sua voce era debole.
-Non accadrà mai.
La strinsi tra le mie braccia e la tenni forte contro il mio petto. Lei lasciò cadere il panda pur di abbracciarmi, le sue braccia, però, non riuscivano ad avvolgersi completamente attorno a me, perché erano troppo corte. Quello sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio, avrei voluto che non finisse mai. Le diedi un bacio in fronte e la allontanai da me.
-Forza, è il momento di andare.
Mi alzai in piedi e lei afferrò il panda da terra.
-E se non gli piacerò?
Mi chiese con aria preoccupata, non potrebbe succedere, tutti ti vorrebbero bene. Anche io te ne ho voluto dalla prima volta che ti ho vista.
Le sorrisi e le porsi una lettera, che avevo nella tasca della felpa.
-Questa la devi dare alla persona che ti verrà ad aprire, va bene?
Annie annuì.
-Ciao.
Disse voltandosi verso Justin e Stivie.Loro la salutarono con la mano e sorrisero.
-Non mi dimenticherò neanche di voi.
Disse. Questo sembrò far muovere Justin e Stivie, che sorrisero.
-Ciao principessa.
Disse Stivie. Annie si aspettava che anche Justin dicesse qualcosa, ma alla fine rinunciò, visto che Justin non sembrava più intenzionato a farlo.
-Ciao, bimba.
Disse alla fine, Annie si voltò verso Justin e sorrise.
-Ciao antipatico.
Justin la salutò con la mano e lei cominciò ad incamminarsi più spedita verso la porta. Una volta lì, mi abbassai e la abbracciai un ultima volta.
-Ciao, piccola.
-Ciao, Quinn.

Mi alzai.
-Ti prometto che non ti dimenticherò mai.
Mi disse, non potei fare a meno di trattenere le lacrime.
-Tu mi hai salvato la vita.
Spiegò.
-E tu hai dato vita alla mia.
Le accarezzai la testa e bussai alla porta. Rimasi qualche secondo ad aspettare, no, non sarebbe stata una buona idea rivederli. Corsi dall'altra parte della strada e lanciai un'ultima occhiata ad Annie. Prima che venissero ad aprire io, Justin e Stivie, riuscimmo solamente a nasconderci dietro un cassonetto della spazzatura, proprio davanti alla casa.
Mi sporsi per vedere chi era andato ad aprire. Era cambiato tantissimo, l'uomo davanti ad Annie era molto più stressato di quando l'avevo visto l'ultima volta. Dopo un po' arrivò anche una donna, ciò che avevano in comune i due erano gli occhi malinconici e l'espressione vuota, si guardarono intorno.
-Ciao, chi sei?
Chiese l'uomo. Annie abbassò la testa e si strinse il peluche contro il corpo.
-Dove è la tua mamma?
Chiese la donna chinandosi su di lei. Mi mancavano quelle sue attenzioni, non lo avrei mai detto quando, da piccola non riuscivo a sopportare i suoi comportamenti, adesso avrei pagato per stare dieci minuti con lei, ma se l'avessi fatto sarebbe stato più difficile per lei dirci addio di nuovo.
-E' morta.
Rispose Annie, le porse la lettera e la donna la prese in mano. Non appena cominciò a leggerla con l'uomo, un sorriso gli si formò sul volto. Sapevo a cosa stavano pensando, che la loro figlioletta era ancora viva.
"Cari mamma e papà" questo era il modo in cui la lettera cominciava, e loro sapevano che era la mia scrittura.
Improvvisamente mia madre si mise una mano sul cuore, probabilmente aveva raggiunto il punto in cui parlavo di Annie.
"Lei è una bambina che ho conosciuto in India, lì hanno ucciso sua madre e lei è stata rapita,ha subito molti maltrattamenti fisici e finalmente io sono riuscita a liberarla. Lei è una delle mie migliori amiche e vi assicuro che è speciale. Per cinque anni non aveva mai versato una lacrima, nonostante tutto, ed è molto intelligente, capisce sempre ogni cosa che le spieghi. E' dolce e vi assicuro che è la bambina più solare che abbia mai conosciuto, non è capricciosa, ma modesta. L'unico difetto è che è un po' testarda, il mio ragazzo dice che mi somiglia. Prima di adesso non aveva mai visto il cielo e non aveva mai posseduto un giocattolo o avuto un padre. Non ricorda quasi nulla di sua madre, ma adesso sa che è morta."
Una lacrima scese per la guancia di mia madre. Era quasi arrivata alla conclusione.
"Se io fossi stata una bambina come lei, voi mi avreste amato lo stesso, vi chiedo di prenderla in custodia e non farle mancare nulla, perché ha bisogno di qualcuno che le voglia bene. Con me purtroppo non sarebbe al sicuro. So che vi manco, ma credetemi se vi dico che renderebbe la vostra vita migliore."
Mia madre tra le lacrime ripiegò la lettera e abbracciò Annie, finalmente riuscivo a vederla come la donna che mi amava, non come una sconosciuta dagli occhi vitrei. Anche mio padre sembrava più sereno, anche felice. Così come Annie meritava una mamma e un papà, loro meritavano una figlia che non li abbandonasse come avevo fatto io. Lo sapevo che avrei potuto fidarmi di loro.
-Ti chiami Annie, quindi.
Disse mia madre sorridendo, aveva avuto la conferma che sua figlia fosse viva, ecco perché era così felice.
-Si e tu?
Chiese Annie, riuscivo a vederle solo i capelli, ma immaginavo che fosse arrossita.
-Mi puoi chiamare mamma.
Disse lei accarezzandola. Mio padre la prese in braccio e sorrise.
-E lui chi è?
Chiese indicando il panda.
-Si chiama Quinn.
Mia madre si morse il labbro e cominciò a piangere ancora di più.
-Abbiamo un panda che si chiama Quinn.
Disse lui sdrammatizzando.
-Un orso.
Sussurrai, avrei voluto essere lì a correggere mio padre, ma soprattutto a consolare mia madre.
-E' un orso.
Disse Annie contrariata.
-Va bene, un orso.
Mio padre sorrise e indietreggiò con Annie in braccio.
-Qui bisogna cucinare una bella bistecca per mettere su del peso, signorina.
Disse mia madre, mentre si asciugava le lacrime.
-Mary, sono d'accordo con te.
Questo significava che l'avevano accettata, sarebbe diventata loro figlia.
-La prenderemo in custodia perché non possiamo abbandonarla... e anche per Quinn.
Disse mia madre, sorridendo. Era serena, finalmente, così come mio padre. Ero riuscita a farmi perdonare, loro non mi avrebbero mai più riavuta, ma avevo un'altra occasione.
Annie rise e si scostò i capelli dal volto. Anche lei era felice, non potevo sentirmi più appagata. Prima che mia madre chiudesse la porta vidi Annie, voltarsi nella nostra direzione, lei sapeva dove eravamo nascosti e ci individuò subito. Mi rivolse un sorriso riconoscente e la porta si chiuse, facendo in modo che l'ultima immagine di Annie e dei miei genitori fosse il ritratto della serenità.

**

Una volta all'ingresso Justin si tolse gli occhiali e la felpa, lo stesso facemmo io e Stivie. Lì dentro la temperatura era troppo elevata. Nessuno osava parlare, Stivie sapeva che non era un buon momento per noi , mentre io non avevo granché da dire.
Dovevamo affrontare la realtà, ma nessuno aveva la forza sufficinente a farlo. Io stessa continuavo a pensare a Annie e ai miei genitori.
-Forse sarebbe il caso di andare.
Sussurrò Justin dopo un po'. Io non riuscivo a guardarlo negli occhi, perché sapevo che stava soffrendo, anche Stivie evitava il suo sguardo. Mi limitai ad annuire. Justin si diresse verso la porta e abbassò la maniglia, con esitazione.
Tutti e tre dopo poco uscimmo. Stivie si allontanò da noi due, lui era già vissuto in quel posto per un breve periodo e conosceva la sua stanza, non era il caso che si facesse vedere in giro con noi.
In silenzio così, io e Justin procedemmo da soli. Le pareti della nuova società erano spoglie quanto quelle di New York, l'arredamento non era particolarmente studiato e sui lunghi corridoi si susseguivano due file di porte che si aprivano ognuna su una stanza diversa.
Justin camminava subito davanti a me e io lo seguivo a grandi passi, non ci imbattemmo in nessun problema fino a quando fummo da soli. Una volta, però, aver raggiunto l'ala ovest della società, l'attenzione degli uomini e dei ragazzi che erano intenti a camminare per i corridoi per portare a termine il loro lavoro fu catturata da noi. Man mano che camminavamo i loro occhi si puntavano su di noi, alcuni indietreggiavano spaventati, i più spavaldi restavano dove erano. Riuscivo a decifrare la paura nei loro occhi. Loro credevano che Justin fosse ancora il capo e lo rispettavano, non erano abituati a vederlo lì, per questo non sapevano come comportarsi.
Iniziai a sentirmi a disagio, quando mi accorsi che i loro occhi desideranti si soffermavano un po' troppo su di me. Mentre i soci di New York prima di me avevano conosciuto Alice, la sorella di Justin, questi di Los Angeles, non avevano mai visto una donna e ai loro occhi potevo sembrare quasi una creatura leggendaria. Mi ero dimenticata cosa significasse stare al centro dell'attenzione nella società, perché in India di donne ce n'erano in abbondanza. Justin, comunque, camminava a testa alta e ignorava tutti gli sguardi, non lanciava neanche occhiate minacciose a coloro che mi fissavano, sapevo che ormai non avrebbe potuto aggredirli, torturarli o ucciderli, solo che loro non ne erano al corrente. Alla fine non ce la feci più, superai Justin e lo afferrai per una mano, lui non ricambiò la stretta. Quando eravamo con gli altri soci non aveva mai voluto mostrare il suo amore per me, ma in quel momento avevo bisogno che mi tenesse la mano perché, per la prima volta dopo tanto tempo, iniziavo ad avere di nuovo paura di quelle occhiate e di quel posto. A new york mi ero abituata perché la gente aveva iniziato a temermi, ma a Los Angeles conoscevano solo il mio nome e la mia storia, non avevano paura di me. E se,essendo l'unica donna, avessero ricominciato a violentarmi e a torturarmi? Questa volta Justin non mi avrebbe potuto difendere.
Probabilmente sbiancai e, nonostante l'attenzione di tutti rivolta verso di noi, Justin mi strinse la mano e ricominciò a camminare al mio fianco. Dopo circa dieci minuti raggiungemmo quella che doveva essere la nostra stanza.
-Milleventi.
Sussurrai. Era il numero inciso sulla porta.
-E' il mese e il giorno in cui ci siamo incontrati, cioè il 20 Ottobre.
Spiegò Justin, ho scelto io questa stanza, tra le tante.
-Non lo sapevo.
Fu l'unica cosa che riuscii a dire, lui si era segnato il giorno in cui ci eravamo incontrati, mentre io a momenti ricordavo il mese. Mi sentivo in colpa.
-E' cambiato tanto da allora.
-Sì, per esempio la società non è più mia.
Si lasciò sfuggire.
-Intendevo tra me e te.
Arrossii. Era colpa mia se Justin aveva dovuto lasciare la società nelle mani di Daniel. Sicuramente, invece, tra me e lui era cambiato tanto. La prima volta che mi aveva incontrato mi aveva colpito allo stomaco con un pugno, adesso, invece, non si sarebbe mai sognato di farlo. Ormai, difronte alla porta della nostra stanza nessuno badava più a noi, perché il corridoio delle residenza era quasi vuoto, tutti a quell'ora stavano lavorando, non potevano essere in camera, ciò spinse Justin a stringere il mio viso tra le sue mani e a baciarmi delicatamente. Il suo comportamento mi fece sentire subito meglio. Mi rivolse un sorriso un po' forzato e mi accarezzò la nuca.
-Solo perché è cambiato tanto non significa che non vivremo bene in queste nuove condizioni. Non sappiamo cosa ci riserva il futuro, Quinn.
Spiegò. Mi sentii un po' meglio, aveva ragione. Non mi dovevo sentire in colpa, lui aveva scelto me e non la società perché mi amava, questo era l'importante. Peccato che quel sorriso sulla bocca di Justin sembrava, più che di incoraggiamento nei miei confronti, di autoconvinzione. Justin non credeva nelle parole che aveva appena detto.


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