19.

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Mano nella mano


Mi sedetti al mio solito posto, con il cuore in gola. E così il grande giorno era arrivato. Justin sarebbe venuto a prendermi. A prenderci.
Avvicinai Annie tirandola per un braccio. Lei non mi aveva sentita entrare e, inizialmente, sembrò contrariata di quella mia azione, subito dopo, però, mi vide e si rasserenò. Non avrei voluto comportarmi da prepotente con lei, ma avevo bisogno che non si allontanasse da me quel giorno. Tanto per cominciare sentivo il bisogno di qualcuno che mi volesse bene vicino e , in più, non sapevo come si sarebbe svolto il piano di Justin. Se fossimo dovuti scappare in fretta, dovevo avere Annie accanto, per caricarla in spalla e portarla con me.
-Quinn, pensavo non tornassi più.
Disse con gli occhi tristi.
-Non ti lascerei mai.
Le sorrisi e questo sembrò rasserenarla, infatti, si sedette sulle mie gambe e posò la testa sul mio petto. Le accarezzai i capelli. Una semplice bambina aveva la capacità di distrarmi dal nuovo tormento che mi turbava l'animo.
-Saresti stata la terza persona.
Mi sentii impallidire. Probabilmente si riferiva alla madre e a Fhara. Improvvisamente non ero più in colpa per la decisione che avevo preso per salvarmi dalle grinfie di Daniel, se non l'avessi fatto adesso sarei morta, Annie non avrebbe più nessuno e avrei mancato alle mie due promesse per lei: portarla fuori e farle un regalo perché era stata ubbidiente e aveva seguito le mie istruzioni quando mi avevano frustata.
-Non lo dire neanche per scherzo, io non ti lascerei mai.
Le diedi un bacio sulla testa.
-Non sei tornata per una notte intera.
Mi accusò la bambina.
-Scusa, ti avrei dovuto avvertire.
Fu l'unica cosa che riuscii a dire, non era una cosa di cui andavo fiera ciò che avevo fatto.
-Tanto io lo so che mamma e Fhara torneranno, me lo ha detto la mamma.
Disse alzando lo sguardo verso di me e sorridendo. Non sapevo se alimentare le sue vane speranze e aspettare che capisse da sola che non sarebbe successo o spiegarglielo io. De resto non ero una madre e non avevo mai dovuto affrontare problemi di questo tipo, non avendo neanche fratelli minori.
-Si, certo.
Dissi alla fine.

**

La giornata passò in fretta e io feci in modo di trattenere Annie accanto a me per tutto il tempo. Più perché mi faceva provare una certa sicurezza che non per la sua incolumità. Ogni ora che trascorreva la mia speranza diminuiva. Justin mi aveva promesso che sarebbe venuto quel giorno, eppure non avevo avuto più notizie. Magari Daniel lo aveva già rapito, torturato e ucciso. Aveva già ottenuto da lui ciò che voleva e, visto che non gli servivo più, la stessa fine sarebbe toccata a me.
Ogni volta che i miei pensieri cominciavano ad andare a ruota libera e mi invadevano la mente, arrivando a toccare queste conclusioni affrettate e terrificanti, cercavo di riportarmi alla realtà e chiedevo qualcosa ad Annie per distrarmi. La cosa tragica era quando lei smetteva di parlare e ricominciava a giocare con le sue ciocche di capelli. Non piangeva mai, credevo fosse perché non capisse cosa le accadeva intorno, ma quel giorno, osservadola per tutto il tempo, iniziai a chiedermi se quel suo atteggiamento, un momento gioso e uno in cui sembrava che non esistesse nessuno accanto a lei, non fosse dovuto alla sua incapacità di sopportare tutti quei dolori morali e fisici. Una bambina che sorride sempre e quando succede qualcosa di brutto nasconde il volto tra i capelli e comincia a giocarci non è normale. Poteva essere una forma di pazzia che doveva ssere curata.
Le afferrai le mani, intente a intrecciarsi tra i capelli. Lei alzò il volto e mi guardò confusa.
-Non toccarti sempre i capelli, se c'è qualcosa che mi vuoi chiedere o se sei triste puoi dirmelo.
Spiegai.
-Perché dovrei esssere triste?
Chiese. Capii che il suo era un comportamento involontario, probabilmente neanche si accorgeva che spesso si estraniava dal mondo. Anzi, lo faceva molto più spesso da quando Fhara era morta.
-Facciamo un gioco, ti va Annie?
Le chiesi sorridendo.
-Si.
Annie saltò subito in piedi e mi mostrò la sua dentatura imperfetta e ancora da latte.
-Che gioco ti va di fare?
Chiesi, credevo che facendola distrarre, magari avrebbe perso quell'abitudine che la isolava dagli altri. Annie si guardò in torno, alla fine il suo volto si illuminò, quando i suoi occhi si posarono sul mio braccio, ancora sporco di sangue per colpa dei morsi del serpente.
-Io faccio il medico e tu il malato.
Disse saltellando.
-Non ti viene in mente un gioco più felice?
Risi.
-No, voglio fare questo.
Saltellò su se stessa e scosse la testa. Subito dopo si diresse nell'angolo della stanza a destra, dove si trovava un mobile identico a quello accanto a me. Si fece largo tra i corpi delle altre ragazze, che loro la ignorarono. Si chinò e frugò sotto il mobile. Raccolse qualcosa e tornò correndo verso di me. In mano teneva stretti due rotoli di garza.
-Adesso ti curo io.
-D'accordo.
Dissi ridendo. Srotolò della garza, mi chiesi chi avesse avuto l'idea di nasconderle lì. Pensai a Fhara, a quando mi aveva medicata dopo le frustate, probabilmente era stata lei dopo quell'episodio. Annie cominciò, così, ad avvolgere le bende attorno al mio avambraccio, intenta a coprire i segui del morso. Alla fine mi chiese a me di spezzarlo con le mani, perché lei non ce la faceva. In realtà dovevano essere delle bende molto vecchie, erano anche di una strana fattezza e bastava veramente poco per strapparle. Annie insistette per annodare i due lembi liberi in modo che non si sciogliessero. Guardando l'intero operato la bambina si sentiva fiera di sé, a me sembrava una fasciatura abbastanza storta e poco ordinata, aveva abbondato troppo con la garza, ma non le dissi nulla, anzi mi congratulai con lei.
La strinsi a me e la sentii ridere. In quel momento vidi la porta aprirsi. Il miuo cuore iniziò a battere forte, perché la mia mente aveva già elaborato che ad aver abbassato la maniglia era stato Justin. Strinsi ancora più forte Annie e tesi i muscoli, ero pronta a scattare in piedi e fuggire.

Non potei descrivere la mia delusione nel momento in cui vidi entrare nella stanza un ragazzo vestito di bianco con la mascherina e il cappello da cuoco. Era davvero così tardi? Già ora di cena e lui non si era presentato. Non sarebbe venuto. Io gli avevo creduto e avevo cercato solo di rimandare la mia morte, perché Daniel mi avrebbe uccisa comunque. Tutti gli sforzi che avevo fatto erano stati inutili.
Cercai di trattenere le lacrime, ma le speranze si riaccesero quando mi accorsi che, ad entrare nella stanza, non era stato un cuoco, bensì due. Ignorai Annie che, spinta dalla fame, si stava già alzando con le altre per andare a prendere la propria razione cibo. Rimasi immobile a guardare i due. Uno lo conoscevo, era sempre il solito cuoco, ma l'altro non l'avevo mai visto.

Almeno così credevo.

Strinsi gli occhi per metterlo a fuoco meglio. Portava una mascherina, ma lo sguardo color miele era inconfondibile. Senza pensarci decisi di alzarmi. Mi sentivo felice e libera. Avrei voluto correre da lui e dirgli grazie, ma quando feci per muovermi lui mi lanciò un'occhiata e mosse la mano verso il basso, come per farmi capire di stare giù e ferma. Quello non mi aiutatava affatto, era come vietare a una farfalla di andare verso la luce. Loro vivono per vedere il sole e per essere illuminate dai suoi raggi. E' un obbligo contro natura.

Ormai quasi tutti stavano tornando ai prorpi posti e mi chiesi cosa volesse concludere Justin. Mi sarei dovuta nascondere sotto il carrello? Mi avrebbe prestato un uniforme e lui sarebbe rimasto a fronteggiare Daniel? Avrebbe fatto fuori l'altro cuoco e mi avrebbe afferrata per poi scappare insieme?

Mi focalizzai sull'altro ragazzo. Anche lui era al corrente del piano? Lo guardai intensamente,come ogni volta che l'avevo fatto- sapevo che quegli occhi li avevo già conosciuti precedentemente, ma non riuscivo a collocarli. Solo dopo averli visti affiancati a quelli di Justin un'idea mi si formò nella mente.
Lui era Stivie. Il mio migliore amico. Quello che avevo conosciuto la prima volta in America quando mi aveva tatuato il simbolo della società. Quello che si era innamorato di me e io non lo avevo capito. Quello che era stato troturato da Justin perché mi aveva baciata. Quello che avrebbe dato la vita per salvarmi perché mi amava. Quello che era riuscito a diventare il mio migliore amico.

Avevo sempre pensato di averlo fatto soffrire. Mentre lui provava dei sentimenti forti per me, io lo avevo rifiutato per Justin. Alla fine avevo deciso che sarebbe stato meglio per lui non rivederci mai più, perché avevo paura che Justin lo potesse punire. Il mio ragazzo aveva paura che mi potesse sottrarre al suo cuore perché era l'unico che nella società aveva avuto una ragazza prima di diventare socio. Per questo motivo Justin lo aveva posto al secondo posto nella classifica dei "Ruba-Quinn" più pericolosi.
Risi al pensiero di quella lista, che alla fine non si era mostrata tanto sciocca, visto che Sivie mi aveva baciata e io, che ero al primo posto insieme a Daniel, avevo abbandonato Justin di mia volontà e alla fine anche Daniel mi aveva rapita.

Nonostante tutto non potevo evitare di sentirmi felice, per ciò che vedevo. Justin e Stivie che collaboravano, finalmente.

Annie tornò con in mano il suo piatto.
-Perché ridi?
Chiese la bambina sorridendo. Non le dissi nulla, ma la tirai verso di me. Non c'era nulla che potesse rovinare quel momento di gioia. Niente, se non il fatto che proprio in quel momento la porta si aprì ed entrò Chirag. Iniziai a pensare che Daniel ci avesse scoperti, ma mi sembrava improbabile che avesse mandato Chirag e non Paul, o direttamente un'intera squadra armata.
-Quinn e la bambina, il capo vi desidera.
Dichiarò ignorando Justin e Stivie. Mi alzai con il cuore spezzato, come era possibile che chiedeva di noi proprio in quel momento? Annie, delusa, riportò il piatto ancora pieno a Justin, che lo prese senza badarci troppo.
-La bambina non verrà.
Dissi io, digrignando i denti. Perché dovevno sempre tirarla in mezzo nei miei problemi?
-Io non ti lascio.
Disse Annie sicura di sé. Non sapeva cosa significasse essere torturati, aveva sentito me comportarmi da eroina e voleva imitarmi. Mi voltai verso Chirag, sperando che mi desse ragione, in fondo era un ragazzo buono, mi aveva aiutato parecchie volte e in un'occasione mi aveva anche baciata. Un particolare che avrei cercato di nascondere in presenza di Justin.
-No, deve venire anche lei.
Disse con voce ferma, lo fissai a lungo cercando di capire dove volesse andare a parare. Sostenevfa il mio sguiardo e aspettava una qualche mia mossa. Capii solo quando Justin e Stivie lasciarono il carrello, come usava fare sempre il cuoco, e uscirono dalla stanza, sapevo che sarebbero dovuti ritornare dopo a riprendere i piatti sporchi. Afferrai Annie per una mano e a grandi passi uscii dalla stanza dopo Chirag. Lui camminò lungo il corridoio e si fermò davanti alla porta del bagno, ci fece segno di entrare e noi obedimmo. Mentre lui se ne andava per la sua strada, come se nulla fosse.

Quando Fhara era morta e io avevo ucciso Akash lo avevo visto sorridere, ma non gli avevo dato importanza, perché riuscivo solo a pensare a come ero riuscita a condurre la mia migliore amica alla morte. Eppure solo adesso riuscivo a capire chi fosse veramente Chirag. Lui era schierato dalla mia parte e per questo ci aveva condotto in bagno, da Justin e Stivie.

Il mio ragazzo era intento a togliersi il camice bianco, il cappello e la mascherina, lo stesso faceva Stivie. Finalmente ero a un passo dalla libertà.
-Finalmente.
Disse Justin quando si accorse di me, mi venne incontro sorridendo e mi cinse forte in un abbraccio.
Non avrei mai voluto lasciarlo. Affondai il viso nella sua spalla e abbandonai la mano di Annie per stringerlo a me. Era reale. Quello che stava accendo non era uno dei miei tanti sogni, succedeva veramente.
-Quanto mi sei mancata.
Sussurrò Justin con tono flebile.
-Anche tu.
Dissi io, sapevo che chiunque ci sarebbe potuto venire a cercare in poco tempo, ma non riuscivo a non assaporare quel momento.
-D'accordo che non ci sono telecamere all'interno delle stanze, ma nei corridoi si e, anche se qui di fronte c'è un punto cieco, e non ci hanno visto entrare, presto si accorgeranno che manchiamo all'appello. Muovetevi.
Urlò Stivie. Justin sapeva che aveva ragione, per questo motivo probabilmente non di innervosì con lui. Nessuno dei suoi dipendenti avrebbe potuto impartirgli ordini in quel modo, prima che io fossi venduta. Probabilmente era davvero diventato debole, era davvero cambiato.
-Giusto, Quinn, Chirag mi ha detto che sai come arrivare all'uscita. Abbiamo bisogno di te.
Facevano affidamento su di me? Iniziai a preoccuparmi e, improvvisamente, non mi sentii più tanto libera, anzi, sapevo che la parte più pericolosa doveva ancora arrivare. Come avevo già fatto un'altra volta, raggiunsi i lavandini e aprii la grata del condotto dell'aria.
-Non dirmi che dobbiamo passare da lì.
Esclamò Stivie.
-Si.
Risposi decisa, non c'era tempo per cercare un altro metodo. La prima volta avevo raggiunto l'uscita così ed era l'unico modo per non farsi vedere in giro. Salii sul piano d'appoggio dei lavandini e, stavo per entrare nello stretto condotto dell'aria, quando mi accorsi che nessuno mi stava seguendo, se non la piccola Annie. Mi voltai delusa, Stivie restava immoble e mi guardava mentre Justin si mordeva il labbro.
-Qual è il problema?
Chiesi. Perché una cosa del genere procurava tante preoccupazioni?
-Ha ragione, è l'unico modo per uscire di qui. Esclamò Justin.
Justin si avvicinò e salì sui lavandini insieme a me.
-Già.
Dichirai. Entrai nel condotto e cominciai a strisciare, sperando che gli altri mi seguissero.
-Quinn!
Urlò Annie. Giusto, non ce l'avrebbe mai fatta a salire fino a lì.
-Oddio, Annie. La potete aiutare?
Chiesi cercando di guardarmi alle spalle, nonostante fosse un luogo molto stretto. Justin la sollevò da un braccio, senza neanche disturbarsi a scendere da sopra i lavandini e la inserì nel condotto dopo di me. Solo dopo che io andai avanti, lui e Stivie mi seguirono.
Cominciammo a strisciare, non era tanto faticoso quantoo ricordassi, eppure dopo circa cinque minuti, mi dovetti ricredere. Il corpo che, dalla volta in cui avevo utilizzato quella via scomoda aveva subito nuove mutilazioni, non riusciva a mandarmi avanti e non ero l'unica ad affannarsi.
-Ehy, bimba. Non ti fermare.
Disse di punto in bianco Justin. Mi sentii in dovere di proteggere Annie, cercai di guardarmi indietro. Justin sudava e spingeva Annie per incitarla a muoversi.
-Mi chiamo Annie.
Disse lei facendogli la linguaccia. Sorrisi per l'espressione sbalordita che assunse Justin.
-Che hai da ridere tu?
Disse nella mia direzione.
-Riposiamo un po'.
Proposi.
-No, non c'è tempo. Abbiamo giusto dieci minuti.
Disse Stivie, lontano dalla mia visuale.
-Perché?
Chiesi.
-C'è un blocco alla botola che porta in superficie. Per sbloccarlo bisogna inserire la password, abbiamo cercato di scoprirla. Per questo abbiamo ritardato così tanto, perché cercavamo la combinazione. Alla fine abbiamo scoperto che cambia ogni giorno. Dobbiamo assolutamente arrivare lì prima delle sette.
Spiegò Stivie. Mi chiesi perché Justin non mi parlasse. Eppure c'era qualcosa che non tornava.
-Vi sbagliate, una notte ho cercato di aprire la botola e ci sono riuscita senza nessuna password.
-Infatti prima non c'era.
Spiegò Justin con tono frettoloso.
-L'avranno messo dopo il tuo episodio.
E così ero davvero un pericolo per quella società. La verità era che Daniel aveva paura delle mie potenzialità. Non potei fare a meno di sorridere. Lui voleva Justin, ma io avrei potuto portarlo in salvo, perché il nemico mi temeva.
-D'accordo, precediamo.
Dopo quel breve momento di gloria mi ricominciai a trascinare per il condotto dell'aria.
-Quinn, puoi fare più veloce?
Mi incitò Justin, ciò mi fece rattristare. Io già stavo facendo di tutto per ricorarmi la strada e strisciare rapidamente e lui continuava a fare pressione.
-Per favore.
Aggiunse dopo un po', come se si sentisse in colpa. Così andava meglio.
-Non ce la faccio più veloce di così.
Mi voltai verso di lui, era sudato ancora di più e stava diventando sempre più pallido. Mi accorsi che aveva le mani poggate ai lati e delle pareti del condotto e sembrava premeree contro di esse perché i muscoli delle braccia erano tesi.
-Cos'hai?
Il suo comportamento, la poca fiducia in me, la paura che gli si leggeva in volto mi fecero preoccupare.
-Niente. Sto bene.
Rispose Justin con tono nervoso.
-Tu non stai b...
-Ho detto che sto bene.

Rispose guardandomi dritta negli occhi. Mi voltai davanti e, a testa bassa per la mortificazione, continuai a strisciare. Quealche volta mi guardavo alle spalle e vedevo Justin preoccuparsi sempre di più. Sembrava volere imprimere sempre una maggiore forza alla parete, come se desiderasse allargarle, come se avesse paura che si potessero restringere. Fu allora che capii perché il suo comportamento era tanto strano.
-Sei claustrofobico.
Dissi girandomi indietro, ma continuando a strisciare. Justin mi ignorò.
-Sei claustrofobico.
Ripetei.
-Possiamo non fermarci?
Justin era al limite della sopportazione ed era nervoso più che mai. Gli dava fastidio che gli altri conoscessero i suoi punti deboli, era risaputo.
-D'accordo.
Capii che era meglio non ribattere. Continuai a strisciare per qualche minuto. Mancava giusto qualche metro e saremmo arrivati alla botola che ci doveva far scendere nella stanza dove, l'ultima volta, avevo visto un uomo baciare una povera ragazza. Almeno ero sollevata del fatto che Justin si sarebbe ripreso.
-Quinn.
Disse lui proprio in quel momento. Affannava molto e sembrava agitato. Mi afferrò per un piede nudo. Mi voltai, preoccupata per il suo tono.
-Non ce la faccio, non respiro.
Mi teneva stretta la caviglia e aveva gli occhi lucidi.
-Ehy, ehy, calma.
Dissi. Avrei voluto accarezzarlo e dirgli che andava tutto bene, ma non potevo voltarmi dalla sua parte.
-Va tutto bene, capito?
Justin scosse la testa.
-Non è vero, le pareti si restringono, siampo intrappolati. Non usciremo mai da qui.
-Stai calmo.
Ripetei.
-Nessuno è intrappolato, siamo quasi arrivati. Credimi.
-E' come quando ero in prigione. Sono intrappolato come allora, moriremo.
Disse affannando. E così questa fobia gli era venuta dopo essere stato in prigione. Dopo che io lo avevo condannato. Quando ci eravamo incontrati avevo creduto che lui non avesse sofferto tanto lì, ma, probabilmente, non era stato così. Aveva sofferto più di quanto volesse ammettere, e la sua espressione in quel momento ne era la prova. Tante volte si era voluto mostrare più forte di quanto fosse, credeva di essere debole e Daniel sapeva che, oltre a me, la sua insicurezza era proprio il suo unico punto punte debole.
Annie, l'unica che era abbastanza bassa da poter voltarsi all'interno del condotto, si rivolse verso Justin completamente, mostrando a me i piedi.
-Non ti preoccupare. Se Quinn dice che siamo arrivati è vero.
Disse accarezzando la guancia di Justin. Lui la guardò diffidente e le fece un cenno con il capo. Quel tocco l'aveva fatto tornare in sé. Ringraziai Annie mentalmente.
-D'accordo, andiamo.
Così come avevo previsto, raggiungemmo la grata in poco tempo, era rimasta aperta da quando ero scesa io, così mi bastò guardare verso il basso. La stanza era così come la avevo vista l'ultima volta, ma questa volta l'uomo era solo e leggeva qualcosa seduto sul letto.
-Non possiamo scendere, c'è un uomo.
Dissi a bassa voce.
-Non è ancora arrivato?
Chiese Stivie, non sapevo a chi si riferisse o con chi parlasse perché neanche Justin diede una risposta.
-Cosa facciamo?
Chiesi.
-Aspettiamo.
Rispose Justin con tono fermo.
-Aspettiamo cosa?
Justin mi ignorò.
-Non c'è tempo per aspettare.
Ricordò Stivie.
-Attacciamo.
Proposi io.
-Aspettiamo e basta.
Ripetè Justin con tono minaccioso.
Guardai in basso. Avrei potuto atterrare sulla poltrona e, forse, se non avessi fatto rumore, avrei avuto anche il tempo per colpirlo senza che lui se ne accorgesse, poi, però, me la sarei dovuta vedere con Justin, che mi avrebbe sicuramente rimproverato. Feci un breve calcolo, mancavano meno di cinque minuti per abbandonare quel posto in tempo.
-Non capisco, prima volevi uscire da qui e adesso non vuoi attaccare.
Ovviamente mi rivolgevo a Justin.
-Voglio uscire, ma non ti metterò in pericolo Quinn. Non di nuovo.
Quindi stava soffrendo pur di non farmi del male di nuovo? Non potevo permetterlo. Appoggiai le mani al bordo della botola e avanzai con l'intento di farmi scivolare di sotto. Avrei così aiutato Justin uccidendo l'uomo e liberado la via. Sembrò quasi che Justin avesse capito le mie intenzioni, infatti mi afferrò per la caviglia.
-Non ci pensare neanche.
In quel momento entrò qualcun altro nella stanza, fantastico, adesso non avrei mai potuto attuare il mio piano. Strinsi le palbebre. Il snuovo arrivato era Nawal. Disse qualcosa in indiano e l'altro uomo si alzò dal letto e si diresse lungo il corridoio, seguito da Nawal. Mi chiesi se questi sapesse che eravamo lì e se era lui la persona che dovevamo aspettare. La conferma arrivò quando mi accorsi che, prima di uscire, si voltò verso di me e, con il viso alzato, sorrise. Senza chiudersi la porta alle spalle mimò un "grazie" e un "addio", ricambiai il sorriso.
E così ervamo riusciti a fuggire grazie a un perfetto estraneo. Se Fhara non fosse morta, probabilmente, non ci saremmo mai parlati e lui non ci avrebbe aiutato. E io che lo credevo un socio senza cuore come tutti gli altri. Avrei dovuto ringraziarlo come si deve.
Aspettai qualche secondo, dopo tutti e quattro scendemmo giù nella stanza. Justin sembrò stare meglio appena toccò il pavimento.
Mancavano pochi metri e saremmo stati liberi. Per sempre.
Mi affacciai sul corridoio dalla porta della camera per accertarmi che non ci fosse nessuno in giro e, in fretta, uscimmo. Raggiungemmo velocemente la stanza buia della botola che, in passato, avevo trovato da sola.
La botola era nuova da quando l'avevo vista io e sullo sportello c'era un pannello con dei numeri. Fui sollevata nello scoprire che eravamo ancora in tempo e non avevamo bisogno di nessuna password.
Salimmo le scale e, finalmente, potei assaporare la sensazione dell'erba fresca sotto i miei piedi.

Una lacrima mi solcò il viso e mi guardai in torno. Il cielo era all'imbrunire, finalmente potevo vederlo. E accanto a me avevo il mio Justin. Sentii Annie aggrapparsi alla mia gamba, forse intimorita da quel mondo sconosciuto e imponente. Justin mi cinse con un braccio la vita. Il vento freddo era la causa dei brividi lungo le gambe nude, ma era tutto così piacevole.

Mi voltai verso Justin che mi diede un bacio fugace sulle labbra.

-Finché non saremo al rifugio, tu non sarai al sicuro. Andiamo.

Così, senza pensarci più di tanto, iniziai a camminare accanto a lui, mano nella mano.  


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