Il piano
Cercai di rimettermi seduta e mi guardai dietro per capire chi mi aveva colpita. Credevo fosse un uomo, magari mandato da Daniel, che aveva ascoltato i nostri discorsi rivoluzionari e ci avrebbe punito. Rimasi sorpresa del fatto che voltandomi vidi una ragazza. Si sedette davanti a me, guardandomi con aria di disprezzo.
-Davvero credete che lei possa salvarvi?
Scoppiò in una fragorosa risata. Era più bella delle altre ragazze per due semplici motivi, era in carne e non aveva neanche un segno di una qualche mutilazione sul corpo. Solo dal vestito si poteva capire che era una di noi. La stoffa era sporca e sembrava grigia, forse era la più sporca subito dopo quella di Fhara.
-Sentitemi, vi conviene continuare a vivere così e non fare nulla. Se il capo mai vi scoprisse, vi torturerebbe.
La ragazza dall'accento marcato, che prima era seduta di fronte a me e adesso sbucava da sopra la spalla della nuova arrivata, arricciò il naso.
-Non credi che vivere così sia già una tortura?
Chiese. Qualcuno rispose in indiano e Fhara tradusse.
-Lei vive bene, ha cibi abbondanti ogni giorno, non subisce la violenza di nessuno, perché dovrebbe rischiare?
Il silenzio piombò nella stanza per qualche secondo.
-Okay, non deve per forza partecipare, può semplicemente stare in silenzio mentre elaboriamo un piano.
Esordì la ragazza alle sue spalle.
-E davvero credi che resterà in silenzio?
Chiese Fhara. Sentivo alle mie spalle le altre bisbigliare, probabilmente cercavano di capire di cosa stessimo discutendo.
-Io non voglio essere coinvolta, vi conviene lasciare perdere.
Con queste parole mi lanciò un'occhiataccia, si alzò e raggiunse il fondo della stanza in silenzio. Solo in quel momento osservai le sue gambe. Erano muscolose e non si vedeva né un segno né una cicatrice. Un'altra cosa che mi colpì era che erano pulite, sembravano quasi brillare se messe a confronto con quelle di Fhara o le mie. Mi sembrava strano vederla lì. Mi chiesi perché avesse tutti quei privilegi. Rimanemmo in silenzio allungo, con le teste basse. Non volevo mettere in pericolo tutte quelle vite, loro contavano su di me, ma era pericoloso ciò che avevamo scelto di fare.
-Forse ha ragione.
Tutte ci girammo verso Fhara che era stata la prima a emettere un suono. Quando si sentì gli occhi di tutti addosso continuò imbarazzata.
-Voglio dire, non ho nulla contro Quinn, ma è davvero pericoloso. Ho sentito dire che le punizioni qui sono terribili.
Mi chiesi perché, nonostante la sua aria tenace, si arrendesse così facilmente. Comunque a quel punto non potei fare a meno di non assecondarla. Non me la sentivo di mettere in pericolo tutte quelle persone. Almeno non prima di aver trovato una via sicura.
-Lei ha sentito dire che le punizioni qui sono terribili, ma io le ho provate sulla mia pelle e so che ha ragione. Dovremmo...
Incontrai gli occhi della bambina accanto a me che erano tornati malinconici.
-...lasciare perdere.
Conclusi. Nulla mi ferì più di vedere tutti quei visi frustati e tristi davanti a me. Tutte quelle speranze eliminate con una sola frase. C'era chi sperava di rivedere la propria famiglia, il proprio ragazzo, i propri amici.
-Almeno per ora.
Aggiunsi. Non potevo abbandonarle in quel modo. Non sapevo se sarei uscita viva da quella situazione, ma almeno loro avrebbero avuto una speranza che le avrebbe mantenute in vita e lontane dalla disperazione. Mi sembrò di vedere qualcuna sorridere. In quel momento la porta si spalancò. Un uomo entrò dentro e disse qualcosa in indiano. Le altre in coro risposero. Lui girò per un po' intorno a noi, probabilmente chiedendosi cosa ci facesse un gruppo di ragazze così corposo accalcate nel mezzo della stanza. Non mi preoccupai più di tanto, ma quando guardai i visi delle altre che erano terrorizzate. Nel momento in cui l'uomo si piazzò davanti a me e si chinò, vidi che portava una frusta legata alla cinta dei pantaloni.
-Tu devi essere Quinn.
Mi afferrò una mano delicatamente.
-Io sono Akash.
Si portò la mia mano alla bocca e la baciò.
-Credo che io e te ci vedremo presto, bellezza.
Si passò una mano alla cinta e quando si allontanò, trasalii. Rimasi immobile sparando che se ne andasse. Perché mi riconoscevano tutti in quella città? Quasi involontariamente mi portai una mano sul tatuaggio della società degli Stati Uniti per coprirlo. Mi sentii mancare il respiro e quella terribile sensazione continuò anche quando Akash aveva già oltrepassato la soglia ed era scomparso nel corridoio. Ripensai a quando Justin mi aveva frustata dietro il collo e a quanto dolore avevo provato. Avevo sempre detto che quello era la cosa peggiore che potessi provare. Sentire il fruscio della frusta in aria sperando che non arrivi mai e alla fine provare un dolore peggiore di quello ti eri immaginato...
Quasi in trans per colpa della paura portai una mano dietro il collo, dove ancora avevo la cicatrice della frusta e cominciai a massaggiare. Non avrei mai sopportato di nuovo una tortura del genere. Se mai avessero quell'Akash avesse provato a farlo mi sarei difesa, l'avrei picchiato, colpito... Quando sentii sfiorarmi un braccio ebbi l'impulso di tirargli un pugno e difendermi. Per un momento la mia mente aveva creduto che quelle mani fossero le sue. Ero davvero sul punto di colpire l'uomo nel momento in cui vidi Fhara che, con aria spaventata , indietreggiava. Non era un nemico, lei era quello che più si avvicinava a un'amica in quel posto.
-Scusami.
Disse raggiungendo la parete. Mi guardai in torno, tutte le ragazze erano ai propri posti, ma mi fissavano terrorizzate. Solo io ero al centro della stanza. Velocemente gattonando mi sedetti al mio posto.
-Non sapevo che fossi così violenta.
Sussurrò Fhara.
-Scusa, non ti avrei mai tirato un pugno davvero, ero soprappensiero.
Era difficile credere che quella non fosse una scusa, ma non lo era. Da quando Justin mi aveva insegnato a combattere la mia mente era sempre pronta ad attaccare, se mi toccavano inaspettatamente.
-Non ti preoccupare, ti credo.
Fhara non sorrideva, sembrava più pensierosa del solito. Decisi di cambiare argomento.
-Allora, perché la ragazza robusta mi odia cos' tanto?
-Chi? Ela? Lei non ti odia, è solo che... -sospirò- ama vivere qui. Non vuole che tu gli rovini i piani.
-Come fa ad essere così...
Non mi veniva un unico aggettivo per descriverla . Ben nutrita? Sana? Pulita?
-Lei è la fidanzata del capo. Non le manca mai niente.
Avevo avuto dei sospetti, ma mi veniva difficile credere che Daniel potesse amare davvero qualcuno.
-Questo non spiega perché non ci voglia aiutare.
- Le piace che noi siamo sottomesse a lei. Proprio come piace a Daniel. Le piace mettere in mostra il suo corpo formoso, pulito, sano.
Sospirò sconsolata e appoggiò la testa al muro. Non riuscivo a vederla così.
-Se potessi le lancerei una padella in faccia.
Fhara si mise a ridere e in quel momento capii della grande stupidaggine che avevo detto.
-Non lo volevo dire ad alta voce.
Scherzai, avevo detto il primo oggetto che mi era venuto in mente, ma avrei potuto fare di meglio.
-Alla fine sarebbe inutile, lei scapperebbe a lavarsi di nuovo nella porta accanto.
Fhara sorrise.
-Aspetta, nella porta accanto c'è la doccia?
-Ci sono i bagni, si, ma per noi comuni mortali e vietato andare.Perché?
-Ho un piano.
Sorrisi maliziosamente.
**
-La cena.
Sussurrò Fhara mentre la porta si apriva. Nella stanza entrò un ragazzo con un carrello e si piazzò di fronte a me, vidi tutte le ragazze affamate che, velocemente, si catapultavano verso delle scodelle vuote e aspettavano che il ragazzo gli versasse una zuppa dentro. Mi alzai e seguii i loro movimenti. Cercai di raggiungere le ciotole, ma il ragazzo davanti a me mi impediva il mio passaggio. Aveva un cappello da cuoco dal quale fuoriuscivano delle ciocche bionde. Portava una mascherina che gli copriva il naso e la bocca e pensai che gli servisse perché credeva che fossimo appestate (forse lo eravamo veramente).
-Ehy.
Protestai dopo che il ragazzo per la quinta volta di fila mi aveva tirato una gomitata, non permettendom di avanzare. Lui si voltò verso di me e subito dopo di nuovo verso le ciotole.
Ne era rimasta solo una, la mia.
Mi fece segno di prenderla e così feci. Gliela porsi e lui la riempì con una zuppa verde.
Mi stavo dirigendo verso il mio posto quando mi afferrò il braccio e mi tirò a sé.
-L'ultima è sempre la ciotola più grande, in più potrebbe nascondere delle sorprese.
Era la prima volta che lo sentivo parlare e aveva usato un accento americano perfetto. Mi voltai verso di lui, sentire la sua voce mi aveva ricordato qualcuno, ma non riuscivo a visualizzare chi. Osservai i suoi occhi. Erano chiari. Conoscevo quel taglio, quel colore, sapevo di averli visti parecchie volte in passato.
-Ci conosciamo?
Chiesi. Lui esitò un momento, poi lasciò andare il mio braccio e uscì dalla stanza come se nulla fosse. Ebbi la tentazione di seguirlo e abbassargli dal viso quella mascherina per guardarlo in faccia, ma se non lo avessi riconosciuto mi sarei sicuramente messa nei guai e sarei finita al cospetto di Daniel. Non potevo permetterlo. Avevo altri piani per quella sera.
Mi sedetti al mio posto, come se nulla fossek e cominciai a mangiare freneticamente. Adesso che finalmente potevo mangiare del cibo capivo fino a quel momento quanta fame arretrata avevo.
Assaporai la zuppa fino all'ultima goccia e cominciai a giocare con la tazza in mano. La rigirai finché qualcosa non mi taglio il dito sul fondo della tazza, dalla parte esterna. Era liscio, sottile, era un foglietto. Lo staccai dal fondo della ciotola, senza farmi notare e lo lessi.
"Non procurarti più problemi di quanti tu già non ne abbia."
E se non fosse stato indirizzato a me? No, era per forza per me. In quel momento capii perché il ragazzo mi spingeva pur di non farmi prendere la ciotola prima delle altre. Non voleva che qualcuno potesse vedere il foglietto.
"L'ultima è sempre la più grande" aveva detto. Da quel giorno in poi avrei preso sempre l'ultima, magari qualcuno cercava di comunicare con me. Ma chi? Non sapevo chi mi avesse scritto e un solo nome mi poteva venire in mente. Chirag. Lui non voleva che io mi cacciassi nei guai, ma allora perché non me lo diceva a voce? Perché quel bigliettino?
Che fosse stato Justin? Sentii improvvisamente un nodo alla gola. Magari Justin mi amava ancora e stava solo cercando di proteggermi. Sorrisi involontariamente. Mi chiesi se mi avesse salvato, se sarei potuta vivere con lui dopo quello che mi aveva fatto. Certo, la fiducia che avevo riposto in lui era stata intaccata in modo irreversibile, ma io lo amavo ancora tanto. Magari anche lui amava ancora me. Mi strinsi nelle ginocchia e chiusi gli occhi per immaginare un mondo in cui esistevamo solo io e Justin. Un mondo che fosse ambientato prima del mio errore che ci aveva portato alla distruzione della società.
**
Ormai le altre ragazze erano state chiamate da Chirag da circa un'ora. Ciò significava che fuori non ci dovevano essere molti uomini. Lanciai un'occhiata alle altre due ragazze nella stanza, dormivano. Mi alzai e uscii dalla stanza, senza farmi notare. C'erano delle telecamere, ma velocemente entrai in bagno, sperando che non mi avessero ripreso. Ormai ero uscita, se mi avevano visto tanto valeva andare fino in fondo. Nel migliore dei casi avrebbero controllato le riprese il giorno seguente.
Il bagno non era tanto grande, contava cinque docce e dei lavandini. Se c'erano le docce, doveva significare che da qualche parte doveva pur uscire il vapore. Alzai gli occhi. Come volevasi dimostrare. Nella parte superiore del muro si trovava una grata. Non era tanto in alto e quando mi avvicinai dovetti semplicemente sporgermi aldilà del piano d'appoggio dei lavandini per aprirla con forza. Salii sui lavandini ed entrai nel condotto di aerazione. Era stretto, ma riuscivo benissimo a strisciare al suo interno. Fortunatamente non era molto complicato come percorso e sembrava reggere alla perfezione. Era freddo e liscio. Con i piedi e le gambe nudi mi portai avanti per circa dieci minuti. Dopo un po', però, iniziai a sentirmi stanca e dolorante, la pelle contro il metallo non riusciva a procurarmi l'attrito necessario per avanzare. Fortunatamente non ero mai stata spaventata dai luoghi stretti.Mi chiedevo se quel lungo percorso avesse una fine, quando davanti a me vidi una grata che si apriva sopra una stanza illuminata. Non sapevo quanto avessi percorso e se fossi vicina all'ucita di quel luogo, ma sapevo che non avevo più forza di continuare. Tanto valeva vedere dove ero finita e, nel caso, tornare indietro da dove ero venuta. Spostai la grata e guardai nella stanza, tutto era silenzioso e sembrava non esserci nessuno. Decisi di lasciarmi cadere su una poltrona che si trovaa quasi sotto la grata. Faticosamente mi calai sotto e atterrai rotolando sul pavimento. Trattenni le urla per il dolore che provavo alla caviglia che aveva toccato prima terra, nel momento in cui vidi delle scarpe di qualcuno che si trovava aldilà della poltrona sulla quale sarei dovuta atterrare.
Possibile che non riuscivo mai a combinarne una giusta? Partivo con l'intenzione migliore e, ogni volta, fallivo. Mi era sempre successo nella vita. Anche nella società degli stati Uniti. Per due volte avevo provato a scappare e per due volte avevo fallito miseramente. Però, se non fosse successo, io non avrei mai conosciuto Justin. Forse il fato non mi voleva tanto male. Magari anche quella caduta si sarebbe tramutata in qualcosa di buono.
Strisciai in silenzio fino a dietro la poltrona e sbirciai dal mio nascondiglio. Le scarpe appartenevano a un ragazzo, ma non era solo. Con lui c'era una delle ragazze che generalmente vivevano nella mia stanza. Parlavano animatamente, ma non avevo idea di che cosa discutessero. Ringraziai il cielo che fossero così tanto concentrati nella loro discussione da non prestare attenzione all'intrusa dietro la poltrona. Guardai in direzione della porta, forse in silenzio sarei riuscita a raggiungerla senza farmi notare, ma avevo bisogno che i due si distraessero ancora di più. Fortunatamente mi accorsi che avevano smesso di parlare. Credevo che si fossero accolti di me e mi sporsi dal mio nascondiglio, i due inaspettatamente stavano a labbra incollate. Lei era seduta sul tavolo in mezzo alla stanza e teneva le gambe avvinghiate alla vita di lui che a sua volta la teneva stretta a sé. Non sapevo se a lei piacesse essere toccata in quel modo, ma ai miei occhi sembrava oppressa dalla forza dell'uomo che le intimava quasi di stendere sul tavolo.
E così tutte quelle ragazze sparivano la notte per questo? Un ondata di amarezza e rabbia mi travolse. Come potevano minimamente pensare di trattarle così? Distolsi lo sguardo, angosciata e feci un respiro profondo. Decisi che quella non doveva essere la mia battaglia. Se avessi trovato l'uscita della società avrei salvato anche lei. Gattonando raggiunsi la porta e, sperando che non cigolasse, la aprii di pochi centimetri, appena il giusto per farmi uscire dalla stanza. La socchiusi e mi rimisi in piedi. Ero stata molto fortunata, nessuno fino ad allora si era accorto di me. Tirai un sospiro di sollievo e mi guardai intorno, ancora pensando alla vista della ragazza tra le braccia di quell'uomo.
Mi trovavo in un lungo corridoio, simile a quello che avevo percorso più volte per andare dal capo. Avevo due possibilità. A destra sarei tornata da dove ero venuta, era abbastanza rischioso, ma lo era molto di più tornare nella stanza dei due amanti e cercare di risalire dal condotto dell'aria. A sinistra, invece, il corridoio non era profondo e terminava con una porta chiusa. Decisi di provare da quella parte, tanto peggio non poteva andare. Sicuramente stavano già mandando qualcuno a cercarmi. Mi avevano vista entrare nei bagni (cosa già proibita di per sé) e mai più riuscirne. Mi diressi a sinistra e aprii la porta cautamente. Se era come la pianta della società di Justin e i miei calcoli erano esatti, quella doveva essere l'uscita. Fui sorpresa quando mi ritrovai in una stanza piccola e buia. A tastoni cercai la luce sulla parete, ma, dopo svariati tentativi, lasciai perdere. La porta non riusciva a stare aperta per permettermi di vedere, era blindata e si richiudeva non appena provavo a lasciarla. Decisi di lasciare erdere e di continuare l'esplorazione, già che c'ero. Cosa tenevano in una stanza con la porta blindata? Segreti di stato? Nonostante non si vedesse assolutamente nulla, camminai più avanti finché non urtai a qualcosa che mi fece cadere. Capii che erano scale. Cominciai a salire e mi fermai nel momento in cui sbattei la testa al soffitto. Perché avevano messo delle scale che portavano al nulla? Solo in quel momento capii, doveva aprirsi una botola. Cercai a tastoni qualcosa per aprirla, una maniglia forse. Quando la trovai mi bastò girare la manopola e spingere. Subito i miei occchi misero a fuoco un paesaggio illuminato dalla luna, lontano dalla città. Un'ondata di aria fresca e liberatoria mi inondò la pelle. Mi guardai intorno. Come avevo già supposto in superficie la società era invisibile per il semplice motivo che si estendeva sotto terra.
Sarei potuta scappare e cercare di rintracciare Justin, magari in qualche modo prendere un aereo e tornare a New York o raggiungere l'ambasciata americana più vicina, ma non lo feci. Mi tornò in mente quella bambina, Fhara, le gemelline e tutti quei volti ricolmi di dolore che si era trasformato in speranza nel momento in cui mi avevano riconosciuta. Non potevo abbandonarle. Avrei pensato a un nuovo piano che comprendeva la loro fuga con la mia. Sarei certamente andata via da quel posto, ma con loro. Sorrisi ripensando che forse le loro speranze non erano vane e io non ero tanto inutile. Avrei dovuto soltanto escogitare un nuovo piano e saremmo state libere. Presi un'ultima boccata di aria fresca, scesi qualche gradino e richiusi la botola sopra di me. Continuai a scendere le scale strette e bianche, girata con le spalle alla porta. Un momento, come facevo a sapere che le scale erano bianche se prima non avevo neanche notato che ci fossero? Diedi un'occhiata alle mie spalle e mi accorsi che la porta era spalancata e bloccata con una sedia. In quell'istante mi sentii afferrare per i fianchi e scaraventare a terra. Fantastico. "Un altro di questa società che mi maltrattata" pensai.
Aprii gli occhi e vidi chinato su di me qualcuno di cui non avrei mai dubitato. I suoi occhi verdi erano infuocati dalla rabbia, la fronte ricoperta dalle lentiggini era corrugata, i capelli rossi illuminati dalla luce, visti dalla mia angolazione, gli formavano un'aureola in testa. La sua mano teneva stretta un pugnale e lo puntava contro di me.
Lo riconobbi e subto capii che il mio amico Paul era il vero nemico da affrontare.
STAI LEGGENDO
Madhouse
Fanfiction-Benvenuta. Un uomo con giacca e cravatta che conoscevo ormai molto bene mi fece accomodare nel suo studio. -Stenditi e rilassati. Attraversai l'ampia stanza, adornata con mobili di legno e tappeti dai colori caldi, e mi stesi sul divanetto di pe...